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gloria di restituir la vera filosofia all' Europa, che ne manca da gran tempo, debbono confidarsi in Dio e nel proprio ingegno, non negli ammaestramenti e negli esempi forestieri. Io ho molta fiducia nel valore dell' ingegno italiano; dico dell' ingegno dei pochi, poichè la moltitudine è in Italia come altrove, e osserva il costume delle pecore, che camminano alla cieca, addossandosi le une alle altre, senza inchiedersi, se la via eletta conduca alla meta o in precipizio. Il culto della vera filosofia ricerca che si rappicchi il filo della vera scienza, che se le dia maggior precisione di principii e di metodo, che il patrimonio degli avi si arricchisca di nuove deduzioni e di applicazioni utili. Esporrò il mio modo di vedere su questi vari punti nel corso del presente trattato. Dal quale apparirà che la scienza ontologica, in cui consiste la sostanza della filosofia, è perduta, e bisogna rifarla di pianta, pigliandone i principii da chi solo può darli. Ma se ella non può logicamente fondarsi altrove che in sè stessa, l'ingegno vi può essere preparato fino ad un certo segno dalle ricerche psicologiche. Intorno alle quali, se si eccettua il Leibniz, e per qualche parte il Kant, credo che i giovani italiani troveranno aiuti più sicuri e più efficaci in casa loro, e nella scuola scozzese, che presso i Tedeschi. Si avvezzino anche a pigliare dimestichezza coi nostri filosofi del medio evo e dei secoli appresso, fino al Vico; non per seguirli in tutto, ma per inspirarsene, per dare fecondità e calore ai loro pensieri, accostandoli alla viva fiamma dell' antico ingegno italiano.

Il quale si manifesta non solo nella verità e nella bontà delle cose che si dicono, ma eziandio nel modo, con cui vengono espresse. La geometria e la scoltura dello stile filosofico

non si trovano, credo, presso alcun popolo moderno in grado così perfetto, come ne' nostri scrittori; dico quelli che sono veramente nostri, pel loro modo di pensare e di sentire, non per la sola desinenza dei vocaboli. Perciò è tanto più da farne stima e da esserne geloso, che questa dote è quasi un nostro privilegio. Aggiungasi che in ogni genere di dottrina, la lingua e lo stile, di cui il parlante e lo scrivente si servono, importano assaissimo; e più ancora in filosofia che nelle altre materie. Aprirò adunque il mio sentimento intorno a questo soggetto, benchè il parlare di lingua nel preambolo di un' opera scientifica possa dar meraviglia ad alcuni, e far loro augurar poco bene dell' opera stessa. L'occuparsi delle parole al di d'oggi fa segno di poco spirito, di animo angusto, di scarsa dottrina: non è uomo di conto, non merita il nome di erudito e di filosofo, se non chi parla e scrive da barbaro. E ciò si dice da taluni dei nostri compatrioti, che non apprezzano fuori d'Italia, se non gli artefici di parole. Ma io non mi vergognerò mai d'imitare, secondo il mio potere, i migliori antichi, diligentissimi cultori del loro idioma, e di seguir l'esempio di Cicerone, che nei prologhi e nel corso delle sue opere tocca spesso della lingua, e mostra che assai se ne curasse. II vezzo contrario non mi sbigottisce. Quando credo di aver la ragione e gli uomini più illustri, più giudiziosi da mia parte, non mi pesa l'aver pochi compagni, e l'andare a ritroso della

corrente.

Il negare una verità, in grazia di un' altra, è la pecca solita degli spiriti superficiali. Che le cose importino più che le parole, è un vero così evidente, che par quasi ridicolo il dubitarne; benchè l'opinione e la pratica contraria non sia

troppo rara, come avrò occasione di toccare altrove. Gli scrittori, che vanno a caccia di frasi, fanno pompa di stile, sottopongono i pensieri agli artificii rettorici, sono, non che vani, nocivi, e pregiudicano al vero sapere, spacciando in cambio di cose, sogni e frivolezze. Segue forse da ciò che non si debba fare alcun caso della elocuzione, e sia bene il trascurare lo studio della lingua? No certamente questo eccesso, senza pareggiare gl' inconvenienti dell' altro, sarebbe pur molto dannoso; perchè se l'eleganza indotta non è di alcun pro, la dottrina inelegante non porta a gran pezza quei frutti, di cui è capace. Se per difetto di educazione letteraria, e ludibrio di fortuna, un uomo dotto non ha potuto acquistare l'arte malagevole dello scrivere ornatamente, sarebbe ingiusto e ridicolo l'accusarnelo: dica solo cose vere e nuove con semplicità e chiarezza, se non può con purità ed eleganza; egli avrà tuttavia largamente pagato il suo debito verso la patria. Chi oserebbe biasimare il Vico, per le imperfezioni del suo stile? Ma se l'uomo anche dottissimo vuol convertire in pregio il suo difetto e vantarsene, invece di dolersene, egli è degno di censura. Se altri, senza pur possedere il vantaggio di una squisita dottrina, vuol mettere in regola, che si dee scrivere come viene, che ciascuno può modificar la lingua a suo talento, che il dettare è un' arte, che manca di leggi stabilite e dipende solo dal capriccio dell' artefice, egli è degno di riso. Io ho sempre notato che gli sprezzatori della lingua in teorica, se ne mostrano ignoranti nella pratica; e che all'incontro chi la sa, ne confessa agevolmente l'importanza. Or se la lingua è di gran momento, egli è necessario che in ogni paese culto si trovino letterati, che ne facciano special professione, e la trattino come oggetto principale, o unico, dei loro studi. L'opera di costoro

è onorevole e utilissima; e io li giudico tanto benemeriti della patria, quanto importa a questa l'avere uomini, che le preservino intatto il nobile patrimonio della lingua. Quanto non si è gridato, alcuni anni sono, contro Antonio Cesari? Tuttavia, malgrado i clamori levati contro quest' uomo, io lo reputo per uno de' più benemeriti Italiani, che siano vissuti alla nostra età. Egli rimise in onore lo studio dei trecentisti: cavò dalla polvere e ci diede corrette alcune preziose scritture: ci diede nell' Imitazione e nel Terenzio le due più belle versioni di prosa italiana, onde possiamo vantarci dopo quelle del Cavalca, del Caro, del Firenzuola, del Segni, dell' Adriani, del Davanzati : arricchi quel Vocabolario, che con tutti i suoi difetti sarà pur sempre la base di ogni buon lavoro in questo genere: combattè colle armi del buon giudizio i corruttori della lingua tanto più biasimevoli, quanto più sogliono coprirsi col mantello della filosofia, e renderla agli occhi dei semplici complice della loro barbarie. Che il Cesari abbia esagerato alcune opinioni; che, come scrittore originale, manchi spesso di scioltezza, di brio, di quella vita, che viene dai pensieri e dagli affetti; che sia talvolta affettato; niuno sarà che il neghi. Ma che giustizia è questa di tener conto solamente dei difetti, di non guardare allo scopo principale di un autore, e all'effetto durevole de' suoi lavori? La gloria del Cesari è di essere stato in un secolo depravatissimo il restitutore della lingua italiana, ritirandone lo studio verso i suoi principii, cioè agli scrittori del trecento, e di avere spesa la vita a far quello, che il Gozzi, il Parini, l'Alfieri avevano desiderato, e fu poscia dal Botta, dal Giordani, dal Leopardi e da altri felicemente proseguito. Ancorchè fra gli scritti del Cesari non ve ne fosse un solo degno di passare ai posteri, non pertanto

poche vite furono così bene spese come quella di quest' uomo, a cui da trent' anni in qua non v' ha forse un Italiano, che scriva mezzanamente bene, il quale non debba tenersi in qualche modo obbligato, e riconoscere che senza le fatiche di lui, e l'indirizzo provenutone agli studi, egli forse scriverebbe da barbaro.

Si dirà ch' io non m'intendo d'idee, che rinnovo dottrine rancide, che sono incapace di conoscere e di apprezzare i progressi del secolo. Se io abbia qualche idea o no, potrà giudicarlo chi avrà la pazienza di leggere i miei scritti. Questi amatori d'idee non considerano che i concetti falsi o volgari volgarmente espressi, secondo la consuetudine moderna, non hanno nessun valore; ma che i concetti veri, benchè volgari, (e tanto più se nuovi e reconditi,) quando siano vestiti di una forma elegante e pellegrina, hanno sempre molto pregio; perchè la verità li rende utili, e la facondia efficaci. In ciò consiste il solo merito odierno di molti libri antichi; la cui dottrina è divenuta così famigliare e domestica a ciascuno, che non ci s'impara più nulla; tuttavia li leggiamo con piacere e profitto per la bellezza della forma, che dà a quelle scritture vetuste una freschezza di gioventù perpetua. E quelle verità notissime così bene espresse fanno una impressione più viva, entrano meglio nell' animo, e fruttano da vantaggio a chi legge. Chi crede le parole non essere che parole, erra di gran lunga. L'idea non ha accesso alla riflessione, se non in quanto è vestita di una forma; e la sua evidenza, precisione, adequatezza ed efficacia dipende dalla perfezione del suo abbigliamento. Fra le innumerabili maniere, con cui un concetto può essere significato, ve ne ha una o poche, che sole hanno

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