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credo che cui toccherebbe l'esercitarla, farà gran senno a evitar le occasioni di dover vincere lo sdegno.

L'ingegno è libero, e non dipende umanamente da altri, che da sè medesimo. Imperciocchè egli ha da sè, o per meglio dire, dall' Idea che lo informa, la conoscenza del proprio valore, e l'investitura dei diritti, che compongono la sua maggioranza. Non pende dall' opinione popolare, e non riceve dal secolo, nè il sentimento delle proprie forze, nè l'autorità legittima di esercitarle. Non va nè anche soggetto al capriccio de' governi e de' principi; i quali se sono buoni, lo rispettano, se cattivi lo odiano, e cercano di spegnerlo, ma vi si adoprano diversamente, secondochè sono dappochi, o maliziosi. I principi dappochi fanno guerra agli alti ingegni, gli perseguitano, gli spogliano, gli vessano, gli lacerano, gli sbandiscono, gl'imprigionano, gli martoriano, gli ammazzano, e se riescono a vederli morti, si confidano di averli sterminati; ma le opere dell'ingegno non periscono colle sue spoglie; e i suoi persecutori non fanno altro, che procacciare a sè una infamia perpetua, e a quello con una gloria immortale, il trionfo delle sue opinioni. Tutte le forze congiurate della terra riescono imbelli contro l'indomita potenza del pensiero. I principi tristi e sagaci, se la pigliano per un altro verso: non fanno guerra all' ingegno, ma lo accarezzano: studiano a corromperlo colle lusinghe: coi doni e cogli onori lo avviliscono; e ottengono una vittoria certa sopra il loro nemico, troncandone i nervi, e spegnendone il vigore nella sua fonte. Per domar Sansone furono indarno le minacce, gli assalti, la forza, le catene; ma colla chioma recisa, venne meno la sua virtù. La virtù dell'ingegno consiste nella sua indipendenza : l'ingegno servo, come l'uomo schiavo, perde la metà del suo

valore. O voi, che possedete questo dono divino e volete custo'dirlo, non vi spaventate alle minacce dei cattivi principi, ridetevi dei loro furori; ma guardatevi cautamente dalla loro protezione. Ubbidite ai dominanti, siano buoni o cattivi, per ciò che spetta al debito dell' uomo civile, e al mantenimento della quiete pubblica; perchè la religione e la ragione del pari ve lo impongono; ma serbate intatta la libertà dell' animo, e inviolati i sacrosanti diritti dell' ingegno. Il cui principato non si fonda sui suffragi della moltitudine, o sui privilegi dei re, ma sulla propria natura. Imperocchè, avendo un intuito speciale del vero, egli è maestro e non discepolo, duce e non seguace, signore e non suddito. Egli dee certamente apprendere molte cose dagli altri; ma non impara quelle verità, di cui è trovatore, e per la cui rivelazione si riconosce e venera in esso dai popoli una splendida effigie della mente sovrana e creatrice. Il suo potere è assoluto, come quello del vero : non muove da principio estrinseco : è veramente autonomo; onde ognuno è tenuto a osservarlo, a rendergli omaggio e sudditanza. I pellegrini filosofi dei di nostri, i quali stimano, che l'ingegno inventivo alberghi, come dicono, nelle masse, introducono nelle dottrine il principio della sovranità popolare. Il quale assurdo in politica, è assurdo e ridicolo nelle scienze e nelle lettere. Il sapere dee discendere dalle somme regioni alle infime, non salire dalle infime alle somme. L'ingegno non piglia dal basso, ma riceve dall' alto, cioè dall' Idea, che lo informa, della quale è contemplatore ed interprete agli altri uomini. Egli è quasi un profeta, che annunzia gli oracoli divini, un delegato da Dio a regnare negli ordini pacifici della scienza, un principe investito dal cielo di un poter sacro e inviolabile. Ma il suo principato, benchè imperioso e severo, non è violento e dispotico, nè sottoposto alle vicende

delle altre signorie. Conciossiachè s' impone liberamente agl' intelletti; i quali dopo avergli contrastato per qualche tempo, spontaneamente il ricevono, vinti dall' evidenza del vero, che risplende nelle sue dottrine. L'evidenza è la voce stessa di Dio, a cui non possono lungamente resistere gli uomini. E quando l'imperio dell' ingegno è stabilito, e riconosciuto universalmente, diventa perpetuo, nè il possessore ha più da temere di esser contraddetto, o esautorato da nessuno. Egli è vero che durante que' primi contrasti, l'uomo qualche volta è vittima del suo nobile ufficio; e bene spesso avviene anche negli ordini naturali che il martirio precede alla redenzione. Ma ciò non rallenta l'ingegno, nè lo sconforta; perchè egli non aspira, come gli ambiziosi e i conquistatori a una signoria personale; ma solo all' imperio del vero, di cui è l'apostolo; onde preferisce la morte di Focione e di Socrate ai trionfi di Gorgia e di Cleone. Nè fa d'uopo avvertire che il dominio legittimo dell' uomo ingegnoso non si allarga agli sbagli, in cui talvolta incorre; giacchè niuno erra mai per essere ingegnoso, ma perchè non è tale a sufficienza. Certo, se altri potesse avere un ingegno perfetto, sarebbe immune da errore.

Per essere davvero indipendente dagli uomini, bisogna esserlo eziandio in qualche modo dalla fortuna. Perciò chi vuole, pensando e scrivendo, giovare a' suoi simili, dee prima di tutto sottrarsi ai loro capricci, e abilitarsi a non aver bisogno di loro; giacchè non puoi parlare liberamente a quelli, che sei costretto a servire. S'egli nasce ricco e libero, ringrazi il Cielo, che gli ha dato il modo di disporre a suo talento di un capitale assai più prezioso che l'oro, cioè del tempo e delle proprie azioni. Guardi solo di non abusar questo pri

vilegio, volgendo a ozio e a mollezza un bene, che gli fu dato a libertà e a virtù. Nel caso contrario, non si disperi, e pensi che l'uomo capace e dotato di volontà forte, può vincere molti ostacoli, di cui gli uomini ordinari si spaventerebbero; nè diffidi eziandio della fortuna; la quale, come dice il Machiavelli 1, è amica dei forti e di coloro che con più audacia la comandano. Miri solo a procacciarsi uno stato oscuro, ma indipendente, e spenda una parte del suo tempo, per aver l'usufrutto libero dell' altra. Egli è senno far gettito di una porzion di tempo, benchè sia gran bene, per conservare intera la libertà dell' animo, tesoro impareggiabile. Ora egli perderebbe questo tesoro, se invece di confidarsi nelle sue fatiche, sperasse nei favori e nella protezione altrui, e in ispecie dei potenti e dei facoltosi. I quali, se sono ambiziosi e tristi, non favoriscono chi non è inframmettente, inverecondo, vizioso, adulante, perchè non li somiglia. Se buoni, sogliono tuttavia confondere la modestia e la verecondia colla imbecillità; onde quando s'avvengono in un modesto candore, non lo apprezzano, lo credono inetto, e si guardano di favoreggiarlo, non già per cattivo animo, ma perchè stimerebbero di collocare in esso poco saviamente l'opera loro. Perciò anche per gradire a costoro, ti è d'uopo vestirti di presunzione, di arroganza, e rinnegare la tua propria natura. Insomma al dì d'oggi, salvo casi rarissimi, non possono ottenere la protezione dei grandi, se non gli uomini mediocri e i ciarlatani. L'ingegno povero e sfortunato, che non ha la prima, e non può risolversi ad acquistar la seconda di queste doti, non dee cercare altro fautore e mecenate che sè stesso. Si confidi in Dio, che aiuta

1 Princ., 25.

gli uomini virtuosi, e non accende in alcuni di essi la sacra fiamma dell' ingegno, per ispegnerla, privandola del necessario alimento, ma la espone spesso al vento delle traversie e delle persecuzioni, acciò agitandosi e vincendo i contrasti, s'accresca di vivacità e di vigore. La sventura è un dono divino ella affina gli spiriti, e rinforza gli animi degni di portarla. Se non fosse altro, ella è utile, perchè salva dalla morbidezza, e perchè il piacere, non il dolore, è il più gran nemico della virtù e degli uomini.

L'amore, che gl' ingegni grandi hanno per l'indipendenza, gli fa anche abborrire dalle parti e dalle fazioni. Le quali tolgono da un lato ciò che danno dall' altro, e se accrescono fuori del loro cerchio il potere di chi le timoneggia, gli scemano la libertà. Ogni caposetta è più o meno schiavo de' suoi dipendenti, ed è costretto di ubbidire ai capricci e alle passioni della parte, per conservare la sua potenza. Le fazioni, per mantenersi in istato, e allargarsi o crescere di forza, hanno mestieri di cautela, di secreto, di maneggi, di raggiri, di macchinazioni, di frodi; laddove l'ingegno è libero e aperto, nemico di ogni simulazione e dissimulazione, magnanimo a cose grandi, insofferente di ogni procedere, che sappia d'inganno, di meschinità e di grettezza. Egli ambisce di comandare, perchè il suo imperio è quello del vero; ma vuole avere per sudditi le menti libere ed elette, ama di possedere una larga e durevole monarchia sulle generazioni avvenire, e non di regnare oscuramente per qualche giorno nel giro angusto dei crocchi e dei ritrovi. Il dominio fazioso alletta gli uomini volgarmente ambiziosi e mediocri, ma infastidisce coloro, che sono avidi di gloria, e aspirano alle cose somme.

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