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nale, fecondate dalla Loira capricciosa e dal Rodano impetuoso, dove maggiore era la dolcezza del clima, la gentilezza del costume, più frequente il concorso di viaggiatori, mercatanti, pellegrini, e la vita scorreva più facile e festosa nelle città opulente, nei palazzi baronali, sbocciò primamente la lirica. Come le viole a primavera spuntano fragranti ed innumerabili nei prati, si schiusero colà le rime trovadoriche; le corti principesche, sempre aperte con inaudita larghezza a giullari ed a cantori, risonaron dunque de' primi canti d'amore che l'aggraziato idioma del Poitou e del Limosino producesse; e nello stuolo de' poeti si videro bentosto mescolati ai menestrelli errabondi, non solo que' cavalieri ricchi di gioventù, d'ardire, di nobiltà, ma poveri di terre e più corti ancora a denari, i quali vivevano della liberalità de' loro signori; ma i baroni stessi, i principi sovrani, come Guglielmo duca d'Aquitania ed Ebles visconte di Ventadorn. E fu una fiumana di versi, che travolse, come la riviera favolosa dell' Eden, gemme e perle nel suo placido flutto, canzoni e sirventesi leggiadri, non meno dolci nel motto che nel suono, in cui l'ardore amoroso, spesse volte prepotente e brutale, si ricovri d'un candido ammanto; chè il cantore spasimò sempre in versi speranza per la donna sua, troppo alta, troppo lontana da lui, perchè altro ei potesse bramare se non d'adorarla e soffrire. Pur non è inutile ricordare come, più d'una volta, se diamo retta ai « mal parlieri », la statua siasi animata e, scendendo dall'altare, abbia rimeritato d'un bacio più divorante che fiamma, il devoto suo

trasumanato.

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Ma accanto alla lirica cortigiana, sul suolo della Francia propriamente detta, suolo favorito dalle Muse, un'altra forma d'arte era nata, cui riserbavano i fati il vanto superbo di conquistare tutto il mondo, dove continuò e continua a regnare sovrana pur in mezzo alla decadenza ed alla morte di quanti generi letterarî l'avanzavano per antichità d'origini, per splendore di vicende; voglio dire il romanzo. Le vecchie generazioni avevano rinvenuto un fonte amplissimo di diletto ed insieme uno stimolo quanto mai potente a forti cose nell'epica nazionale, che narrava di Carlo Magno e de' prodi suoi; ad uomini di ferro tornava sovr'ogni altra gradita quella poesia tutta ferrea anch'essa, ove niun evento era descritto che marziale non fosse: titaniche battaglie combattute contro infedeli, per la fede, la patria, il sovrano. Ai paladini austeri che, sotto la vigile protezione della celeste corte, diffondevano colla spada l'Evangelo, verun tenero sentimento molceva i petti, difesi dalla broigne scintillante, ove non fosse l'affetto fraterno verso il « pari », il compagno d'armi, con cui avevano stretto il patto che li legava per la vita, bevendo nella medesima tazza, simbolica bevanda, e vino e sangue: sangue spicciato dalle vene di entrambi. Ma cotesta poesia eroica, schiettamente nazionale, mal si confaceva ai tempi nuovi. Altre narrazioni occorrevano, più leggiadre, più liete, atte ad appagar la fantasia, a fornirle l'ordito su cui ella potesse trapungere i suoi capricciosi arabeschi... A ciò si porse quanto mai opportuna la materia di Brettagna.

Tra le popolazioni di razza celtica, povere reliquie d'una grande nazione scomparsa, che, cacciate dalle

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