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ne' cimenti e nei pericoli, la pazienza nei dolori, la magnanimità negl' infortunii, la fermezza nelle risoluzioni, la dignità di tutta la vita. Perciò, se queste doti sono oggidì tanto rare quanto maravigliose, e se il nostro secolo difetta di ciò che chiamasi carattere morale, e non ignora affatto la propria penuria, ciascun vede, qual sia la cagione di essa. Il carattere morale vuole una volontà robusta e imperiante, non molle, non infingarda, non arrendevole ai capricci del senso, della fantasia, delle passioni. Un uomo dotato di mente viva, ma debole, è capace d'impeti subiti, atti a produr qualche effetto; se non che, l'impeto non dura, e gli effetti svaniscono, perchè la sola tenace insistenza dell' animo in un oggetto determinato può partorire opere durevoli. I Francesi hanno certamente molti e rari pregi, che io non istarò a ripetere, perchè tutti li sanno, ei lor possessori hanno cura di ricordarceli a ogni poco. La dote, che loro manca, è la longanimità; ed è forse bene che non l'abbiano, per la libertà degli altri popoli; perchè, se i Francesi agli altri vantaggi di natura e di fortuna accoppiassero la tenacità inglese o spagnuola o romana, l'indipendenza di Europa fora ita da gran tempo, e Parigi sarebbe forse al di d'oggi la capitale del mondo. Ma l'Ariosto avea ragione di avvertire che il giglio non poteva allignare in Italia; ed io aggiungo che la Francia non ha mai serbato lungamente le sue conquiste e le sue colonie in nessun luogo, e che si può applicare alla sua potenza politica quel che gli antichi dicevano del suo valor militare, e ciò che il Segretario fiorentino ripeteva dei Francesi suoi coetanei 1. E questa è la principal cagione, per cui la monarchia civile

1 Disc., III, 36.

sarà sempre necessaria in Francia; perchè quando i cittadini sono instabili, ci vuole di necessità un braccio regio, che supplisca alla debolezza delle volontà particolari. La levità francese è passata in proverbio; e s'egli è poco filosofico il rallegrarsi dei difetti delle altre nazioni, noi possiamo tuttavia consolarci di quelli dei nostri vicini; perchè, lo ripeto, se avessero più del virile e del saldo, l'Europa sarebbe schiava delle loro armi, come lo è della loro lingua e delle loro opinioni. Ben mi duole che in vece d'imitare i Francesi nelle buone ed egregie loro parti, gli altri popoli si studino di emularli in questa leggerezza. Emulazione, che certo è facile, ma pestifera; imperocchè, se le frivole abitudini sono oggidì più o meno la pecca di tutte le nazioni civili, ciò si dee attribuire in parte all'influsso morale della Francia.

La cognizione dipende dal volere, e l'atto cogitativo è un' applicazione particolare dell' attività dello spirito. La quale attività intima e semplicissima, che rampolla dall' unità sostanziale dell' animo, e con un atto primo raggia intorno a sè le moltiplici potenze, donde nascono le varie modificazioni di esso animo, diventa libera in un atto secondo, quando accompagnandosi al pensiero già procreato, elegge fra le rappresentazioni esteriori quelle che più le garbano, e si affisa in esse, o per meglio conoscerle, o per modificarle, ed esercitare le sue facoltà nel giro della vita esteriore. Per tal modo l'attività sostanziale dello spirito, generativa de' suoi poteri, diventa arbitrio, collegandosi colla cognizione; e quindi riflettendosi nella cognizione stessa, la rinforza, l'accresce, la perfeziona, le dà la forma esquisita e matura di scienza. La scienza è adunque la perfetta cognizione delle cose, acquistata, mediante l'applicazione continua dell' arbi

trio agli oggetti conoscibili; la quale, chiamandosi poi attenzione, riflessione, o contemplazione, secondochè l'oggetto in cui si esercita è fuori, dentro, o sopra del nostro spirito, partorisce il giudizio, il raziocinio e tutte le operazioni logicali, che sono le varie fogge, con cui la facoltà volitiva si esercita sulle apprensioni dell' intelletto. I psicologi hanno già avvertito e analizzato questo intervento del volere nella cogitazione; ma ciò che importa qui il notare si è, che la perfezione del risultato, cioè l'incremento della cognizione da ottenersi coll' indirizzo speciale dell' arbitrio, è sempre proporzionato alla forza, lunghezza e intensità di questo indirizzo, che è quanto dire dell' attenzione e delle altre operazioni summentovate. E siccome l'invenzione, che è la cima dell' ingegno scientifico, consiste nell' aumento della conoscenza ottenibile pel detto modo, ne segue che la virtù inventiva e creativa dipende, almeno in parte, dal vigore della volontà, e che tanto maggiori sono i suoi acquisti, quanto è più efficace e costante il concorso dell' arbitrio. Non è dunque meraviglia, se la leggerezza degli animi, e l'imbecillità dei voleri, che mettono in fondo la vita morale dell' uomo, e la spogliano di ogni grandezza, partoriscano simili effetti nella vita contemplativa, e siano non meno funeste alle nobili discipline, che agli atti virtuosi e alle magnanime imprese. Perciò la storia ci mostra la declinazione morale e politica degli stati accompagnata, o di corto seguita, dallo scadere delle scienze e delle lettere. Tanto è vero che la volontà si ricerca, non meno dell' ingegno, a far gli uomini grandi e i popoli famosi. Anzi l'ingegno non è altro in gran parte, che la volontà stessa, e riesce tale in effetto, quale ciascuno sel forma. Imperocchè, s' egli è vero, come è verissimo, che la natura porge diverse e ineguali attitudini

ai vari intelletti, e li diversifica così di grado, come d'indole conoscitiva; non è meno indubitato che le forze dell' ingegno dipendono grandemente dall' uso che se ne fa, e dall' indirizzo che loro è dato. Mediante un assiduo e tenace esercizio e un buon metodo, un ingegno infimo può divenir sufficiente; un ingegno mezzano può farsi sommo. Nè credo che la natura, benchè faccia gl'intelletti ineguali, crei un ingegno sommo; ma penso che quelli, i quali vengono onorati con questo nome, siano per molti rispetti fattura dell' arte; tantochè, se si fossero negletti, e non avessero aggiunta ai privilegi naturali una volontà indomabile, non sarebbero divenuti eccellenti. E veramente, per quanto io mi sappia, la storia non ci porge alcun esempio di un uomo grande in qualche genere, nel quale ai pregi dell' intelletto non si accoppiasse una volontà fortissima. Dovechè all' incontro si fa menzione di parecchi, che vissuti per qualche tempo in concetto di uomini mediocri agli altri, e forse anco a sè stessi, pervennero in sèguito, volendo e faticando, alla cima della perfezione. Insomma si vede che la natura improvvisa bene spesso una capacità mezzana, ma non mai un valore straordinario. Se gli uomini si persuadessero bene di questa verità, potrebbero far miracoli. Le vocazioni morali e intellettuali sono cosi diverse, che io porto opinione, non esservi alcuno, se già non è affatto scemo, che non abbia sortito da natura qualche speciale abilità, e non sia in grado, conoscendola e coltivandola con ardore e costanza, di riuscir buono, anzi ottimo, nell' esercizio di essa. Non è mica il naturale ingegno, ma l'attività, la pazienza, la fermezza, l'ostinazione dell' animo a superare gli ostacoli, a indirizzare costantemente verso un solo oggetto le loro fatiche, che manca al comune degli uomini. L'esperienza ci attesta, quanto l'eser

cizio accresca la forza della memoria, e quanto avvalori le disposizioni richieste alle opere meccaniche. L'esercizio crea pure la virtù, e non solo la virtù ordinaria, ma eziandio la virtù eroica. Or chi vorrà credere che l'intelletto non soggiaccia alle stesse condizioni, e che la volontà non possa far prodigi, eziandio in questa parte? Se Bacone diceva che l'uomo tanto può, quanto sa, si può aggiungere, non meno ragionevolmente, ch' egli tanto sa, quanto vuole. La volontà, potenza creativa, che ci assomiglia al supremo Fattore, e principio di morale eccellenza, conferisce all' uomo il principato della natura, e gli porge i mezzi di conoscerla e trasformarla, onde stabilire il suo proprio imperio. Isacco Newton interrogato, come avesse fatto a scoprire il sistema del mondo, rispose: pensandoci assiduamente. Certo non si richiedeva un ingegno meno stupendo, che quello di un tant' uomo, alla mirabile scoperta ; ma si può affermare con egual sicurezza che anche il Newton sarebbe venuto meno nel difficile aringo, se un ardore incredibile e studi fortissimi non si fossero aggiunti alla grandezza dell' ingegno.

Questo zelo ardentissimo e questa alacrità di studi diventano di giorno in giorno più rari nella repubblica delle lettere. Niuna età fu così corriva, impaziente come la nostra, e l'impazienza è nemica mortale del sapere. Si desiderano le cognizioni, parte per ambizione e per amor del guadagno, che se ne può conseguire, parte ancora per quel desiderio del vero, che Iddio c'infuse nell' animo; ma non si vuol faticare per acquistarle. Quasi che l' uomo possa rendersi perfetto in qualsivoglia genere, per via di ozio e di trastullo; e godersi su questa terra, sciolto dal tempo, i privilegi dell'· eternità. Iddio solo con un semplice intuito abbraccia l'uni

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