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trine un teismo purissimo al sembiante, e volle stabilire sopra una salda base la spiritualità degli animi umani. Ma il teismo del Descartes è puerilmente paralogistico. Il suo dubbio metodico e assoluto, e il riporre ch' egli fa nel fatto del senso intimo la base di tutto lo scibile, conducono necessariamente alla negazione di ogni realtà materiale e sensibile. Chi muove dal dubbio, non può riuscire che al dubbio; perchè la cima della piramide scientifica dee rassomigliare alle fondamenta. Chi parte da un fatto, non può giungere al vero; giacchè il fatto è contingente e relativo, e il vero nella sua radice necessario e assoluto. Perciò il sensismo spogliato delle contraddizioni de' suoi partigiani, e ridotto al suo vero essere dalla logica severa di Davide Hume, riuscendo a un giuoco subbiettivo dello spirito, che, rimossa ogni realtà, è costretto a trastullarsi colle apparenze, è propriamente scettico, e si manifesta come l'ultimo esito di ogni dottrina, che metta nel sentimento dell' animo proprio i principii del sapere. Se il Locke e lo stesso Condillac non seppero avvertire questa conseguenza, si mostrarono però più accorti del Descartes, ripudiando quell' audace razionalismo, che il filosofo francese avea fabbricato in aria; e se non furono troppo sagaci, parvero almeno giudiziosi. La filosofia francese del secolo decimottavo, rinchiudendosi tutta quanta nel giro delle cognizioni sensibili, e ristrignendosi allo studio dell' uomo, della società e della natura, secondo l'apprensione subbiettiva che se ne può avere, senza curarsi della loro obbiettiva entità, è la continuazione legittima del Cartesianismo; dico legittima, posto che vogliasi evitare a ogni modo il dubbio assoluto; giacchè il sistema cartesiano preso a rigore esclude ogni sapere. Ma se si fa buona questa contraddizione non evitabile, l'assioma del

Descartes, che piglia le mosse dal pensiero, non già come intuito obbiettivo, ma come modificazione subbiettiva, o vogliam dir sentimento, non poteva partorire altro risultato, che la scienza ipotetica dei sensibili, nella quale consiste veramente tutta la dottrina del secolo diciottesimo.

Fra gli antichi Cartesiani di professione, Niccolò Malebranche è il solo filosofo illustre, di cui la scuola francese possa vantarsi. Nel quale si trovano come due uomini distinti e contrarii, l'imitatore e l'autore, il discepolo e il maestro, il seguace di Cartesio, e il pensatore indipendente dalle opinioni de' suoi coetanei. Per buona ventura, le parti essenziali del suo sistema appartengono al secondo personaggio, e non al primo. Ciò che assicura al Malebranche un nome duraturo negli annali della scienza, è la teorica della visione ideale, onninamente contraria ai dogmi cartesiani; per la quale egli si fa continuatore della vera scienza, e per mezzo di san Bonaventura, di santo Agostino, e degli Alessandrini, risale fino a Platone. Che se egli parteggiò per Renato, non che lodarnelo, si dec piuttosto riprendere, nè sarebbe difficile il provare che i suoi difetti, e gli errori, che provocarono la giusta disapprovazione de romani censori, dell' Arnauld e del Bossuet, muovono almeno indirettamente dai principii viziosi del Descartes, e mostrano la leggerezza propria di questo filosofo. Ma fuori degli accessorii, il Malebranche non è cartesiano; salvochè, denominando un uomo da una setta, se ne voglia inferir fra loro, non una parentela intrinseca e reale, ma una semplice connessione storica. Le cause occasionali di un sistema differiscono dalle efficienti; e se un trattato del Descartes, come si racconta, rese conscio il

Malebranche della sua vocazione a filosofare, qualunque altro libro di argomento speculativo avrebbe potuto svegliare il suo ingegno, e partorire lo stesso effetto (20). Nulla dirò dell' Arnauld, del Nicole, del Bossuet, del Fénelon, sia perchè non furono di professione filosofi, e perchè abbracciarono solo una piccola parte dei dogmi cartesiani, repugnante, non che estranea, ai principii di Cartesio, anzi riprovarono espressamente essi principii, e furono fedeli al genio e ai precetti dell' antica scienza.

I filosofi tedeschi, avendo nelle dottrine protestanti uno strumento docile e arrendevole ai capricci dello spirito speculativo, non ebbero cagione di avversare espressamente il principio religioso, che d'altra parte ha per essi una grande e quasi invincibile attrattiva. E benchè per un effetto inevitabile dell' alterazione succeduta nei dogmi rivelati, per l'indole del metodo dubitativo ricevuto dalla Riforma, e del processo psicologico, (che presero dal Descartes,) contrarissimo al vero processo ideale, corrompessero le verità della ragione, tuttavia ne serbarono sempre una parte, mediante la radicata tradizione e la consuetudine, coltivandola con indicibile amore, a dispetto dei principii da lor professati, e del metodo filosofico che adoperavano. Accennerò altrove, per qual fato di logica, le principali scuole posteriori a quella di Emanuele Kant siano precipitate nel panteismo. Il panteismo annulla in effetto il concetto di Dio, benchè in apparenza lo esageri, ne accresca l'estensione e l'importanza. Onde il panteista rigoroso è necessariamente ateo; come si vede in Benedetto Spinoza, ch'è il più rigido dei panteisti moderni e forse di tutti i tempi; tantochè farebbe meraviglia il trovare presso uno scrittor moderno la sentenza contraria,

se non si potesse conghietturare che, secondo l'uso corrente, egli ha parlato del filosofo israelita, senza leggerne accuratamente le opere (21). Ma i moderni Tedeschi, fra i traviamenti del loro panteismo, serbarono all' idea divina una parte delle sue originali fattezze; mantennero in Dio e nell' uomo l'arbitrio e la moralità, e alcuni di essi perfino l'individualità umana; benchè tutti questi dogmi repugnino manifestamente ed assolutamente ai primi principii del panteismo. I quali con iscapito della severa logica, ma con utile della società, e ad onore dei medesimi filosofi, furono temperati in Germania dalle verità ideali, custodite in parte per opera della religione, e vennero così spogliati delle loro conseguenze più orribili e funeste. Ragguaglia i filosofi francesi dell' età passata cogli alemanni, e troverai due dottrine, che benchè muovano da principii comuni, si diversificano affatto nel loro progresso. I primi non escono quasi mai dalle cose sensibili trattano dell' uomo, della società, della natura, come di oggetti posti davanti agli occhi s'alzano di rado dall' ordine materiale all' ordine morale dell' universo: impugnano o trascurano l'idea divina, ovvero la confinano in un angolo, come un mero probabile a uso del volgo, o come un corollario di poco momento, come un dogma accidentale e secondario. All' incontro il concetto di Dio, benchè oscurato, spazia nelle scuole germaniche, ne modifica il lavoro dialettico, imprime in esse una grandiosità, che ti mostra ne' lor seguaci, fra gli errori più deplorabili, un nobile e robusto pensare, dove i sofisti francesi paiono barbogi o fanciulli. Conciossiachè, essendo Iddio il principio vitale della scienza, come della natura, il pensiero umano in tanto ha forza e vigore, in quanto riceve i benefici influssi dello spirito creatore e

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animatore dell' universo. L'ateismo negativo e positivo è l'agonia e la morte del sapere. Ora la filosofia francese, generalmente parlando, è atea, in quanto impugna il concetto divino, o ne fa un semplice accessorio. La filosofia germanica, correggendo in qualche modo coi dogmi tradizionali, il suo processo scientifico, conservò un'ombra di religione, che si diffuse in ogni sua parte, e valse procacciarle qualche spazio di vita.

Emanuele Kant, che fece in Alemagna con rara profondità d'ingegno, degnissima di una causa migliore, ciò che il Descartes avea tentato in Francia con incredibile leggerezza, pare a prima vista disforme dall' indole segnalata delle scuole tedesche. Nella Critica della ragion pura, dove segue il processo cartesiano, la psicologia annulla l'ontologia, per un effetto necessario del metodo protestante, applicato alle materie razionali. Ma le antinomie speculative furono corrette dall' imperativo categorico, che ristabili sotto una forma morale l'Idea dianzi distrutta, e spianò la via ad Amedeo Fichte, le cui dottrine ontologiche si connettono strettamente piuttosto colla ragion pratica, che colla ragion pura del suo precessore. La pietà connaturata all' ingegno germanico, l'educazione austera, che il Kant ebbe in buona sorte di ricevere, e l'animo suo virtuoso, lo salvarono con felice incoerenza da un intero naufragio. Anche Cartesio volle mettere in sicuro la religione; ma le sue fallacie sono da scolare: i paralogismi del Kant non sono indegni di un gran maestro. E si noti che i successori dei due filosofi, abbracciandone e modificandone le dottrine, si governarono in modo al tutto contrario, conforme al genio delle due nazioni. I filosofi francesi del secolo scorso si appi

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