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d'Orange, Carlomagno stesso, non può recar meraviglia. Ai dì suoi la « santa gesta » del franco imperatore era troppo nota; troppo a lungo i giullari ne avevano ricantate le prodezze; troppo, infine, se ne compiacevano i volghi, perchè gli uomini colti non l'avessero parecchio a noia: De paladinis autem loqui hodie videtur exosum; scrive un contemporaneo e concittadino di Dante, messer Francesco da Barberino.22 Ma per ciò che spetta alla Tavola Rotonda le cose andavano ancora diversamente. I personaggi dei romanzi arturiani non erano da noi scesi così in basso come i campioni dell' epopea francese. Quelle corti, che l'Alighieri frequentò nel suo doloroso pellegrinaggio attraverso l'Italia tutta, ripetendo anch'egli, sfiduciato e stanco, il melanconico appello di Folgore:

Cortesia cortesia cortesia chiamo

e da nessuna parte mi risponde;

aveano pur sempre accettissime le vecchie fole di Cornovaglia; ancora nell'antico ideale cavalleresco, ond'erano animate, appuntavano gli sguardi, e se non nell'essenza nell'esterior veste cercavano di seguirne i dettami, i nostri signori. 23

Pur la cosa è così. L'arte medievale, man mano ch'egli avanza per il suo fatale cammino, sembra misera e vana all'intelletto di Dante. Rammentate voi, o signori, (quale oziosa domanda!) l'incontro del poeta e della guida sua con Sordello, accosciato, « a guisa di leon quando si posa », nell'attesa della notte imminente, sul balzo secondo dell'Antipurgatorio? L'anima lombarda, cui il vate tosco s'è piaciuto cingere la fronte

d'un'aureola incomparabile, mossa dal patrio affetto, oblia l'alterezza, il disdegno, ed in Vergilio, di cui ignora ancora il nome, abbraccia il mantovano. Ma quand'essa apprende che colui, al petto del quale con inutile sforzo tentò congiungere il suo, è Vergilio, che mutamento subitaneo in lei! Che stupore, che reverenza l'ingombra!

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Qual è colui che cosa innanzi sè
Subita vede, ond'ei si meraviglia,

Che crede e no, dicendo: Ell'è, non è;
Tal parve quegli, e poi chinò le ciglia,

Ed umilmente ritornò ver lui,

Ed abbracciollo ove il minor s'appiglia.
O gloria de' Latin, disse, per cui
Mostrò ciò che potea la lingua nostra,
O pregio eterno del loco ond'io fui,

Qual merito o qual grazia mi ti mostra?

S'io son d'udir le tue parole degno,

Dimmi se vien d'inferno, e di qual chiostra.24

Signori, Sordello, il « gentil cattano» di Goito, il compagno d'armi di Carlo d'Angiò, che sembra rappresentar meglio di chicchessia al suo tempo il tipo del cavaliere errante, staccato da una pagina di romanzo arturiano; famoso per prodezza, più famoso per amorose avventure; per il ratto di Cunizza da Romano, la fuga con Otta di Strasso, audacemente sottratta alle carezze materne; il trovadore senza paura che fulmina col serventese infocato i sovrani degeneri; Sordello, insomma, curvol umilmente dinanzi a Vergilio, non è desso simbolo vero e spirante della poesia medievale che s'ecclissa dinanzi al

ricomparir dell'arte latina, come le stelle, già vivide in cielo notturno, all'appressarsi del sole? « Donde vieni? » chiede Sordello al suo concittadino. « Vieni d'inferno forse?». Sì, ei viene d'inferno il savio gentile, dall'inferno della barbarie, dalla chiostra dell'ignoranza, di cui rimove con gesto lento e solenne « l'aere grasso» dal placido viso. Ei riede, e gli fa scorta una schiera fulgente di creature immortali; Ettore il prode, Enea il pio, gli sono ai fianchi, e con essi il padre Latino, Camilla, la virago del Lazio, Pallante, bel fiore reciso sull'alba, Lavinia, pudicamente ritrosa; lo seguono, assorte nelle memorie dolorose, Didone ed Amata. Ei riede, ed accenna col dito; guardate in là, un altro stuolo s'è mosso, un altro vate s'avanza, ancora più grande. Dove sono le donne e i cavalieri di Brettagna? Dove Ginevra ed Isotta, Lancillotto e Tristano? « Torme pallide, via », par che suoni severa la voce di Dante,

Torme pallide, via; si leva il sole

E canta Omero.

Hote

1 Della frottola, che qui analizziamo, il testo è conservato, a saputa nostra, da un codice solo, il Riccardiano 2183; ma, sebbene questo manoscritto spetti al primo quattrocento, essa ci si rivela così per la lingua come per lo stile quale scrittura più antica d'un secolo. Un'esatta riproduzione, accompagnata da un tentativo di restituzione, ne fu messa alla luce in Firenze il 15 gennaio 1894, « per le nozze di Guido Vianini con Pia Tolomei », dalla tipografia Carnesecchi. Nelle poche righe di prefazione aggiunte dall'Editore alla stampa sua vediam accennata l'ipotesi che l'autor della frottola possa esser stato meglio che Fiorentino, Pisano: il sospetto però trae occasione da tropp'esiguo argomento, perchè ci acconciamo a condividerlo.

2 La risposta di Dio padre, scialba e pedestre rifrittura della petizione del giullare, comincia per l'appunto così:

Istato foss'io cheto in su quel punto,
amico mio, ch'io ti dissi: «< chieri »>,
chè non giunse ma' veltro nè levrieri

lepre niuna come tu m'ha' giunto.
Certo s'i' ti vedessi aval difunto

i' mi terrei fuori d'un gran pensieri:

e ben sarebbe arcieri

chi mi giugnesse come tu m'ha' giunto.

3 Intorno alle varie raffigurazioni del Paradiso Terrestre nelle immaginazioni del medio evo, v. la dotta monografia di A. GRAF, Il mito del Parad. Terr. in Miti, Legg. e Superst. del m. e., Torino, 1892, v. I, p. XI sgg.; ed anche i capitoli IV, V, VI del libro di E. COLI, Il Paradiso Terr. Dantesco, Firenze, 1897, p. 92 sgg.

4 Cfr. GRAF, op. cit., scritto cit., App. III, Il paese di Cuccagna e i paradisi artificiali, v. I, p. 229 sgg. Ottimi materiali ha pure riuniti sull'argomento V. Rossi in Lettere d'A. Calmo, Torino, 1888, App. II, Il paese di Cuccagna nella letter. ital., p. 398 sgg.

5 Voglio alludere alla descrizione ingegnosa ed arguta, che della nuova regola monastica escogitata da Brunello per godersi in ozio beato la vita, ha inserita Nigello nel suo Speculum Stultorum (WRIGHT, The Anglo-Latin satiric. poets, ecc., London, 1872, v. I, p. 95 sgg.). Da ognuno degli ordini fin allora esistenti (Nigello scriveva, a quanto sembra, negli ultimi lustri del sec. XII), l'asino protagonista del suo poema viene scegliendo con vivace malizia quod melius fuerit commodiusque sibi.

6 L'Ordre de Bel Eyse, favolello d'un poeta anglo-normanno del sec. XIII, segnalato prima dal WARTON, The history of English Poetry, v. I, p. 30, nel manoscritto Harlej. 2253, fu poi pubblicato per intero dal Wright in quel suo raro volume, stampato a spese della Camden Society, in Londra nel 1839, che s'intitola The political Songs of England, from the reign of John to that of Edward II, p. 137 sgg. In esso il poeta, facendo proprio il disegno di Brunello, dichiara di voler fondare un ordine monastico di nuovo conio; e, con motteggi un po' rozzi e sguaiati satireggiando gli ordini religiosi del tempo, si sforza di provocare il riso. Com'altra

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