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un tal progresso, che la scienza d'oggi annulla quella di ieri. Ovvero affermano seriamente che la filosofia fu trovata da questo o quell'uomo, nel tal anno e nel tal giorno del mese; quasi che si trattasse di una macchina, di un'isola, di una stella, di un lavoro dell'arte, o di un fenomeno di natura, e non di quei veri eterni, il cui intuito è concreato allo spirito umano. Non v' ha setta più infesta alla novità vera, e ai progressi ideali, che questo genere di novatori, i quali aspirano coi loro folli ardimenti a fermare la più nobile e viril disciplina in una perpetua infanzia.

L'ingegno è profondo, e penetra nell'intimo delle cose. In ciò si distingue dallo spirito, che va tutto nella superficie, e si appaga delle apparenze. Lo spirito e l'ingegno sono nemici, perchè l'indirizzo loro è al tutto contrario. L'uno è pronto e subito, l'altro ha d'uopo di tempo l'uno impaziente e avventato, l'altro rispettivo e longanime : l'uno non cura il vero, e si diletta solamente del nuovo e dell'inaspettato, l'altro non riceve il nuovo, se non in quanto consente col vero. Lo spirito, che ama la corteccia, tende agli oggetti sensibili e si compiace in essi; l'ingegno, che cerca il midollo non atto a cader sotto i sensi, si diletta singolarmente delle cose sovrasensibili e ideali. Gli uomini troppo spiritosi sono di rado molto ingegnosi; e quando gl'ingegnosi abbondano di spirito, nol posseggono già in virtù dell'ingegno, ma a malgrado di esso (35).

L'ingegno è valente nell'uso dell'analisi e della sintesi. Se non fosse analitico, non potrebbe distinguere quegl'intelligibili minutissimi, onde a guisa di elementi si compone il mondo ideale, nè quindi riprodurli col pensiero e colla pa

rola, adombrando l'idea acconciamente e mettendola in disegno. Ma se non fosse ricco in oltre di virtù sintetica, non sarebbe capace di comprendere un gran numero d'idee, di abbracciarle con un solo intuito, di scoprirne le congiunture scambievoli, di seguire a rigor di logica, e condurre a fine una lunga serie di deduzioni, movendo dal primo principio, e discendendo, senza interruzione, fino all'ultima conseguenza. Perciò l'analisi e la sintesi, ad essere perfette, abbisognano l'una dell'altra; la profondità dee collegarsi colla estensione, e il nerbo coll'ampiezza della mente. Oltre che, l'analisi presupponendo una sintesi primitiva, che non è veramente opera dell'ingegno, ma a cui l'ingegno spettatore assiste, e di cui la sintesi susseguente è la ripetizione, lo spirito dell'uomo non potrebbe dar opera a questa, se non fosse attento e ricordevole testimone di quella. Ora la virtù di apprendere distintamente colla riflessione la sintesi ideale, e di rinnovarla col lavoro scientifico, è una dote eminente dell'ingegno speculativo. La quale richiede molta forza di spirito; imperocchè la sintesi, essendo un' architettonica mentale, vuole una comprensiva valida e robusta, come la risoluzione analitica ricerca una penetrativa sagace e sottile.

L'ingegno è immaginoso, e sa giovarsi della fantasia. Un forte immaginare è necessario universalmente al filosofo, perchè senza di esso il magisterio della sintesi speculativa, che è la più vasta di tutte, non potrebbe aver luogo. Onde troviamo che i pensatori più insigni ebbero una fantasia ricca e potente; quanto forse i più grandi poeti; e certo si può dire che Platone e santo Agostino, il Leibniz e il Vico non furono inferiori a Dante e ad Omero, anche dal lato

dell' immaginazione. E se la più parte dei filosofi moderni sono deboli e fiacchi, e riescono solo nella psicologia, che si fonda specialmente nell'analisi, ciò nasce dalla loro poca immaginativa; la quale è scaduta, come tutte le facoltà dell' uomo moderno, e più ancora di parecchie altre, perchè deriva sovrattutto dall' energia dello spirito. Ma la fantasia del filosofo dee ubbidire strettamente alla ragione, altrimenti il sussidio si volge a impedimento. Una immaginativa predominante e sregolata, come si trova ne'fanciulli, è nemica mortale delle ricerche filosofiche. Se tra gli odierni speculatori, i Francesi mancano quasi affatto d'immaginazione, i Tedeschi ne abbondano, ma per ordinario non la governano; onde gli uni inclinano alle dottrine sensuali, gli altri riescono al panteismo. Il sensismo è l'effetto consueto di un'analisi senza sintesi: il panteismo è una sintesi di fantasmi, che si scambiano ai concetti, causata da una immaginativa troppo fervida e soverchiante la ragione.

L'ingegno è forte, perchè è dotato di una volontà robusta e operosa, che non lascia languire le altre potenze, e le indirizza continuamente a uno scopo unico. Riepilogando quanto dianzi avvertimmo a questo proposito, diremo che dalla forza dell' ingegno dipendono l'intensità e l'efficacia dell'attenzione, della riflessione e della contemplazione : le quali sono, (e specialmente l'ultima,) il triplice organo del conoscimento filosofico. Queste tre virtù hanno bisogno di tempo, per portare condegni frutti; i quali sono sempre in ragione diretta della lunghezza di esso tempo e della attività dello spirito, cioè della intensione e della durata dell'azione cogitativa. Donde segue che il verace ingegno, non che potere improvvisare le sue scoperte, ha d'uopo per farle, di lunga

opera preparatoria, e dee maturar bene i suoi pensieri, per recarli a perfezione. Il quale apparecchio, non che escludere le inspirazioni del filosofo, è necessario a produrle, non meno che a destar l'estro e il furore del poeta, dell' oratore, dell' artista.

L'ingegno è schietto, e abborrisce dall' affettazione in ogni genere. L'affettazione e la ricercatezza sono proprie di chi non è grande e vuol parere, e allignano per ordinario nella mediocrità ambiziosa. Gli uomini eccellenti non usano arte, e non vestono le altrui penne per farsi apprezzare; giacchè, sovrastando agli altri in vero merito, ed essendo consci del proprio valore, ben sanno che il travisarsi tornerebbe a perdita, non a guadagno. Laonde nel parlare e nello scrivere, nei modi e nelle azioni, procedono alla semplice, e si mostrano quel che sono. Oltre che, la tempra buona e salda, di cui sono dotati, fa sì che non si possono satisfare riguardo a sè stessi ed agli altri, se non del reale e del vero, e che quanto stimano l'essere, tanto disprezzano il parere. Ora l'affettazione si compiace delle cose che paiono, e la schiettezza non fa caso, se non di quelle che sono. E però fra le varie classi degli uomini viziosi, quelli che più loro dispiacciono, e riescono più insopportabili, sono gl' impostori e i ciarlatani. E recano nel comporre quella medesima semplicità, che mettono nell'operare; non già una semplicità alla carlona, secondo l'uso di chi scrive senza pensarvi, e pecca per trascuraggine; ma quella, che consiste nel seguir la natura. Il rendere imagine della semplicità naturale nei lavori artificiali è il sommo dell' arte. Ora tanto è lungi, che questa semplicità si possa conseguire senza studio, che anzi è l'effetto di una lunga applicazione. La maggior parte degli autori moderni,

che scrivono all' impazzata, sono affettatissimi : non ci trovi nulla di vero, di spontaneo, di naturale camminano sui trampoli abbondano d'immagini sguaiate o leziose, di concettuzzi, di epigrammi : stanno sempre sulle figure amano sovra tutto lo stile salterello, gonfio, iperbolico, e fanno del cattivo poeta, anche nella prosa. Il che non è maraviglia; perchè il brutto, come il falso, è più facile a trovare, che a sfuggire. La perversità dei giudizi fa disprezzare il buono, anche quando occorre; e chi al di d'oggi si studia di pensare e di scrivere con accurata schiettezza, non è apprezzato, se non da pochissimi. Il volgo lo giudica triviale, e il più meschino schiccherator di fogli crede di poter far meglio. Ma il savio non cura i giudizi del volgo; anzi ne preferisce le censure alle lodi; poichè, vedendosi biasimato dagl' inetti, può sperare di aver fatto bene; laddove, se ne fosse lodato, sarebbe certo di aver fatto male. Egli si contenta di aver l'approvazione dei pochi buoni; e in ispecie quella di sè; poichè un uomo, che non ha perduto affatto il suo tempo, può dire anche in questo caso ciò che un antico affermava della virtù, sentenziando non aver ella maggior teatro di sè medesima.

L'ingegno è sapiente, e non trapassa mai i confini della moderazione. La qual virtù non è manco richiesta nelle dottrine, che nelle azioni, perchè, senza di essa, non può aversi una piena cognizione del vero; l'esagerazione di una verità importando sempre la negazione di un'altra. Quindi è, che gli esageratori screditano quelle stesse massime, che vogliono tutelare, e pregiudican loro, difendendole, più che altri oppugnandole; sorte pessima di nemici. Disonorano inoltre la verità, volgendo a suo patrocinio il sofisma e l'errore,

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