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vantata ai di nostri, è in sostanza libertà d'ineducazione, o di una cattiva disciplina; giacchè la maggior parte dei padri di famiglia non sono capaci di dare ai loro figliuoli una instituzione, di cui essi mancano. E il fossero; i negozi della vita civile vi ostano assolutamente. L'arte dell' educare vuole che chiunque la professa vi spenda tutto il tempo, vi adoperi ogni suo potere, ne faccia uno studio speciale, e alla squisitezza e sagacità dell' ingegno, alla bontà e oppor tunità della dottrina, alla destrezza delle maniere, aggiunga una pazienza e una vigilanza indicibile. La pedagogia è una disciplina malagevolissima, la qual si trova, possiam dire, tuttavia nelle fasce. Anche coloro che la coltivano exprofesso e con rara maestria d'ingegno, sono spesso costretti di camminare al buio, e confessano di saperne poco. Nè chiamo educazione pubblica quelle instituzioni, che dipendono dai privati, le quali, benchè vincano talvolta in bontà la disciplina domestica, non possono per alcun modo pareggiarsi all' antica. Insomma si può dire che oggidì per tutto il mondo civile non vi sono ordini educativi in alcuna classe di cittadini, e che l'uomo sociale è opera delle circostanze e del caso. Salvo che si voglia dare il nome di educazione alla scherma, alla cavallerizza, alla danza, all' arte di far inchini, di passeggiare con grazia, di portar con garbo la vita, di complire e corteggiare leggiadramente, di cinguettare a dilungo, senza dir nulla, e si abbiano per bene allevati que' giovani, che posseggono appuntino i precetti del galateo, e sanno, come dice Plutarco, quando seggono a mensa, pigliar le vivande colla mano destra, e il pane colla sinistra. A questo stò cheto; e se tali cose bastano, confesso che il nostro secolo è disciplinatissimo, e ha toccato la cima della perfezione.

Ciò in ordine all' educazione, la quale, come ognun sa, è assai diversa dalla instruzione. Rispetto a questa, la libertà dell'insegnare, com'è intesa oggidì, mi pare non manco aliena dai veri progressi civili. Egli è vero, anzi verissimo, che l'azione governativa nuoce gravemente agli studi, quando viene affidata alle mani degl' ignoranti, siano questi pochi o molti; onde in tal caso la libertà dell' ammaestramento può essere un minor male, e perciò un beneficio. Ma il contrario ha luogo, se il governo è savio; ed è sempre savio, quando non esclude il concorso di una libera e sapiente elezione. In tal caso l'indirizzo, che si porge dallo stato alla pubblica coltura, non che essere pregiudiziale per alcun verso, produce molti vantaggi non ottenibili altrimenti. Solo chi abbraccia con un'occhiata la società tutta quanta, e può disporre di ogni genere di sussidi, è valevole a creare in modo perfetto quelle instituzioni, dove gl' ingegni più eletti e meglio addottrinati schiudono alla gioventù studiosa i divini tesori della scienza. L'università, concetto cristiano dei bassi tempi e imagine dell' unità ideale del sapere, è come il centro, onde muovono i lumi per diffondersi in tutto il corpo dello stato, e a cui, accresciuti dal valore e dalle industrie dei particolari ingegni, ritornano. Ella dee esser una, perchè senza unità non v'ha consistenza, nè si può dare agli studi quell' indirizzo assiduo e uniforme, che gli fa fiorire e fruttificare. Dee esser pubblica, perchè solo la pubblica signoria possiede a compimento que' mezzi, che sono per copia e bontà proporzionati alla grandezza dello scopo proposto. I fonti del sapere inaridiscono, quando si sparpagliano in un gran numero di piccoli rivi; quali sono quelle minute scuole male organate, discordi, deboli, impotenti, ordinate a cupidità o ad intento fazioso, che spesseggiano e vegetano trista

mente in quasi tutte le capitali di Europa. Salvo i chierici, che non possono dipendere dalla giurisdizione laicale, per ciò che spetta alle dottrine, io credo che i governi veramente liberi, senza torre affatto ai privati la facoltà dell' insegnare, dovrebbero prescrivere che si erudisca nello studio pubblico chiunque vuole abilitarsi ai carichi civili. Si suole obbiettare che le università dipendenti dallo stato fanno della scienza un monopolio, e togliendo o scemando la libertà degl' ingegni, ostano ai progressi del sapere; laddove le molte e libere scuole lo aiutano, mediante una libera emulazione. Ma il monopolio è impossibile, se al governo partecipa il meglio della nazione, e se l'opera dell'informar gl' intelletti si affida al fior degl'ingegni. Le piccole e spesso ignobili avvisaglie dei cattedranti, non conferiscono, o ben poco, al sodo sapere, ma pregiudicano assaissimo alla instruzione, che vuol gravità in chi la porge, e concordia nelle dottrine. La palestra, in cui si addestrano i giovani, non è un campo opportuno alle battaglie dei professori. Questi hanno la stampa e le particolari loro adunanze, per discutere e armeggiare a loro talento; dove il litigio può giovare alla scoperta del vero: laddove nuoce, quando si tratta, non già di ventilare e dibattere le incertezze dottrinali, ma di erudire i principianti, comunicando loro i risultati probabili o certi, ma precisi e positivi della scienza. La scuola insomma è destinata, non a cercare e a trovare, ma ad ammaestrare, non ad elaborare la scienza, ma ad esporla, non a dirozzare i materiali greggi, ma a far conoscere gli artifiziati, non a disciplinar professori, ma a far buoni discepoli. Camminando a rovescio, si confonde il vero col falso, il certo coll' incerto, si semina lo scetticismo, s'introduce il caos nelle cognizioni, si creano semidotti in cambio di veri

dotti, e bene spesso il cibo salutifero delle dottrine si converte in veleno per le tenere generazioni.

Da queste e altre simili avvertenze, che sarebbe troppo lungo l'esporre, si deduce che i moderni, se ben fanno ad amare la libertà, hanno spesso il torto di confonderla colla licenza, che è la sua maggior nemica. Le antiche università d'Europa erano certo imperfette, e capaci di molti miglioramenti; ma con tuttii lor difetti, oso dire che sovrastavano alla maggior parte di quelle dell' età nostra. I fatti parlano assai chiaro; giacchè qual è l'ateneo moderno, donde, ragguagliata la civiltà del secolo, esca un si gran numero di veri savi, quanti ne uscivano dalle università dei passati tempi, senza escluder quelle, che fiorivano nel medio evo? Se allora si peccava di pedantesco, ora si pecca di frivolo e di superficiale; e quanto a me, preferisco i pedanti agli spirituzzi. Se allora i sussidi letterari abbondavano assai meno che oggi, la leggerezza degli animi e i cattivi metodi rendono al presente poco utili tali sussidi. Non nego i veri e legittimi progressi, di cui si vantano le moderne lettere, eziandio negli ordini insegnativi; ma dico, che andando innanzi da un canto, si dietreggiò dall'altro. Allora, per esempio, l'ufficio del professore consisteva nell'interpretazione di un testo elementare, che esprimeva in modo chiaro, succinto e preciso i principii e le deduzioni fondamentali delle dottrine. Le lezioni erano cotidiane il cattedratico dichiarava a voce, illustrava, svolgeva tritamente e replicatamente il testo vi aggiungeva le notizie opportune: le proporzionava al numero e alla capacità degli udienti. Questi erano spesso interrogati; spesso entravano in disputa fra di loro, sotto l'occhio e l'indirizzo del professore si avvezzavano a rendersi pa

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droni della materia, a penetrarne il midollo, a squadrarla da ogni lato, a discernere le parti oscure o' deboli di una dottrina, ad esporre con precisione e chiarezza i loro concetti, a tenere il diritto filo della logica nei loro ragionamenti. Tali esercizi potevano non esser molto appariscenti, e come oggi si dice, brillanti; ma erano sodi e fruttuosi. Le scuole così ordinate partorivano forti ingegni: da esse uscirono Dante, Galileo, Bacone, il Bossuet, il Leibniz, il Newton, il Linneo, il Vico, il Muratori, e tutti i nomi più gloriosi dell'età moderna. Al presente questa maniera di studiare sarebbe riputata goffa, ridicola, pedantesca, non tollerabile. I professori illustri crederebbero di avvilire la loro eloquenza, se dessero più di una o due lezioni per settimana. Parlano essi soli, durante l'ora e con uno stile, che per lo più non è un modello di elocuzione didascalica, ma che certo è ricco di sentenze, d'imagini e di epigrammi, uccellano agli applausi dell'udienza; perchè misero colui, che nello scendere dalla bigoncia, non fosse accolto con un lieto scoppiettar di palme, e gli toccasse d'uscire dall'aula silenziosa 1. Fra gli uditori poi, pochi intendono, molti ascoltano, tutti applaudiscono. Quei pochi registrano sopra un brano di carta e alla sfuggita i punti principali del discorso; e Iddio sa, che precisione rechino in questo sunto precipitoso, giovani inesperti, impazienti, che non conoscono la materia, l'odono per

1 Parlo di molti professori, non di tutti; perchè sarebbe ridicolo chi volesse negare che nelle varie parti d'Europa ve ne siano assai de' buoni, ed alcuni eccellenti. Ma ciò che soggiungo del poco frutto che cavano i discepoli dalle lezioni, ha luogo più o meno, anche quando chi insegna è eccellentissimo, salvo che alla bontà del cattedrante si congiunga quella del metodo ; il che certo non si verifica, dove regnano gli ordini dell' insegnamento accennati nel testo.

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