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nei costumi, negli errori, nelle opinioni. L'Italia è da gran tempo serva d' Austria, serva di Francia; schiavitù esterna e materiale da un lato, interna e spirituale dall' altro. Ora questo secondo servaggio è tanto più pestifero, quanto più riposto, più intrinseco e difficile a sradicare. Importa certamente agl' Italiani di sottrarre il collo dal giogo viennese; ma dee loro importare non meno e forse più, di liberar l'ingegno dai vergognosi lacci di un idioma disarmonico e imbelle, di costumi leziosi e effemminati, di una scienza frivola o falsa, di una letteratura posticcia e deforme, 'di una politica puerile e ciarlicra, di una filosofia empia, od ipocrita e traente all' empietà. E quando si scotesse solo il primo giogo, si sarebbe fatto poco, perchè invece di acquistar libertà, si muterebbe signore. Quando l'Alfieri nacque, le condizioni d'Italia eran forse, per questo secondo rispetto, peggiori cziandio che al presente; e non è dir poco. Pareva che tutta la penisola fosse divenuta una Gallia cisalpina. Religione, o piuttosto irreligione, favella, versi, prosa, belle arti, filosofia, politica, modo di pensare e di sentire, di operare e di scrivere, era forestiero: l'Italia era uno spartimento francese assai prima di Napoleone 1. Le armi altrui, e la codardia nostra, suggellarono poscia l'indegna servitù. Perciò, quando l'Alfieri osò pensare, osò dire apertamente, e tonare colla terribile sua voce, sotto il ferro dei conquistatori, che gl' Italiani per sito, per natura, per genio, per la dignità e felicità propria, per la ricordanza delle antiche glorie e delle antiche sventure, dovevano esser nemici, anzichè ligi e sudditi, ai Francesi,

1 La setta dei gallizzanti era così radicata ed estesa, che Lodovico decimoquinto avrebbe potuto dir con ragione che non c'erano più Alpi, imitando una celebre frase del suo avolo.

questo grido ebbe il pregio di una scoperta, e il coraggio di una protesta, contro l'insulto dei vincitori e l'ignavia dei vinti. Ma l'Astigiano con quell' istinto penetrativo dei poeti sommi, qui non ristette: vide più innanzi : ebbe virtù di salire alle fonti del male, e conobbe che gl' Italiani erano divenuti una generazione bastarda, per aver tralignato dai loro antichi conobbe che per uscire di tanto lezzo, dovevano ritirarsi verso i loro principii, e rinnovare l'età di Dante, del Petrarca, del Savonarola, del Machiavelli, di Michelangelo; età aurea, che venne meno, quando periva la repubblica di Firenze, seggio delle nostre lettere e del nostro civile splendore, e spirava il suo gran Segretario, degno per amore di patria, d'essere chiamato, come il Ferrucci, l'ultimo degl' Italiani. Che di più vero e di più doloroso in un tempo di queste memorande sentenze? Chi può oggi negare che per molti rispetti il medio evo d'Italia sia l'età moderna? Ma che libertà e forza d'ingegno non richiedevasi per pensarc e parlare in questo modo, quando il Cesarotti, l'Algarotti, il Bettinelli, il Roberti, il Galiani, e tanti altri di questa razza, erano colla voce o cogli scritti maestri di eloquio e di senno alla penisola?

L'Alfieri, come poeta illustre e amatore di libertà, ha dei compagni; come restitutore del genio nazionale degl' Italiani, non ebbe competitori nè maestri. Quest' onore è suo privilegio, e gli assegna un seggio unico fra le glorie nostre. Che gl'Italiani abbiano un genio nazionale loro proprio, pare una trivialità a dire; non per tanto il primo, che concepì distintamente questa formola, non poteva essere un volgare ingegno. Le verità morali paiono comuni, ovvie, agevolissime a trovare, come prima son concepite; ma l'esperienza ci mostra

che il rinvenirle e trarle alla luce, sovrattutto quando fa d'uopo contrastare ai tempi e all' opinione, non è impresa da spiriti volgari. Qual cosa è più facile, che il dire agli uomini : voi siete fratelli? Tuttavia anche coloro, che hanno la sventura di non riconoscere nel Cristianesimo la sua divina origine, ammirano, come straordinario, il trovato della fratellanza umana. A poter affermare che gl' Italiani non debbono essere altro che Italiani, richiedevasi un concetto vivo e profondo di quella medesimezza e personalità civile, che è la vita delle nazioni. Il qual concetto era una scoperta morale, che conteneva il germe della redenzione patria; imperocchè nei popoli, non meno che negl' individui, la personalità sussiste, come tosto se ne ha il sentimento. Se questo germe diverrà una pianta, com'è da sperare, coloro fra i posteri, che godranno del gran riscatto, dovranno innalzare, non una statua, ma direi quasi un tempio, a Vittorio Alfieri.

Anche dopo questo illustre esempio, gl' Italiani lasciano talvolta molto a desiderare in ciò che spetta alla grandezza dell' animo, e al decoro della vita, sovrattutto quando si trovano in paese forestiero. Perdonimi il lettore, se io parlo; ma quando si tratta di certi scandali pubblici, credo più dignitoso il condannarli altamente, che il dissimularli. Non so, se il grande Alfieri si sarebbe indotto in qualunque fortuna ad essere cittadino francese; ma so, che se avesse desiderato questo titolo, certamente onorevole, non avrebbe rinnegata la patria per conseguirlo. Il conculcare e lo spergiurare la patria, che il Cielo ne ha dato, per guadagnarne un' altra, è solenne viltà. E pure si son trovati alle volte degl' Italiani, che a tal effetto hanno dichiarato e provato per vie giuridiche, sè esser nati, quando il loro paese

gemeva sotto il giogo forestiero. Che direbbero i Francesi di un loro compatriota, che per ottener la cittadinanza di Vienna o di Pietroborgo, si gloriasse di esser venuto alla luce, quando i lanzi e i cosacchi serenavano sulle sponde della Senna? Che pudore di uomo è questo, e che pietà figliale di cittadino, il rimemorare e rogare in pubblico, come una spezie di vanto, le vergogne della madre? Ciò mi rammenta quel Ninfidio caro a Nerone, e quel Sabino, menzionati da Tacito, che si facevano figliuoli di Caio e di Giulio cesari, e si recavano a gloria la lor bastardigia 1. Ho voluto toccare questa indegnità, rinnovata più volte e stomachevole ai buoni, riprovandola col debito vituperio, non già per tassar nessuno in particolare, o per oscurare con questo fallo le qualità lodevoli di chi può averlo commesso, ma acció gli stranieri non credano che tutti gl' Italiani siano di tal tempra, e si pregino di esser nati in patria schiava, per ottenere il diritto di viver liberi altrove.

Ma per tornare all' Alfieri, chi voglia apprezzare condegnamente quest' uomo straordinario, dee por mente alla classe onde uscì, e alla provincia ove nacque. Egli fu nobile piemontese. Ora fra i patrizi italiani, si può dire che i nobili piemontesi sono quelli, in cui maggiormente si conservano gli antichi spiriti degli ordini feudali. I quali nel loro fiorire traevano seco molte enormità, e viziavano i possessori di quelle cupidigie, che nascono dall' eccesso della potenza; ma scaduti, quando i fieri e terribili castellani s'ingentilirono nelle città e nelle corti, e poscia ridotti a poco altro che un privilegio di onore, conferirono ai loro eredi molti pregi e

1 TAC., Ann., XV, 72. Hist. IV, 55.

vantaggi. Tali sono una grandezza d'animo signorile, una specchiata rettitudine, una rara squisitezza e generosità di sentimenti, una delicata destrezza ed eleganza di maniere, una costante dignità nei portamenti e nella vita. Le quali doti sono così importanti al vivere civile, e alcune di esse così rare negli altri ordini dei cittadini, che quando sarà dato all' Italia di risorgere, i nobili italiani, e singolarmente i piemontesi, potranno essere principale strumento di libertà patria. Egli è vero che questo alto sentimento della dignità loro degenera spesso in boria, tollerabile nei pochi, che sanno temperarla di condiscendenza e di dolcezza, spiacevole nei molti, che non usano di mitigarla; perchè i nobili, come ogni ceto, ha pure il suo volgo, e il volgo non è mai la parte più scarsa o men romorosa. Il qual concetto della propria maggioranza è ingenito nel patriziato piemontese : te lo fanno sentire fra le cortesie: signoreggiano, inchinandosi; e si mostrano tuoi padroni, dichiarandosi tuoi servi. Onde é raro che qualunque virtù d'animo e d'ingegno riesca affatto a sradicarla: l'Alfieri stesso per questa parte visse e morì patrizio. L'Alfieri, che nel principio della sua Vita si rallegra di esser nato nobile, per poter senza taccia d'invidia gridar contro i nobili, non s'accorge che a questa stregua egli non poteva inveir contro i principi, perchè non era nato principe. Tali sono i nobili piemontesi: la grandigia aristocratica è in essi una seconda natura, e tira spesso a magnanimità, spesso a superbia. Ma non so, se i borghesi, che gli adorano presenti e gli bestemmiano assenti, abbiano ragione di dolersi del secondo effetto; perchè se gli uni sono superbi, gli altri sono vili. Ogni qual volta i popolani sono vilipesi e manomessi dai patrizi, ne accusino principalmente sè stessi, che non sanno mantenere il decoro della classe, a cui appar

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