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è, per eccellenza, un uomo rappresentativo. Egli incarna, in sè stesso, tutto il Medio Evo, ne è· la voce eloquente, ne è l'espressione vivace e luminosa. È impossibile comprendere l'apparizione di Dante, entrare nel fondo della sua ispirazione, risentire i moventi delle sue azioni, conoscere la prima radice delle sue convinzioni, de' suoi amori, de' suoi sdegni, se lo si distacca dall'ambiente da cui fu circondato, se lo si pone in un ideale isolamento. È perciò che lo studio di Dante è ormai diventato lo studio della vita medioevale in tutte le sue manifestazioni politiche, religiose, filosofiche e letterarie. A tale studio attende, con lavoro intenso e con lena rinnovata, la critica moderna, e se v'ha ricerca letteraria che, in Italia, sia oggi in alto onore e condotta da studiosi, armati di tutti gli aiuti di una scienza investigatrice, la ricerca dantesca è quella. Abbiamo giornali danteschi, e saggi e libri e commenti che si seguono rapidamente. Non vi ha punto di esegesi dantesca che non sia analizzato e discusso, non v'ha opinione del poeta che non venga guardata da tutte le facce, non v'ha personaggio al quale egli abbia dato l'immortalità nel suo poema, o che con lui sia venuto a contatto,

che non venga sottoposto al più ostinato esame, al più insistente interrogatorio. La Società Dantesca, sorta col nobilissimo intento di curare il testo dell'opera del poeta e di darne l'edizione definitiva, è parte essenziale di questo movimento di studî. Il Comitato milanese può, forse, pretendere al vanto d'aver ridato alla Società un energico impulso, d' aver ispirato un nuovo soffio di vita in un organismo che pareva un po' stremato. Ma il Comitato centrale di Firenze ha tosto ripreso il posto d'onore che a lui compete nel promuovere gli studi danteschi; e, seguendo le gloriose tradizioni del passato, ha, com'è noto, istituito un corso regolare di pubbliche letture della Divina Commedia, a cui s' affollano gli uditori, ansiosi di penetrare nei segreti d' uno spirito altissimo, d'un poeta affascinante.

Davanti a questa così vivace rifioritura degli studi danteschi, ci si può domandare quali siano le cause che dànno all'opera del poeta una sì robusta vitalità, che ancora la rendono tanto interessante per l'uomo moderno. Dante

è stato, forse, un precursore? Un uomo che, correndo avanti al tempo in cui viveva, abbia avuto la visione o, almeno, il presentimento dei rivolgimenti che il futuro celava nel suo grembo? A me non pare. Dante riassume in sè tutta l'epoca sua, è la più parlante e luminosa rappresentazione del Medio Evo; il suo spirito vive delle dottrine e del pensiero del tempo. Nel suo modo di comprendere l'universo. Dante è uno puro scolastico; la metafisica di S. Tomaso è per lui il termine definitivo, assoluto dell' umano sapere. Egli non ebbe il sentore della scienza, nel senso moderno della parola, non previde il nuovo orizzonte che si sarebbe aperto allo spirito indagatore, non ha intuita la possibilità d'un nuovo indirizzo intellettuale, per cui le rigide categorie di un pensiero che si nutre di sè stesso, e che pone i suoi fantasmi al posto della realtà, si sarebbero spezzate sotto la pressione dei nuovi veri che l'osservazione e l'esperienza, liberamente esercitate, vi avrebbero versato dentro. La concezione filosofica di Dante, che guardava l'universo dal punto di vista geo ed antropocentrico, e cercava, fuori della natura, la spiegazione della natura stessa, certo non è più quella da cui

sia guidato il pensiero moderno. Gli ultimi canti del Paradiso, nei quali la fantasia del poeta riapre ad altissimo volo le grandi ali, che, nei canti precedenti, s'erano, forse, talvolta, un po' ripiegate sotto il peso delle discussioni scolastiche, sono la più luminosa, la più sonora, la più inebbriante consacrazione di quell'immenso e complesso sistema di dottrine, in cui la mente umana ha trovato, per lunghi secoli, una disciplina assoluta ed un'assoluta certezza. Nessun dubbio ha mai sfiorata l'anima di Dante. Egli non soffrì nemmeno il più lieve attacco di quell' inquietudine di spirito che, men di tre secoli dopo, turbava l'anima d'Amleto, in cui il Medio Evo ed il mondo moderno venivano a cozzo, di quell' inquietudine ch' era il tormento ed insieme la grandezza di Faust, ricercante sulle rovine della metafisica una nuova orientazione per lo spirito errabondo. Ma lo spirito di Dante non errava, conosceva un

termine fisso d'eterno consiglio,

ed in quella conoscenza trovava la sicurezza e la pace.

Da tale definita e solida concezione metafisica discende anche il concetto religioso di Dante. Egli abbracciava la più pura ortodossia dog

matica. Per lui la religione era, sopratutto, teologia. Le formole intangibili di quella teologia toglievano al sentimento religioso ogni iniziativa individuale:

Avete il vecchio e il nuovo Testamento,

E il pastor della Chiesa che vi guida,
Questo vi basti a vostro salvamento.

L'eresia non trovava perdono davanti a lui, perchè la sua anima non sentiva il bisogno di rompere la disciplina intellettuale in cui era costretta, e le sue aspirazioni erano pienamente soddisfatte. A lui, chiuso nella rocca inaccessibile della sua teologia, non giunse il soffio del grande movimento ereticale che si iniziò e che, in Italia, si spense col Medio Evo; e nessuna delle correnti religiose che agitarono ed agitano tuttora l'umanità può farsi risalire alla sua ispirazione.

Dante, che era del suo tempo così nel rigore della concezione filosofica, come nello splendore della visione teologica, era tale anche nel sistema politico. Egli partecipava, con tutta l'anima, alla grande lotta, che aveva consumato il Medio Evo, fra il Papato e l'Impero, pel dominio del mondo. Quella lotta, ai tempi di Dante, aveva

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