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umana la misura assoluta del vero? E se si può o si dee giudicare impossibile a Dio il fare ciò che non si può ben concepire, senza contraddizione, qual è l'arcano rivelato, che rimanga illeso? Imperocchè l'essenza dei misteri consiste appunto in un'apparenza di contraddizione, che s' incontra, quando se ne vuole ben concepire la natura. Nelle Regole per la direzione dello spirito, egli parla in modo non meno espresso: « Règle deuxième. Il ne « faut nous occuper que des objets, dont notre esprit paraît capa«ble d'acquérir une connaissance certaine et indubitable; » onde rigetta tutte le cognizioni probabili '. Nè crediate che ivi intenda discorrere solo di certezza e non di evidenza immediata; imperocchè così ragiona in appresso : « Il suit de là que si nous comptons bien, il ne reste parmi les sciences faites que la géométrie et l'arithmétique, auxquelles l'observation de notre règle nous ramène. » E quindi : « De tout ceci il faut conclure, << non que l'arithmétique et la géométrie soient les seules « sciences qu'il faille apprendre, mais que celui qui cherche le «< chemin de la vérité ne doit pas s'occuper d'un objet, dont il ne puisse avoir une connaissance égale à la certitude des démon«strations arithmétiques et géométriques 2. » Finalmente, la regola che segue rimuove ogni dubbio : « Règle troisième. Il faut «< chercher sur l'objet de notre étude, non pas ce qu'en ont pensé « les autres, ni ce que nous soupçonnons nous-mêmes, mais ce « que nous pouvons voir clairement et avec évidence, ou déduire << d'une manière certaine. C'est le seul moyen d'arriver à la « science 3. » Le cognizioni tradizionali, e le prove indirette sono apertamente sbandite. Ora io chieggo, se un uomo, che assente alle verità rivelate, possa esprimersi con una tale generalità e precisione, (anche volendo parlar solo delle scienze umane,) senza aggiungere qualche temperamento, che riduca al segno un me

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todo cosi pericoloso, e impedisca l'abuso, che altri può farne, volgendolo alle religiose credenze? Nel resto, ho voluto citare questi ultimi passi, (che non fanno se non ripetere sottosopra la dottrina del Metodo, e delle altre opere del Descartes,) perchè tolti da uno scritto, che il sig. Cousin leva al cielo, dicendo, che pareggia per la forza, e vince forse per la lucidezza, il Discorso sul metodo e le Meditazioni. In tale scritto, e in un altro che l'accompagna « on voit encore plus à découvert le but fondamental de Descartes et l'esprit de cette révolution qui a créé la philosophie moderne, « et placé à jamais dans la pensée le principe de toute certitude, « le point de départ de toute recherche régulière. On les dirait « écrits d'hier, et composés tout exprès pour les besoins de notre « époque. » E conchiude dicendo, che « la main de Descartes y «est empreinte à chaque ligne 1. » lo lascio molto volentieri al sig. Cousin la sua tranquilla fiducia sulla perpetuità del psicologismo, e sulla inespugnabilità di questo bel sistema, ch'egli difende come cosa propria; ma assento pienamente all'ultima riga del suo elogio.

Se avessimo a fare con una di quelle teste forti, in cui la logica è il primo bisogno, gli squarci allegati basterebbero a chiarire come il Descartes la pensasse in opera di religione, e renderebbero superflua ogni ulteriore indagine. Ma egli non è già di questa tempra il suo ingegno non si spaventa delle ripugnanze; anzi vi si compiace e non si trova filosofo antico nè moderno, che non che superarlo, il pareggi, nella grossezza e nella frequenza delle contraddizioni. Da questa parte adunque potremmo conciliare la sua dottrina della chiarezza col debito della fede, senza alcuna difficoltà; e se al parer suo, il far che una cosa sia e non sia nello stesso tempo, è agevole all' onnipotenza divina, il credere e il non credere insieme, è a nostro giudizio, molto facile a Cartesio. La nostra conghiettura ha tanto più di peso, che il filosofo torsigiano

1 OEuv, de Descartes, tom. XI, p. 1, 11.

comincia a verificarla su questo medesimo articolo della chiarezza delle idee; come si vede dalle sue risposte agli avversari delle Meditazioni. Questo libro delle Risposte mi par uno di quelli, che mettono in maggior luce la virtù filosofica dell'autore, mostrandolo arrenato a ogni passo dalle obbiezioni, che gli si fanno; le quali per lo più non sono molto recondite, e sarebbero dovute antivedersi dalla sagacità più comunale. Ma esse giungono nuove al nostro valente pensatore; onde lo vedi affaccendato a tarpare, modificare, ristringere, allungare, conciare, come Dio tel dica, le proprie dottrine, e immaginare i più bei temperamenti, per ischermirle dai colpi degli avversari : credo che un filosofo più impacciato non siasi veduto al mondo mai. Se non che, guizzando e scivolando alla francese, egli si mostra abilissimo a dissimulare le angustie dello spirito colla destrezza e discioltura della penna. Così nella risposta alle seconde obbiezioni raccolte dal P. Mersenne, egli è costretto a confessare, che a malgrado delle sue idee chiare, Iddio è incomprensibile. « Lorsque Dieu est dit être inconcevable, « cela s'entend d'une pleine et entière conception, qui comprenne « et embrasse parfaitement tout ce qui est en lui, et non pas de « cette médiocre et imparfaite qui est en nous 1. » Ma come sai, o Cartesio, che la tua notizia di Dio non è piena ed intera? Come conosci che una parte, per dir così, di Dio, non è conoscibile? Nol sai certo, perchè tu abbi una idea chiara e distinta di questa parte. Dunque tu ammetti come effettive tali cose, il cui concetto non è distinto, nè chiaro. E già prima avevi detto: «De cela seul que j'aperçois que je ne puis jamais en nombrant arriver au plus grand de tous les nombres... je puis conclure nécessairement... « que cette puissance que j'ai de comprendre qu'il y a toujours quelque chose de plus à concevoir dans le plus grand nombre, « que je ne puis jamais concevoir, ne me vient pas de moi« même. Dunque tu riconosci la realtà del sovrintelligibile; e

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in tal caso, di che valore è il tuo canone supremo delle idee chiare?

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Nella risposta alle prime obbiezioni, fatte dal Carter, il Descartes è costretto alla confessione medesima. « Quant à la chose qui est infinie, nous la concevons à la vérité positivement, « mais non pas selon toute son étendue, c'est-à-dire que nous ne « comprenons pas tout ce qui est intelligible en elle. 1» Dunque si debbono ammettere certi veri, i quali, non che essere chiari e distinti, eccedono affatto la nostra apprensiva. « Pour moi toutes << les fois que j'ai dit que Dieu pouvait être connu clairement et << distinctement, je n'ai jamais entendu parler que de cette con<< naissance finie et accommodée à la petite capacité de notre es« prit. » Ma perchè mai la capacità della mente nostra è piccola, e il conoscimento, che ne risulta, è limitato, se non perchè le idee più chiare sono accompagnate da un elemento oscuro, che non è meno reale e autorevole di esse? Ella è una cosa curiosa il vedere, come quest'uomo destituito di vero ingegno filosofico, ma fraseggiatore disinvolto, e pieno di spirito, all' usanza dei Francesi, si schermisce dalle obbiezioni insolubili, e nega, altera, mitiga, aggiunge, leva, stira, secondo le occorrenze, e senza un rispetto al mondo, trattando il proprio sistema, come un pezzo di pasta molle, uscito di fresco dalla madia del panattiere.

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1 Ibid., p. 386. Il Carter dice che « M. Descartes est un homme d'un trèsgrand esprit et d'une très-profonde modestie, et sur lequel je ne pense pas que Momus lui-même pût trouver à reprendre (OEvr., tom. I, p. 354). » Lo chiama ce grand esprit, ce grand homme, ce grand personnage. Dice verso il fine: «< « confesse que ce grand esprit m'a déjà tellement fatigué, qu'au delà je ne puis quasi plus rien (p. 367). » Il Descartes piglia in sul serio queste frasi,, e le contraccambia con molte lodi dell' officieux et dévot théologien (p. 369), Ma se si dee giudicar dell' animo dell' opponente da tutto il tenore del suo scrivere, sarei inclinato a credere che il dotto teologo di Lovanio volesse qualche poco la baia del filosofo francese.

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Queste contraddizioni singolari, che non ho voluto tacere, sia per l'integrità di questa esposizione, e perchè conferiscono a farci conoscere di che ragione cervello avesse il padre della filosofia francese, paiono precludere ogni adito al nostro intento di penetrare le opinioni religiose di lui. Imperocchè, se si fa al canone del Metodo una si buona tara, quanta è d'uopo per salvare il sovrintelligibile naturale, si potrà del pari seco comporre la fede ai misteri rivelati, e una fede non solo provvisionale, ma intera e assoluta. Perciò il solo verso, con cui si possa conoscere veramente il pensiero del Descartes, dipende dall' esame di quei luoghi, dov' egli parla espressamente della religione; dai quali, malgrado la cautela dello scrittore, uscirà abbastanza di luce, per confermare la sentenza espressa nel principio di questa nota.

Nella risposta alle seconde obbiezioni, egli stabilisce che l' uomo dee credere alle oscurità della fede, perchè se bene la materia del credere sia oscura, la ragion formale, che vi c' induce. è distinta e chiara 1. Questa dottrina annulla quella del Metodo, dove la chiarezza prescritta riguarda la materia delle idee, e dove si ripudiano tutti i veri ricevuti per via dell' educazione, come quelli, che non sono chiari e distinti direttamente; ma ella è sana e ragionevole in sè stessa. Laonde, se l'autore vi si fermasse, potremmo tenercene paghi e contenti. Ma egli la distrugge con quello, che soggiunge: « Au reste, je vous prie ici de vous sou« venir, que touchant les choses que la volonté peut embrasser, j'ai toujours mis une très-grande distinction entre l'usage de la « vie et la contemplation de la vérité. Car pour ce qui regarde l'usage de la vie, tant s'en faut que je pense, qu'il ne faille suivre que les choses que nous connaissons très-clairement, « qu'au contraire, je tiens qu'il ne faut pas même toujours «< attendre les plus vraisemblables, mais qu'il faut quelquefois,

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1 OEuv., tom. I, p. 456, 457, 458.

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