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tengono. Ma se per bontà e generosità d'animo, per elevatezza di sentimenti e fermezza nelle opinioni, i nobili piemontesi sono degni di molta lode, essi tendono forse in queste parti, (parlo sempre generalmente,) più al mezzano che al grande, e più al buono che all' ottimo. La quale proprietà è comune a tutti gli abitatori della provincia, ma spicca nella classe illustre, più raccolta in sè stessa, più affinata dalla educazione, più atta a ricevere gl' influssi del paese, e a conservare le antiche abitudini. La nobiltà del Piemonte rappresenta al vivo il genio dei Subalpini intero, saldo, tenace, schiavo della consuetudine, peritoso al sommo di mettere il piede fuori delle orme consuete, e avvezzo a coonestare la pusillanimità e la lentezza coi nomi di prudenza e di moderazione. Tempra d'animo pregevole e biasimevole, secondo i rispetti; la quale riuscirebbe eccellente, quando fosse avvalorata da quella civile educazione, che dilata l'animo, ma non lo snerva, aggiunge alla cautela i nobili ardimenti, e senza nuocere al senno, accresce il vigore. Aggrandite la mente dei Piemontesi, e avrete uomini non indegni di rappresentare al mondo l'Italia rozza, ma fiera dei bassi tempi, e gli spiriti magnanimi dell'antica Roma. Ma nei tempi andati non si mirò a questo scopo; e benchè i governi violenti e tirannici, che insanguinarono le parti più amene della penisola, e quasi tutto il resto d'Europa, siano stati ignoti al Piemonte, la severa storia ci obbliga a confessare che vi furon talvolta depressi gli animi e gl' ingegni. Carlo Botta, scrittore moderatissimo e tenero della monarchia piemontese, discorrendo delle condizioni di essa nel passato secolo, parla in questi termini: Gli studi si fomentavano purchè da un disegnato e stretto <cerchio non uscissero. Nissuna vita nuova, nissun im

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<< pulso, nissuna scintilla d'estro fecondatore; un aere greve « pesava sul Piemonte, e i liberi respiri impediva. L'istesso « vivere tanto assegnato del principe faceva, che la consue«tudine prevalesse sul miglioramento, e che nissuno dall' « usato sentiero uscisse..... Dai duri lidi fuggivano La« grange, Alfieri, Denina, Berthollet, Bodoni, e fuggendo dimostravano, che se quella era per natura una feconda « terra, un gretto coltivatore aveva. Carlo Emanuele e Bogino si martirizzavano sui conti, e le generose aquile, sdegnose di quel palustre limo, a più alti e più propizi luoghi s'innalzavano1. » Ora questa mezzanità d'ingegno fa sì, che i Piemontesi, e in ispezie le classi illustri, se sono estimatrici buone e giuste del valor mediocre, non sogliono apprezzar l'eccellenza il merito straordinario è quasi agli occhi loro temerità e follia. Uomini incorrotti, modelli del perfetto gentiluomo e del suddito egregio, come un Filippo di Agliè, o un Damiano di Priocca, uscirono spesso dal loro seno ma costoro possono sostenere per qualche tempo gli stati vacillanti, non posson mutare in meglio le sorti delle nazioni. A tal effetto la virtù più squisita non basta, se non vi si accompagna l'ardir dell' animo, e l'audacia dell' ingegno. S'aggiunga che per la vicinanza colla Francia, pel dominio antico di questa in vari luoghi del Piemonte, e per le attinenze frequenti dei duchi savoini coi re francesi, il vezzo dei gallizzanti è diffuso fra i Subalpini assai più che altrove, specialmente fra i nobili, i quali credono di nobilitarsi vie meglio, e levarsi sul volgo, affettando di usar modi e linguaggio forestiero. Consuetudine pessima, aiutata dal predominio di un dialetto barbaro e provinciale, che non

1 Stor. d' It. cont. dal Guicc., lib. 48.

può adoperarsi nelle nobili scritture, e dall' incuria, ch' ebbe sempre il governo, di promuovere e diffondere la favella nazionale. Anche oggi nella corte, e in molti crocchi signorili, si usa spesso il francese. Nella stessa lingua sogliono i nobili, e que' borghesi più gentili, che pizzicano di patriziato, dettare le loro polizze e le loro lettere; pur beati, che questo lor francese è per lo più assai piacevole a leggere e a udire; ma il far ridere non è buon ristoro della violata dignità civile. Quindi è, che le strettezze e le miserie del genio provinciale albergano in Piemonte più che altrove, e che una gran parte dei Piemontesi non sanno ancora di essere Italiani. E questa segregazione morale dei paesi subalpini dall' altra Italia, privando i duchi di Savoia dell' amore e del concorso delle vicine popolazioni, tolse forse loro la gloria di signoreggiar la penisola, e di rinnovare l'impero di Berengario. Calcolate tutte queste condizioni, dee certamente parere un miracolo, che Vittorio Alfieri sia nato in Piemonte, e fra' patrizi piemontesi; de' quali alcuni ancor oggi lo disprezzano in cuor loro, come uomo strano e fantastico, pogniamo che il dirlo apertamente sia lor vietato dalla fama. E certo egli avrebbe trovato persecutori sciocchi o maligni, non fautori benevoli fra i ricchi e i potenti della sua provincia, se fosse stato uomo del popolo, e costituito in minor fortuna.

La natura dell'uomo si solleva di rado, e non è mai perfetta, eziandio quando eccede di gran lunga la misura comune. Perciò gli uomini più segnalati sogliono pagare qualche tributo ai vizi del loro secolo: gli contrastano, perchè grandi, gli ubbidiscono, perchè uomini. L'età passata era serva c vile; e l'Alfieri la richiamò a dignità e a libertà : era irreli

giosa; e l'Alfieri cesse al fato comune. La debolezza e leggerezza e corruttela universale aveano lasciato alla religione poco più che i suoi riti, e le sue pompe esteriori. Lo spirito del Cristianesimo s'era ritirato in sè stesso, e in certe anime elette, suo seggio di predilezione e perpetuo santuario. Ivi era d'uopo discendere per respirare l'aere divino, per trovare e contemplare quelle virtù sovrumane, che sono il tesoro immortale della religione e della Chiesa. Le pratiche del culto e gli ordini esterni del sacerdozio, ti additano, dov'è riposta la fiaccola celeste, mentre la velano al tuo sguardo, ti additano, dove devi cercarla, se vuoi possedere un tanto bene, e rinfrancarti al suo calore e alla sua luce. La religione è ad un tempo oscura e luminosa 1, secreta e palese, offerentesi spontaneamente, e non arrendevole, se non a chi la cerca. La grande anima di Vittorio era degna di sollevar questo velo, e di apprezzare quelle dottrine, che aveano rapita la gran mente del Vico, e soggiogati gli spiriti indomiti del Buonarroti e dell' Alighieri. L'ammirator della Bibbia, l'autor del Saulle, il lodatore del Savonarola, l'amatore ardente della libertà italiana, il fiero disprezzatore d'ogni moderna mollezza e barbarie, era nato a misurar l'altezza e l'efficacia dell'Idea cattolica. E sappiamo che verso il fine de' suoi giorni parve averne un sentore; sappiamo che si dolse de'suoi trascorsi giovanili, e di certe licenze della sua penna. Lo accennano le sue ultime scritture, e in specie alcune poesie; e basterebbe a mostrarlo quel suo verso, strano si, ma che vale un libro, dove parlando del Voltaire, lo chiama

« Disinventore od inventor del nulla. »

1 Quasi lucernæ lucenti in caliginoso loco. 2. Pet., I, 19.

Certo chi scrisse queste parole avea come un sentimento. che il bello, il vero, il positivo della vita è nella religione, e che senza di essa il tutto è niente. Nè l'autor del Misogallo poteva ignorare che l'incredulità moderna in Italia è merce forestiera (28).

Nel genio civile e nazionale consiste la volontà dei popoli. Imperocchè gli stati hanno essere di persona, come gl'individui, e son dotati, nè più nè meno, d'intendimento e di volere; e come l'individuo muore, quando le potenze dell'animo cessano dal commercio organico, così una nazione si estingue, quando perde la sua morale e politica indipendenza. Perciò le influenze dell'indole nazionale nel destino dei popoli corrispondono agl' influssi della facoltà volitiva nelle altre doti dell' uomo individuale. L'Alfieri tentò di ravvivare il volere e il nome italiano, e ne insegnò il modo. Or si può egli rinvigorir del pari la volontà degl' individui, che è tanta parte della moralità e dell' ingegno? Per soddisfare a questa domanda, dobbiamo investigar le cause, per cui si è infiacchita l'attività, e conseguentemente scemata la capacità intellettiva degli uomini. In tal guisa siam ricondotti al soggetto principale del nostro discorso.

Le forze della volontà, dipendendo dall' uso che si fa di essa, sono, per molti rispetti, opera dell' arte. L'arte è una sapiente abitudine, cioè la ripetizione degli stessi atti, dirittamente ordinata da certa regola. Ella è cosa razionale e meccanica ad un tempo, presupponendo la cognizione dello scopo e dei mezzi, nel che consiste la regola, e l'iterazione frequente e diuturna di certi atti, donde nasce la consuetudine. Se per fortificare la volontà, bisogna esercitarla, secondo un certo

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