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le ragioni de' suoi avversari; ma con gran modestia: guardatevi dal dire una parola, ancorchè giusta, che possa dispiacere; guardatevi dall' avere troppa confidenza nella vostra causa, dal mostrare quella generosa baldanza, che si addice al difensor del vero. Anzi farete gran senno a lodare le intenzioni di ogni nemico della fede, e a commendare in ogni caso la nobiltà e la costanza de' suoi portamenti (4). In questi termini vi permetteremo di scrivere; altrimenti vi chiameremo intollerante, declamatore, fanatico, uomo incivile, e indegno di ogni onesto consorzio. lo ho sempre pensato che il Cristiano debba esser umile in ciò che lo concerne personalmente; ma che una nobile fierezza non si disdica al difensor del vero. Nè potrò mai credere che la religione non sia, e non debba essere grandemente superba, perchè la religione è Dio, e ciò che è orgoglio negli uomini, è in Dio il sentimento legittimo della propria eccellenza. Nulla v' ha di più imperioso che la verità, suprema e assoluta comandatrice delle menti create, e sicura fra le persecuzioni di un trionfo immortale. Coloro, che consigliano di trattar fiaccamente la sua causa, intendono a rovinarla, senza farne mostra; artifizio degno di Giuliano imperatore, che voleva spiantare il Cristianesimo, sott'ombra di tollerarlo. I difensori della religione non diano retta a questi consigli e minacce : si guardino dall' esser timidi e codardi, per paura del secolo. Sommo rispetto verso i privati in ogni caso; moderazione verso gli scrittori; ma quando l'onor del vero lo esige, severa franchezza. Le orecchie tenere si offenderanno: si griderà, si farà romore: si conciterà lo sdegno di molti, soliti a montare in furia, quando la religione che vorrebbero schiacciare, osa levare il capo e guardarli in viso; ma queste collere non faranno prova. Gli sdegni e i furori degli uomini passano: le

ingiuste opinioni svaniscono: la ragion sola non può giammai aver torto, ed è sicura di vincere e trionfare (5).

La delicatezza moderna non vieta solo di censurare la persona dei vivi, quando si tratta di religione, ma non comporta eziandio che si parli rigidamente dei morti. Non è già che il divieto sia assoluto, e che questi schizzinosi si facciano coscienza d'inveire a diritto e a torto contro le riputazioni più illustri, ogni qual volta non siano consacrate dalla moda. Ma guai a chi tocca gl' idoli di questa! Guai a chi parla con poco rispetto di certi nomi adorati dal volgo elegante e damerino! Mi accadde nel mio scritto precedente di parlare con severità di Giorgio Byron, e dell' indole morale delle sue opere. Io non ignorava che queste servono di gradito pascolo a un mezzo mondo di lettori e di lettrici, e che chi grida contro il poeta inglese può tirarsi una gran tempesta addosso; benchè, a dire il vero, tali nemici siano più per numero, che per qualità formidabili. Ma quando io ho ragione fondata di credere che il parer mio si accordi col vero, non soglio esser molto sollecito di cercare, se consuoni ⚫ alla sapienza dei crocchi, e alla volgare opinione. La quale non si cura troppo di verità, nè di giustizia; e quando il Byron fosse stato povero e plebeo, religioso e costumato nella vita e negli scritti, si può dubitare, se con tutto il suo ingegno poetico, sarebbe stato così famoso, come fu mentre visse, e se morto troverebbe tanti lodatori della sua persona, e tanti ammiratori delle sue opere. Io non adulo i morti, nè i vivi: disprezzo altamente i viziosi illustri, e gli giudico i più abbietti degli uomini, salvo i loro adoratori. Vorrei poi pregare que' collorosi difensori del Byron che mi dicano, se è vero o falso ciò che ho toccato de' suoi portamenti,

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e della moralità de' suoi scritti. Se è falso, saria bene a saperlo se vero, mi permettano di dire o che la religione e la morale sono un delirio, o che io non ho ecceduto nei termini. Nè son già solo a pensare in questo modo: ho conosciuti degl' Inglesi dottissimi e moderatissimi, che non avevano miglior concetto, nè si esprimevano più benignamente sul loro compatriota. Come? Un uomo ha passato i suoi giorni à bestemmiare la providenza del suo Creatore, e non sarà permesso il dire di lui una parola di vituperio? Un poeta ha consumato il suo ingegno a corrompere i suoi simili, dilettandoli, a spiantare le basi della società umana, che consistono nei terrori e nelle speranze della religione, e non si potrà predicarlo più reo dinanzi a Dio e agli uomini di quei volgari malfattori, che languiscono nelle carceri, e spirano sul patibolo? I bei versi faranno scusare la dissolutezza dei costumi e l'empietà delle dottrine? Voi disprezzate meritamente e riputate vile il ladro, lo spergiuro, il traditore; e giustificate, lodate, levate a cielo il bestemmiatore, il sacrilego, il corruttore della giovinezza e dell' innocenza? Agli occhi vostri è colpevole chi offende gli uomini; è da commendare chi se la piglia con Dio? A che siam giunti, se si discorre in questo modo? Se in grazia di un poeta, non si tien conto di quanto v' ha di più sacro e di più reverendo? Ma questo poeta fu di grande ingegno, di rara indole, di nascita illustre. E chi lo nega? E siano stati i pregi del Byron anco maggiori che non furono; chi non vede che accrescono la sua colpa, invece di diminuirla? Quanto sono più grandi i doni di natura e di fortuna, che il Cielo fa a un uomo, tanto è più colpevole l'abuso di essi. L'ingegno e la colta educazione aggravano i trascorsi, accrescendo da un lato i cattivi effetti che ne provengono, e dall' altro la facoltà di evitarli.

Quanto alla nobiltà dei natali, maravigliomi che si rechi a scusa di uno scrittore ciò che farebbe ridere, se si allegasse a discolpa di un principe. Forse Tacito la perdonò alla toga dei patrizi, e alla porpora degl' imperatori? Ma il Byron sorti dalla natura passioni ardentissime, che rendono scusabili i suoi traviamenti. So che l'impeto delle passioni scema la colpa, e non entro a giudicare la coscienza del colpevole. Desidero di cuore che questa ragione sia valuta a quell' infelice, quanto più è possibile, al cospetto del Giudice supremo. Ma se la cupidità scema la colpa, non l'annulla; se può render degni di venia i falli e gl' impeti passeggeri, non può scolpare e giustificare tutta una vita. Se può scusare una parola libera, qualche verso sfuggevole, non cancella la turpitudine di un libro infame. E questo dico, limitando il mio discorso alle azioni esteriori, dove s' arresta la competenza di noi uomini; i quali non possiamo andar più innanzi nel giudicare i demeriti altrui. La giusta e salutare severità dell' istoria sarebbe ita, se si dovessero palliare o accarezzare le colpe illustri, per una stolta benignità verso le passioni degli operatori. Qual è il malvagio, che non sia zimbello delle sue cupidigie? E che per questo rispetto non sia degno di commiserazione e di scusa? Chi non sa che l'enormità del delitto è proporzionata alla veemenza degli affetti che lo producono? E che i gran delinquenti sono per lo più uomini di tempra ardente e appassionatissimi? La schietta malizia è rarissima, o non si trova fra gli uomini. Anche lo scherano è vittima infelice di quel morbo, che travaglia la nostra natura; e se ciò non di meno odiate l' involatore delle altrui sostanze, se detestate l'uomo che ha sparso il sangue del suo fratello, non avrete in abbominio l'autore di un cattivo libro, il quale è spogliatore, micidiale

delle anime, e reo di tante morti, quanti sono a cui toglie la fede e l'innocenza? Se potessimo avere schierate dinanzi agli occhi le stragi morali, che una scrittura empia o scostumata, ma celebre, fa nel corso di molte generazioni, saremmo compresi da orrore; vedremmo, che se il valor morale delle azioni dipende in parte dai loro effetti, nessun misfatto è forse comparabile a questo. Ma il poeta inglese scontò i suoi errori, consacrando la fortuna e la vita alla sacra causa dei Greci. Sì; giovò ai Greci de' suoi tempi, ma nocque a tutta l'Europa, per quanto dureranno gli scritti suoi, maestri di empietà e di corruzione. Favori gl' interessi politici di un popolo degnissimo; ma calpestando la virtù e la religione, cooperò a depravare quelle popolazioni medesime, ch'egli voleva sottrarre al giogo de' Turchi. Ora io non so a che bilancia questo bene contrappesi quel male, se non è forse quella del secolo, alla quale me ne rimetto. Molti assolvono il Voltaire da quel fascio pesante di oscenità e di bestemmie, che ingombrano i suoi scritti, in grazia di alcune buone massime che ci si trovano; e lo chiamano benefattore dell' umanità, perchè scrisse sulla tolleranza, e fece assolvere la memoria di qualche innocente. Confesso che a questo ragguaglio anche il Byron è giustificatissimo. Ma in tal caso, non so come si possa ridere dei casisti fulminati da Biagio Pascal nelle sue Lettere; i quali, con tutta la loro rilassatezza, avrebbero avuto orrore di scusare con un atto di virtù politica lo scrivere empio ed osceno. Ad ogni modo, se io non posso lodare la dottrina di questi nuovi moralisti, ammirerò la semplicità e l'ingenuità loro, quando non si avveggano di fare coll' apologia del Byron un acerba satira di loro stessi e del secolo, in cui vivono (6).

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