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NOTA 7.

Vi ha una certa generazione di lettori, che non possono sostenere il menomo discorso di metafisica, e credono di annullarlo e confutarlo in modo laconico, dicendo con dispetto sottigliezze! Io non so, se costoro, come nemici che sono della metafisica, sarebbero in grado di dare una definizione schietta ed esatta del sottile, in ciò massimamente, che non concerne i corpi. Per me non credo che questa qualità faccia per sè stessa pregiudicio a ciò che si dice, e stimo il sottile, quando sia vero, preferibile al falso, benchè questo per ordinario sia grossolano. Se dalle cose materiali si può conchiudere a quelle dello spirito, parmi che le entità sottili non abbiano da vergognarsi, e che la scienza destinata a trattarne non sia una ciancia; parmi, per esempio, che i fluidi imponderabili, i quali ragionevolmente debbono essere sottilissimi, siano di maggior momento nella costituzione dell' universo reale, e però di più gran pregio nell'ordine dello scibile, che parecchi oggetti assai più massicci ed appariscenti della natura. Nè credo che alle teoriche scientifiche della chimica, dell'ottica e della meccanica, che riposano su calcoli, investigazioni ed esperienze sottilissime, altri voglia preferire l'industria del falegname, o l'arte di concimare i campi. Anzi porto opinione, che generalmente parlando, la sottilità in ogni genere sia più pregevole della grossezza, salvo forse nell' ingegno, di che mi rimetto a' miei valenti appuntatori. Coloro che accusano i filosofi di troppo sottilizzare, dovrebbero biasimare egualmente i chimici, i quali fanno intorno ai corpi quel medesimo che gli altri intorno allo spirito, per giungere alla cognizione de' suoi elementi. La filosofia è in parte una spezie di chimica intellettiva, la quale è tanto reale e tanto fondata in natura, quanto la scienza, che insegna la composizione e divisione dei corpi. Egli è vero che siccome nei bassi tempi fiori una falsa chimica, che uccellava

alle chimere, così nella medesima età e nella più moderna ottenne, presso alcuni, una fallace arte di sottilizzare, e ghiribizzare in filosofia; di che gli Scotisti del medio evo, e gl'ideologi recenti ci danno esempio. Ma la filosofia di costoro si distingue tanto dalla verace, quanto la scienza degli alchimisti da quella dei chimici. Perciò i miei valorosi critici mi permetteranno che io apprezzi i concetti psicologici e metafisici, per sottili che siano, purchè conformi al vero, benchè non si possano vedere nè toccare, benchè non siano un lambicco, nè un telegrafo, nè una macchina a vapore, nè una via ferrata, e tampoco una polizza di banco, la quale, senza dubbio, è la cosa più soda e più sustanziosa, che oggi si trovi al mondo. Se essi non sono del mio sentimento, e amano le cose grosse, li conforto a lasciare la lettura di questo libro, o piuttosto a scambiarlo con qualche altro di materia più palpabile e saporita, come sarebbe, verbigrazia, un sugoso trattato sullo zucchero delle barbabietole, o un ingegnoso componimento sulla coltivazione delle patate.

NOTA 8.

Ella è cosa curiosa l' intendere, come più di un secolo fa, cioè nel 1708, quando una parte de' grandi scrittori francesi dell' età precedente sopravviveva, e calde tuttavia erano le ceneri degli altri, un Italiano di grandissimo ingegno, creatore della filologia filosofica, discorresse dei pregi e dei difetti dell' idioma, che si parla in Francia. « Galli substantiæ vocabulis abundant: sub«stantia autem a se bruta et immobilis, nec comparationis est patiens. Quare nec sententias inflammare, quod sine motu, et quidem vehementi non fit; nec amplificare et exaggerare quicquam possunt. Indidem verba invertere nequeunt : quia, « cum substantia summum sit genus rerum, nihil medium substernit, in quo similitudinum extrema conveniant et uniantur. « Quamobrem metaphoræ in eius generis nominibus uno voca«bulo fieri non possunt; et quæ duobus fiunt, ut plurimum

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<< duræ sunt. Ad hæc, orationis ambitum conati, nihil ultra « membra præstiterunt: nec ampliores versus, quam quos « dicunt Alexandrinos, fundunt: qui et ipsi, præterquamquod « distrophi sunt, cum præterea singuli sententias claudant, et « bini similiter desinant; quarum rerum altera omnem minuit « amplitudinem, altera allevat gravitatem; sunt inertiores tenuioresque elegiacis. Duas duntaxat voculationum sedes, << ultimam et penultimam habent et ubi nos ab ultima tertiam << acuimus, ii accentum in penultimam transferunt: quod nescio quid tenue et subtile sonat: quibus rebus ii nec amplis periodis, << nec grandibus numeris apti sunt. Sed ut eadem lingua omnis sublimis, ornatique dicendi characteris impos, sic tenuis patientissima est. Cum enim substantiæ vocabulis scateat, atque « iis ipsis quæ substantias, ut Scholæ dicunt, abstractas significant, rerum semper summa perstringit. Quare didascalico « dicendi generi aptissima est: quia artes scientiæque summa « rerum genera persequuntur. Atque hinc factum, ut ubi nos « nostros Oratores laudamus, quod diserte, explicate, eloquenter dicant; ii laudent suos, quod vera cogitarint. Et quum hanc << mentis virtutem distracta celeriter, apte, et feliciter uniendi, quæ nobis ingenium dicitur, appellare volunt, Spiritum dicunt: «et mentis vim quæ compositione existit, re simplicissima notant : « quod subtilissimæ eorum mentes non compositione, sed te<< nuitate cogitationum excellant. Quare si eius disputationis, « summis dignæ philosophis, illa pars vera est: linguis ingenia, « non linguas ingeniis formari; hanc novam Criticam quæ tota spiritualis videtur, et Analysim, quæ Matheseos subiectum, "quantum ex se est, omni prorsus corpulentia exuit, uni in orbe << terrarum Galli vi suæ subtilissimæ linguæ excogitare po« tuerunt. Cum hæc igitur omnia ita sint; eloquentiam suæ linguæ parem ab una sententiarum veritate, tenuitateque, et << deducta ordinis virtute commendant '. » Segue quindi, a guisa

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1 Vico, De nost. temp. stud. rat. Op. lat., tom. I, p. 20, 21.

di contrapposto, un breve elogio della lingua italiana. Il Vico tocca pure del francese idioma nella seconda Scienza nuova ', e vi accenna egualmente la conformità di esso coll'analisi, e la disformità dalla sintesi, conchiudendo, tali lingue sottili, ma deboli e impotenti, essere proprie di coloro, che affilatissimi nella lor maniera di pensare, sono inabili ad ogni grande lavoro.

Una qualità dell' idioma francese, che ha pure radice nell' ingegno e nell' indole della nazione, che lo parla, e di cui il Vico non fa menzione, è una certa leggerezza millantatrice, una propensione allo scagliarsi e alle iperboli, la quale si manifesta, così nelle metafore più usuali, come in tutte le parti, e nel colore della dicitura. Si chiamino a rassegna i tropi francesi più comunali, e resi famigliari dalla consuetudine, e si vedrà che per lo più superano di audacia i modi figurati, che occorrono nelle altre lingue di Europa, e segnatamente nell' italiana. Da ciò anche nasce che il parlar de' Francesi, senza eccettuare i loro grandi scrittori e oratori, dice assai più in apparenza, che in effetto: la parola, la frase, la figura oltrepassa quasi sempre il concetto, che esprime t'accorgi che il parlante e lo scrivente sanno o sentono meno di quel che paiono sapere o sentire, al contrario di ciò che accade presso altre nazioni, e segnatamente negli antichi scrittori italiani e greci; la qual sola avvertenza basta a scemare notabilmente, o anche ad annullare affatto il diletto, che si può ricavare dalla conversazione e dalla lettura. Imperocchè ciò che piace nel leggere e nell' ascoltare, si è il poter presupporre che chi parla o scrive, pensi assai più, che non dice; onde la mente nostra nel voler penetrare oltre il velo delle parole, si perde in un non so che di vago e d' indefinito, che le va a sangue; ma quando ella s'accorga, che sotto le voci, non v' ha nulla, o meno assai che promettono, l'incanto è distrutto, e manca la

1 Lib. 1. Degli elem. 21. Op. ed. Milano 1856, tom. V. p. 100, 101. * Questa non è l'esagerazione, di cui parla il Vico.

ragion principale, che ci lega di simpatia a chi scrive o favella, e ci rende attenti e desiderosi testimoni del suo discorso. Da questo difetto di corrispondenza fra il sentimento e la frase nasce che lo stil francese, con tutta la grettezza della lingua, è assai meno semplice, naturale, efficace, che quello dei nostri antichi : ci trovi sempre un non so che di sforzato e di ampolloso, che ripugna al genio pelasgico. E ciò che dico dello stile, si può intendere altresì dell' uomo naturale e artificiale, (giacchè, secondo il Buffon, l'uno è l'altro), e del modo, con cui viene imitata ed espressa l' umana natura. Così, verbigrazia, i Romani del Corneille possono parer tali sulle ripe della Senna; ma su quelle del Tevere, dov'è probabile che non siano affatto spenti gli spiriti dell' antico Lazio, sembrerebbono Gradassi, Rodomonti, paladini, cioè uomini nati, non già in Roma, ma in Parigi. I Francesi danno moralmente e corporalmente il loro tipo a tutti i personaggi forestieri gli eroi del David sono tutti galli gallica nel più de' quadri francesi è la stessa figura del Redentore. L'eroismo francese non è quello degli antichi, dei Germani schietti, degl' Italiani del medio evo, di Napoleone; ma bensì l'eroismo cavalleresco delle crociate, il cui modello si trova veramente fra i Franchi, ma che i Franchi redarono dai Galli, e di cui gli storici latini ci rendono imagine, non nei Romani, non in Arminio, nè in Viriate, ma in Brenno, in Valentino, in Viridomaro. Se tu hai vedute certe statue e pitture francesi, che rappresentano i loro prodi, come per esempio il principe di Condè, (che essi chiamano il gran Condè,) nel furore della mischia, colla parrucca in capo, e in attitudine da spiritato, e le paragoni coll' iconografia eroica dell'antichità, questo solo ragguaglio varrà meglio di un lungo discorso, per farti comprendere l'infinito divario, che corre fra la moderna Francia, e l'antica Grecia o l'antica Roma. L'Ariosto, il cui senso era squisitamente italiano, trovò nel cavaliere un tipo serio, che pizzica di ridicolo, e senza caricar la mano, come fece il Cervantes, impresse nell'arte cavalleresca un marchio di ridicolo, che non potè essere rimosso, nè pur dall'

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