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MICHELE SCHERILLO

Dante e lo studio della poesia classica

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IR

IPENSATE a quel soave canto del Purgatorio, in cui il poeta descrive la sua entrata nel paradiso terrestre. A lui peregrino, che ha ancor in mente le orride scene della tenebrosa fossa infernale e risente ancora dell'affannosa salita di quell'erto monte, si schiude d'un tratto, avanti agli occhi tuttora assonnati, una divina foresta spessa e viva, aulente d'ogni parte. Un'aura dolce ed eguale faceva piegare le fronde tremolanti, e sulla cima di quegli alberi gli augelletti << con piena letizia » salutavan l'aurora; mentre al loro canto << teneva bordone » il fruscio delle foglie. Ei s'avanza timidamente, ammirando. Il suolo è coperto come da un tappeto verde, trapunto a fiori gialli e vermigli; e su di esso scorre un rivoletto, che « con sue picciole onde » piega l'erba che è sulla riva. Al poeta par d'esser giunto nel mondo delle favole; chè tutto lassù attinge una perfezione inaudita e quasi insperata:

Tutte l'acque che son di qua più monde
Parrieno avere in sè mistura alcuna

Verso di quella che nulla nasconde.

E di là dal fiumicello ecco apparire la fata di quell'Eden:

Una donna soletta che si gia

Cantando ed iscegliendo fior da fiore,
Ond'era pinta tutta la sua via..

Versi ineffabilmente soavi, che rendono, con una vivacità e una freschezza d'impressioni e di suoni mirabilmente suggestive, il nuovo sentimento ond'è invaso l'animo del poeta. Egli aveva sì visto in terra selvette amenissime, i querceti delle Alpi e i castagneti dell'Appennino, e bellissima fra tutte « la pineta in sul lito di Chiassi »; aveva visto scorrere rivoli nitidi e cristallini, lambenti carezzosamente le cime dei salici che s'inchinavano a rapir dalle onde baci fuggitivi; aveva pur visto, povero esule, nei piani della sua Toscana o dell'Umbria verdeggiante, la festa dei fiori variopinti; e chi sa quante volte, sulla riva di quei fiumicelli o tra mezzo a quei fiori, il derelitto fedele della Beatrice non avrà veduto lampeggiare il sorriso di una giovane donna, rivelante amore dagli occhi

Che soglion esser testimon del core!

Ma lassù come tutto era più bello; dove l'erbe e i fiori spuntavan senza seme, le limpide acque correnti avean virtù di dar l'oblio e d'infonder la grazia, e le donne belle erano soavemente cortesi!

Ebbene, o signori; un sentimento molto simile a questo dovè provare il baldo rampollo degli Alighieri, che proclamava sè medesimo dei pochissimi o l'ultimo oramai dei Fiorentini in cui rivivesse la « sementa santa »

dei Romani fondatori di Fiesole, quando, la mente ottenebrata dalle grottesche visioni medievali, stanco l'orecchio e l'animo di quella poesia trovadorica divenuta ben presto una sazievole ripetizione di pochi motivi d'equivoca galanteria, nauseato degl'imparaticci de' nuovi rimatori d'Italia, potè avviarsi, ei primo ed ei solo, pei floridi sentieri dell'antica letteratura nostra, ultimo ma non muto documento della grandezza d'un popolo che non tollerò rivali. Che sussulti per quell'immenso cuore, a mano a mano che, vincendo le gravi difficoltà della forma, egli riusciva a scoprire e intendere le sempiterne bellezze della più forbita e levigata e amabile poesia che sia mai risonata a orecchio umano, quella di Virgilio; e a penetrare nei meandri maravigliosi della più limpida e meglio architettata prosa che sia mai valsa a rispecchiare il pensiero in tutte le sue sfumature, quella di Cicerone! Che stupende rivelazioni all'alta fantasia di lui, che, posto a cavaliere di due epoche, del medioevo che tramontava e dell'evo moderno che s'annunziava coi chiarori antelucani, esultava nella visione d'una futura Italia, rigenerata e rinnovellata per l'opera de' suoi poeti! O non era questa la terra « per cui morì la vergine Camilla »; non eran terre italiane e Pietole, l'invidiata « villa mantovana », e Brandizio, dove tacque per sempre il dolce labbro della « nostra maggior musa », e Napoli, Parthenope dulcis, dove quelle sacre ossa furono «< per Ottavian sepolte »? E Firenze, la sua Firenze, non era essa la « bellissima e famosissima figlia di Roma »?

Che abisso tra le grottesche e rozze visioni di Tundalo o del Pozzo di San Patrizio, di Giacomino da

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