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fiore il principio dell' aristocrazia elettiva nei vari ordini della civiltà umana, senza perdersi nelle utopie e nelle chimere. Sottraggasi adunque l'Europa culta al dominio inetto della moltitudine, si riconosca che ai veri ottimati, cioè ai pochi buoni, appartiene in ogni cosa l'indirizzo delle cose umane, e ne avrà prode la stessa plebe : la quale, rozza e misera, può solo essere migliorata ed ingentilita dai possessori di quei beni che le mancano. Certo la noncuranza di parecchi governi d'Europa, che si pregiano di libertà, intorno al miglioramento delle classi povere ed infelici, è empia, detestabile, e costerà forse loro molto sangue e molte lacrime per l'avvenire. Ma non si avverte, ed è tuttavia verissimo, che l' egoismo e l'incuria di tali governi ha luogo appunto, perchè azzimata vi domina la plebe.

Per ciò che spetta in particolare alle discipline speculative e alle più nobili lettere, io vorrei che tutti i buoni e valenti Italiani si accordassero insieme e facessero una lega per sottrarle alla tirannide degl' inetti e della moltitudine. La qual tirannide, se si eccettua forse la Germania e due o tre altre province settentrionali, è comune a tutte le parti della civile Europa; ma imperversa sovrattutto in Francia e in Italia. Una gran parte di coloro, che oggi s'intitolano filosofi, che giudicano e scrivono di filosofia e di religione, sanno tanto di queste due cose, quanto i dotti dei mezzi tempi sapevano di chimica e di fisica. Nè intendo parlare dell' intrinseco valor dei sistemi; potendosi abbracciare una dottrina paradossa ed essere dottissimo; il che succede talvolta fra gli Alemanni. Parlo della poca sufficienza, per l'ingegno e per la dottrina, onde un uomo è assolutamente incapace di

portare un giudizio sulle cose di scienza. Apri a caso, se ti diletta, dieci libri fra quelli, che da un secolo in qua si sono stampati in Francia intorno a materie religiose o filosofiche, e se in nove di essi trovi che l'autore sappia parlare con precisione, e conosca bene gli elementi del suo soggetto, io vo' confessarti che il noverare i filosofi odierni a dozzine è poco, ma si debbono contare a centinaia. Nè il male è solo tra' Francesi, ma infuria eziandio fra noi Italiani, e non dobbiamo dissimularcelo. Troverai di molti, che quando abbiano letto qualche libercolo di filosofia, quando sappiano pronunziar le voci misteriose di obbiettivo e di subbiettivo, di materia e di forma, si credono pensatori di professione, filosofeggiano, Iddio sa come, col vento in poppa, fra' più ignoranti di loro, e riuscendo a non essere intesi nè da sè, nè da altri, stimano di aver toccata la cima della scienza. V'ha chi fa altrettanto intorno alla religione; volendo entrare nelle quistioni più ardue e più difficili, che richieggono acuto ingegno e maturo giudizio, (oltre ad una erudizione estesa e profonda,) senza forse sapere i primi rudimenti di quella. Che costoro s'illudano e si tengano da qualche cosa, non mi stupisce; essendo prerogativa degl' inetti l'ignorare la propria ignoranza; ma che altri gli abbia in conto di buoni estimatori e di maestri, è follia e vergogna intollerabile. So che con queste parole, benchè io non intenda di toccar nessuno in particolare, susciterò un mondo di sdegni: so pure che io non ho l'autorità richiesta per pubblicarle con profitto; ma vorrei che gli uomini riputati ed illustri si collegassero a sterpare una maledetta usanza, che presagisce rovina alla parte più eletta del sapere. Non si domanda in sostanza alcun privilegio per le scienze speculative si chiede solo ch' elle siano trattate, come le altre dis

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cipline, dove gl' ignoranti e i semidotti non osano sentenziare, senza tema del riso pubblico. I lettori di cose filosofiche sono da lodare altamente; purchè facciano come gli amatori di fisica, di chimica, di storia naturale, che si dilettano di questi studi, senza giudicar leggermente le fatiche di chi ne sa più di loro. Per tal modo procacceranno a sè stessi un innocuo diletto, senza pregiudizio delle dottrine. Altrimenti il propagarsi delle cognizioni così vantato oggidì, invece di giovare al progresso del vero sapere, gli sarà funesto; perchè le scienze muoiono, come gli stati, quando tutto il potere passa alle mani del volgo. I falsi dotti sono come i capipopoli, che sotto colore di libertà inducono la tirannide. Cosi essi fingendo amore agli studi, li disertano : allontanano i principianti dalle buone fonti creano una falsa opinione procacciano disprezzo e nemici a coloro, che potrebbono smascherare la loro ignoranza; e sotto colore di civiltà, sono vera peste delle scienze e delle lettere.

Per ovviare a questa peste, i possessori di una fama giustamente acquistata favoriscano i veri studiosi, gli preservino dal verme dell' invidia, che s' appicca alle piante tenere, promettitrici di buoni e copiosi frutti, gli guardino dal disprezzo e dalla noncuranza. Salvino almeno il santuario delle lettere da quella insolente mediocrità, che oggi è quasi padrona del mondo, gira gli stati e gl'imperii, e quando pervenga a porre il piede fra le scienze, ritornerà l'Europa alla primiera selvatichezza. L'Italia abbisogna sovra tutto della loro opera. Sorge spesso nella nostra bella penisola un ingegno, che porge non comuni speranze; che si annunzia con quell' incomposto fervore alle cose grandi, quella energia d' indole viva ed indomita, che precorrono per

ordinario alla forza della mente; che mostra la tenacità e l'audacia necessarie alle grandi conquiste della fantasia e dell' intelletto, non meno che alle grandi imprese di stato e di guerra. Che si fa? In vece di favorire, educare, bene indirizzare il felice germoglio, si soffoca e si spianta. Se a malgrado degli ostacoli, egli cresce e si svolge da sẻ, riuscendo a porgere un saggio proporzionato di ciò che potrebbe, si cerca di uccidere adulta quella virtù, che non si è potuta spegnere nelle fasce, di soffocarla perseguitandola o trascurandola, e togliendole perfino la fiducia delle proprie forze. Giambatista Vico, uomo non raro ma unico, visse e mori disprezzato da' suoi nazionali; e l'ingiusta noncuranza durò per lo spazio di un secolo. Certo la novità e l'altezza delle sue dottrine ne fu in parte cagione; ma sarebbe assurdo il supporre che in una nazione ingegnosa, che aveva un gran numero d'uomini colti e dediti alle lettere, non vi fossero molti capaci d' intenderlo e di apprezzarlo, se il giudizio degl' ignoranti non ne gli avesse impediti, o fors' anco non gli avesse sconfortati dal leggere le sue opere. Rimangono ancora a rimprovero e rimorso degl' Italiani alcune vestigia degli strapazzi fatti di quel sommo da penne indegnissime di pur nominarlo; e dell' affanno ch' egli provava, sentendosi calpestato dall' altrui dappocaggine, e vedendosi disdire quel tributo di affetto riconoscente e di stima, ch' ei sapeva di meritare. Questo è certo il più acerbo supplizio, a cui la Providenza condanni gli alti ingegni, per mettere a cimento la loro virtù. Io non so quanto tempo e forse quanti secoli dovrà aspettare l'Italia, prima che sorga un altro Vico; ma so bene che se si lascia libero il campo alla petulante dominazione dei ciarlatani e degl' invidiosi, non vi sarà più un galantuomo, che osi

levar la voce, se non è ben sicuro della propria mediocrità. Presso le altre nazioni, quando l'intenzione è pura, e gli sforzi assidui e sinceri, s'incoraggiano gli scrittori, e si loda almeno l'animo, se non si possono lodar le opinioni : si dà loro quel premio e quello stimolo, che si può nobilmente desiderare e ricevere. Noi all' incontro calpestiamo bene spesso chi si studia di giovare alla patria; quasi che soverchiassimo di uomini, che sudino in questa santa opera. Tanto che chi s'ingegna di servire all' Italia, e non di adulare all' opinione, non che promettersi la stima de' suoi nazionali, dee aspettarne il disprezzo o la malevolenza: dee temere che le sue fatiche rese inutili agli altri, fruttino biasimo o persecuzione all' autore: non dee sperare alcun conforto fuori di quello, che un animo onesto trova in sè stesso. Emendiamoci da questo difetto: impariamo a conoscere ed apprezzare il vero valore: guardiamoci dal tarpar le ali agl'ingegni nascenti, cui si vuol dar coraggio, dall' abbeverare di fiele gl' ingegni maturi e benemeriti, a cui, se ne cal della patria, dobbiamo venerazione e gratitudine. Ora per evitar questo peccato, niuno s' attenti a giudicare temerariamente di quello, che eccede i limiti delle sue cognizioni. Così se ne gioveranno gli stessi presontuosi; applicando la vaghezza, che hanno di sentenziare, alle cose, che sono di loro competenza. Pochissimi sono gl' intelletti, che non siano atti a qualche cosa, e da cui altri non possa imparare e cavar profitto. Egli è una pietà a vedere, che uomini dotati di buono ingegno e di soda dottrina in matematica, in fisica, in letteratura, in altre discipline, invece di star contenti agli spaziosi termini di queste dottrine nobilissime, si rendano ridicoli o nocivi, discorrendo a sproposito di filosofia e di religione. Mi ricordo di aver udito raccontare che

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