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se non gli scritti che ho potuto vedere; il che stimerei superfluo di avvertire, se non fosse oggi assai comune l'uso di copiare le citazioni altrui, e di ostentare con pochi libri una ricca e facile erudizione. Quando per qualche cagione mi fu interdetto di studiare una scrittura, onde ho preso notizia di seconda mano, l'ho espressamente accennato; tantochè il lettore può essere sicuro che degli autori ch' io cito per modo diretto, non ve ne ha un solo, ch' io non abbia letto per lo più da capo a fondo, o almeno consultato diligentemente.

Nelle quistioni risguardanti l'antichità e le origini, raro è che si possa aver piena certezza, e chi ottenga una certa verosimiglianza, dee stimarsi aver fatto molto. La quale risultando per lo più dal concorso di molti probabili, ciascuno de' quali sarebbe forse separatamente di poco peso; niuno di essi si dee dal critico disprezzare. Perciò, se al lettore paresse che io faccia caso talvolta di deboli argomenti, avverta che sovra di essi soli non fondo mai le mie induzioni o deduzioni; le quali soglio appoggiare a una tal congerie di prove, che ancorché mancassero alcune di queste, non se ne annullerebbe però la verosimiglianza di quelle. Vero è che la concisione, a cui venni obbligato dall' abbondanza della materia, e la necessità di evitar le ripetizioni, non mi hanno permesso di dichiarar sempre le cose, ma solo di accennarle; credo però di aver detto tanto che basti a chi conferirà insieme le varie parti del mio libro, e recherà qualche attenzione nella lettura di esso. Ben si sa che i leggitori debbono possedere molte notizie, almeno generiche, sulle lingue, sul paese, sugli annali e sulle condizioni de' popoli; imperocchè io non iscrivo elementi di geografia,

di storia, di etnografia, di archeologia, o di altra simile disciplina. Laonde chi fosse affatto ospite in queste materie non potrebbe a buon diritto imputarmi le oscurità e le lacune del mio discorso.

Io ho recato in questa parte della mia scrittura tutta quella esattezza, di cui sono capace, e che mi venne conceduta dai pochi mezzi estrinseci di erudizione, onde posso disporre. Quando per corroborare un assunto scientifico, altri si dà a squadernare libri di storia e di archeologia, e razzolarvi argomenti a proposito della sua preconcetta opinione, il lavoro che ne risulta non può far che non riesca stiracchiato e superficiale. Non che procedere per questa via, io non ho mai accomodati i fatti alle idee, come anche non ho mai subordinate le idee ai fatti, che sarebbe un disordine ancor più grave dell' altro. Le idee e i fatti sono due ordini paralleli, che debbono armonizzare spontaneamente, senza violenza reciproca. Ma per la natura dello spirito umano, nello stesso modo che la cognizione ideale dee porgere il filo opportuno per camminare nella regione dei fatti, senza smarrirsi, così l'esame minuto e diligente dei fatti, può e dee correggere e perfezionare la cognizione ideale; tantochè i due ordini si aiutino a vicenda. Non si dee però mai dimenticare che ciascuno di essi dee reggersi da sè, e che non è mai lecito l'introdurre artifiziatamente fra loro una corrispondenza, che quando non sia naturale e spontanea, non ha alcun valore.

A malgrado di questa mia diligenza, non ignoro che molti chiameranno per istrazio il secondo libro della mia opera una compilazione, e crederanno con questo di averlo condan

nato. Ma io vorrei domandare a costoro, che cosa intendono con questa parola. Se il compilare è un raccoglier fatti, ogni filologo, archeologo, storiografo è un compilatore; e il nome in tal caso è onorevole, come l'ufficio. Se poi si chiama compilare l'adunar fatti, traendoli, non dalla fonte, ma dai rivi, avverto che ne' lavori generali, come il mio, non si può fare altrimenti. Tal è la brevità della vita e la moltitudine delle materie, ch' egli è impossibile eziandio agli uomini dottissimi, (fra' quali io non ho la temerità di collocarmi,) l'attingere i fatti dalle sorgenti, se non quando si tratta d'investigazioni parziali. E in ciò consiste l'utilità della divisione introdotta nei lavori letterarii e scientifici; mediante la quale, gli studiosi limitandosi a una parte dello scibile, e consacrandole exprofesso il tempo e l'ingegno, possono addentrarsi nel loro subbietto, e acquistarne quella cognizione più compiuta e profonda, che è dato all' uomo di conseguire. Il che sarebbe impossibile, se ciascuno aspirasse alla scienza universale, e volesse fornir da sè solo l'opera di molti, anzi di tutti. La mania di essere enciclopedico potea passare per ragionevole e proficua, quando le scienze erano bambine: come queste furono cresciute a un certo segno, potè parer tuttavia plausibile, benchè non esente da temerità: al di d'oggi non è più che ridicola. Chi oserebbe ora pretendere di posseder solamente una dozzina di scienze o di lingue orientali? Se alcuno vi aspira tuttavia, ciò mostra che la generazione dei pazzi è perpetua, e che si dee stimare di aver fatto molto, quando è permesso di riderne. Ma i lavori parziali dei dotti sarebbero inutili, se gli uni non potessero profittare delle altrui fatiche, in ordine ai propri studi; giacchè tali sono le congiunture scambievoli di tutte le scienze,

e specialmente di alcune fra esse, che non si possono coltivar

a dovere, senza un aiuto e un concorso reciproco. Ora siccome è impossibile il far professione di molte; resta, che quando uno ha bisogno per gli studi suoi di dati e di notizie estrinseche, le pigli dai periti; i quali gliele daranno molto migliori, più copiose e più sicure, che non potrebbe, senza il debito apparecchio, procacciarsele da sè. Per tal modo le varie discipline si aiutano, e la dottrina propria di ciascuno studioso diventa all' occorrenza comune di tutti. Il che si ricerca sovrattutto nei lavori generali, com' è il saggio presente; nel quale dovendo discorrere per tutti i popoli dell' antichità, e rintracciare la formola fondamentale della loro dottrina, mi è forza ricorrere alle lucubrazioni di quegli uomini dottissimi, che hanno fatto uno studio profondo di ciascuno di quelli. Sarebbe tanto ridicolo dalla parte d'altri il richiedere di più, quanto dalla mia il voler fare di più.

E veramente tornerebbe cosa singolare, se altri non potesse discorrere, verbigrazia, delle antichità indiche, iraniche, semitiche, mongoliche ed americane, dei geroglifici di Tebe e di Palenco, dei caratteri cuneiformi, delle rune scandinaviche, dei nodi peruviani, de' segni numerici usati dagli Ardri, dai Guanchi e dai Cinesi, e di cento altre cose su questo andare, prevalendosi delle fatiche degli eruditi, non già per ripeterle, e fare un vano scialacquo di erudizione, ma per applicarle allo studio delle idee, e alla ricerca delle origini e delle dottrine. Imperocchè io chieggo, per qual fine abbiano scritto tanti valentuomini, che consumarono una lunga vita e un ingegno fortissimo nelle ricerche erudite, se il filosofo non può valersi dei loro lavori, e dee risalire direttamente agli originali? Se io volessi imparar, per esempio, gli elementi del sanscrito o dell' arabico, non ho si poca

fiducia nella mia memoria, che non mi credessi in grado, dopo qualche mese di studio, di lardellare il mio libro con citazioni orientali, che farebbero strabiliar gl' ignoranti, e darebbero loro un gran concetto della mia erudizione. E forse alcuno direbbe vedi che cima d'uomo! Egli fa professione di filosofo; e pur sa tutte le lingue! Ma non per tanto ingannerei i savi, che sanno distinguere la dottrina superficiale e accattata dalla propria e profonda. E certamente non ingannerei me medesimo, persuaso come sono, che niuno può sapere sufficientemente una sola lingua dotta da poter interpretare con sicurezza i monumenti, se non dopo un assiduo studio di molti e molti anni. Io ho conosciuto valentissimi grecisti, che dopo un' applicazione indefessa di due lustri e più, dicevano di non sapere il greco, e andavano a rilento, e tremavano, quando si trattava di decidere qualche punto oscuro e difficile di ellenica filologia. E altri vorrà spacciarsi orientalista dopo uno studio di qualche mese! Se nelle stesse favelle moderne, che ci sono più famigliari, non si può salire alle origini, e diciferare le antiche memorie, senza uno studio particolare; se pochi dotti si trovano in Italia, in Ispagna, in Francia, che posseggano una recondita cognizione della loro propria lingua, benchè imparata dall' infanzia; vorrem credere che il negozio sia più facile e spedito intorno agl' idiomi orientali così ricchi, così complicati, così alieni per suono e per indole da ogni nostra consuetudine? Se adunque io ricorro all'autorità degli orientalisti e dei filologi di professione, non tanto che meriti scusa, credo di dover esserne lodato. E siccome l'autorità degli eruditi si diversifica, secondo gli studi e gl' ingegni; onde nel valersi delle loro testimonianze, egli è 'uopo pesarle, anzichè farne il novero; io ho cercato di

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