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l'occasione in cui la scrutatrice accorta del segreto di Lancillotto stimò bene tossire. La prima deduzione è inaccettabile; giacchè se, a tutto rigore, si potrebbe considerare come prima colpa di Ginevra aver forzato il timido amante a manifestarsele, tale non vorrebbe nessuno giudicare la curiosità che suggerisce alla donna la domanda sulle cause che provocarono l'eroe ad amarla. Non resta dunque da abbracciar altro partito se non quello d'ammettere che Dante non rammentasse troppo fedelmente tutti i particolari dell'amoroso racconto, e che quindi assegnasse al « tossire » della Dama di Malehout un valore ch'esso non ebbe mai nel romanzo. Tossendo tot à escient difatti, la curiosa signora intendeva semplicemente rivelare a Lancillotto la propria presenza, mentre prima d'allora s'era data ogni cura di dissimularla. Nulla v'ha dunque di beffardo nè d'ironico nella condotta della dama: e quindi il paragone istituito da Dante tra lei e Beatrice non riesce, come avvertivo nel testo, « nè troppo chiaro nè molto opportuno ».

21 Inf. XXXII, 61-62. Sarebbe desiderabile che in taluni recentissimi commenti non si ripetesse più come si va da un pezzo facendo che Mordrec era « figlio » del re Artù!

22 Cfr. THOMAS, op. cit., App., p. 173.

23 Il fatto è troppo noto perchè se ne debbano qui raccogliere le prove: la stima che dei romanzi brettoni fecesi dalle corti italiane per tutto il Quattrocento, basterebbe da sola a dimostrare con quant'avidità siano stati letti e studiati anche un secolo innanzi. Ved. del resto parecchie testimonianze di questo favore da me riunite nell'articolo I codici francesi de' Gonzaga secondo nuovi documenti in Romania, XIX, 161 sgg.

24 Purg. VII, 10-21.

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FRANCESCO PAMINE

Recu è pecsia ei popolo

di Dante

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