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RECENSIONI

sulla edizione minore del Comento di G. A. SCARTAZZINI alla divina Commedia,

a della quale si può con certezza presagir prossima una seconda edizione, è he minore del comento alla divina Commedia dello Scartazzini, vuoi per la entatore, vuoi per la comodità del manuale, col suo rimario, l'indice delle ogni pagina le rubriche del contenuto, vuoi per lo splendore del lavoro tipolendore anzi: quella carta bianca come neve, dopo poco, abbaglia la vista, na di tinta un po' più smorzata. E giacché sono in su questo lato materiale, ro consiglio: la numerazione, a l'ultimo, anziché al primo verso di ogni terr molti riguardi assai più comoda).

che per una nuova edizione si brami veder scomparire alcune mende, che, o umano, anche in questo non possono mancare: e da ciò soltanto trassero ppunti scritti currenti calamo e nei quali quindi, senza che io ne faccia esplitore vorrà facilmente escludere ogni pretesa d'infallibilità ed ogni aspetto di (che il più delle volte del resto piú che lo Scartazzini colpirebbe i comenti non vedervi, anche sotto apparenze di vivacità, abbastanza scusate dal getto idità de l'argomento, un intento serenamente obiettivo.

o errori di stampa al v. 1, maturati per naturati; al v. 63, modice per modicae. direi davvero che il tacere del sole alluda all'armonia prodotta dal moto del e lo ripete al V, 28), ché quell'armonia non può certo sospendersi nella notte. hiede: perché diserta (la selva), se simbolo della vita peccaminosa? Ma selva o nella piaggia diserta (v. 29)? Del resto poi, la vita peccaminosa nulla arla diserta, come quella che non produce alcun buon frutto.

li la bestia, si chiede pure, perché non menziona la lonza ed il leone? È una che l'altra non gli avrebbero impedito il salire.

te convien tenere altro viaggio, deduce che la via "su cui il p. erasi messo quenza la verace Ma pare di sí, se non fosse stato l'impedimento della e al II, 120 lo chiama il corto andar. Né capisco, perché al seguente per innoti, con un esclamativo, della lupa!, se la sua via qui non vuol dir altro, quale si trova la lupa, come usa Dante anche altrove, Purg., XXVIII, 42 la sua via, la via che percorreva Matelda; Inf., XXIV, 97 da nostra proda,

trovavamo noi.

Verrà deduce che il Veltro dunque non era ancor venuto. Ma potea benisin terra, ma non ancora accintosi a debellare la lupa.

30 dopo salvazione metterei punto, non virgola.

angelica voce in sua favella, la sua traduzione viene a dire, con angelica a sua voce, Piú logico sarebbe usando, nel suo parlare, di una voce tut

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Al canto III, v. 1o, giustamente critica quei che intendono le parole di colore oscuro, scritte con inchiostro negro: ma perché poi tradurre, di apparenza lugubre, anziché di suono lugubre; con metafora opposta a quella del canto I, 60 là dove il sol tace?

Al v. II riesce un po' duro da digerire che la epigrafe infernale Per me si va, l'abbiano scritta i diavoli per spaventare Dante. Che poi il Lasciate ogni speranza non possa applicarsi ai salvati del Limbo, vorrà dire, o che ogni regola ha la sua eccezione, o che la scritta dati dalla discesa di Cristo.

Nella nota ai v. 22 a 69 e al v. 66 ha vespi per vespe. Eppure al XXXII, 133 del Purg. scrisse, vespa.

Al v. 31 combatte la lez. error, perché questo non è ignoranza: ma error può stare benissimo per confusione.

-

Al v. 60 esclude che chi fece il gran rifiuto possa essere papa Celestino, perché Dante non potea averlo conosciuto. Ma non usava allora disegnar ritratti? e non è supponibile se ne facessero di un papa novo, di cui a tutta la cristianità avrà certo interessato aver sott'occhio le fattezze? Di Pilato, Esaú, Augustolo o Diocleziano, com'altri vuole, non crederei davvero, ché questi sí, Dante non potea conoscerli: e però avrebbe, come le altre volte, dovuto presentarglieli Virgilio.

Al v. 101 cangiar colore, non par davvero difficile a figurarsi, sol che si legga il XXV di Purg. che mostra le anime riprodurre tutti gli aspetti dei corpi viventi.

Al v. 106 nel ritrarsi tutte quante insieme trova antitesi coll'essersi colà raccolte alla spicciolata: ma esse già son descritte riunite assieme, anche prima di trarsi tutte assieme

alla riva.

- Al v. 114 esclude la lez. Rende alla terra, perché il ramo non ha tolto in imprestito dalla terra le sue foglie, le ha prodotte. Ma come le ha prodotte? Appunto trasformando i succhi della terra, che ora alla terra restituisce: ov'è pure il concetto della eterna vicenda, per cui la pianta prende dalla terra i succhi, e le restituisce poi le foglie, le quali, macerandosi, contribuiscono a formare altri succhi: vicenda analoga a quella che Dante nota e sviluppa al V del Purg. sul fine, della piova che forma i fiumi, e i fiumi che formano la piova. Meglio della virgola, il punte virgola.

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-

O a che

- Al v. 123, d'ogni paese, Suppone il comento che Dante passasse bravamente sulla barca di Caronte. pro allora tutto quel tramenío di terremoto e di baleno ? Ma perché lasciar supporre che sia un Angelo, senza dirlo? Il perché è agevole indovinarlo: Dante non era ancor degno di vedere di siffatti ufficiali; e molti indizi della venuta dell'Angelo al canto IX lasciano ben supporre che anche qui si tratti di simile intervento soprannaturale di un Deus ex machina.

Al canto IV, 16 Ed io che del color mi fui accorto, annota che l'oscurità impediva il veder

chiaro.

Ma tutt'altro, mi pare, se si accorse persino dell'impallidire di un'ombra, come Virgilio. Al v. 25 Quivi, secondo che per ascoltare "per quel che si poteva giudicare all'udito. Vedere non si poteva, essendo troppo oscuro Ma se distinguono le turbe D'infanti e di femine e di viri, poteva ben vederli anche a sospirare. Ma dicasi piuttosto che, in tèma di sospiri, anche dove ci si vede bene, giudica sempre l'udito a preferenza della vista.

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È curioso poi che l'autore classifichi quelle tre categorie delle turbe fra le molte che Dante enuncia. O forse che l'altre potean contenere persone diverse da infanti, femine e viri? Al v. 53 un possente, dice che non lo conosceva quando discese agl'inferi. O come mai non dovette riconoscere il Dio da tutti i fenomeni meravigliosi che certo precedettero e accompagnarono la sua venuta, il tremoto, fra gli altri, onde si scoscese gran parte d'inferno, e lo scardinamento delle sue porte contro l'opposizione dei diavoli ivi riuniti alle difese ?

V. 71 Ma non si ch'io non discernessi in parte, Ch'orrevol gente possedea quel loco. A qual contrassegni? si domanda. Ma al loro contegno, all'aspetto, al tutt'assieme, mi pare

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-V. 104 che il tacer
ativo alla interpre

the volte più naturale
- V. 130 a 151 erro
-V. 136 Democrito
-V. 141 Tallio e L
-V. 150 nell'aura
devono attraversar
wa tierna facevan ti
Canto V, 15 Dicono

A scrivere Di quei signor al v. 94 in luogo che Di quel signor, adduce ragione, che Orazio ed Ovidio non appartenevano alla scuola di Omero, né questi alla scuola di Virgilio. — 0 che ragione di supporre che Omero si faccia appartenere alla scuola di Virgilio? Ma è ben naturale che tutti appartenessero a quella di Omero, come il padre e il maestro di tutti i poeti venuti dopo di lui, e come quegli il cui poema contiene in embrione tutti i generi di poesia.

e a ciò si limitasse
atto udito; ma s
amentale: tanto ver

pinge altresí, Questi è
-Al v. 34, a esclu
se jo, reduce da un
hi che era lo Sca
reicolo io dovrei dire
autore, in questo com
potrà mai dare (e
ione intima e sicur
dianamente.
-Al v. 42 gli spir
sventura) e trav

then dirsi del resto -Alv. 46 il come schiera di Semira

a ché Dante nul riparare alla omissi dente enumerazion

are adunque ci most te peredit, un'un - È curioso al v. c'è che dire), ma

the Dante al canto Catà di codici dovr Al v. 72 legge

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tacere & bello Si com'era il parlar COLÀ DOV'ERA.

O perché mette un in

terpretazione: dove io mi ritrovava? Forse che non si capisce? O non è anzi

urale della sua: dove il parlar si faceva?

error di stampa uomini gli per gli uomini.

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66

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ura che trema a motivo della bufera.,, Ma prima di arrivare nella buversare di nuovo il restante del limbo, ove già prima udirono i sospiri Che van tremare (28).

icono e odono "la loro sentenza, proferita nello strano modo già descritto,,. itasse, l'udire non avrebbe luogo, un volger di coda cadendo sotto l'occhio e ma s'intenda che quel volger di coda non è che il suggello, l'epilogo, la chiusa o vero che per Guido da Montefeltro, Minosse, oltre al volger la coda, sogesti è de' rei del foco furo.

escludere la lez. ERAN dannati, dice che sventuratamente lo sono in eterno; da una visita, poniamo, allo Scartazzini, di cui avessi visto il ritratto, dicessi: o Scartazzini, forse che lo Scartazzini non ci sarebbe piú? o per evitar questo dire: conobbi che è lo Scartazzini? Benedetta grammatica! Nuoce forse alcome in altri luoghi, l'essere straniero, giacché tutta la dottrina del mondo re (e lo si vide anche nel Blanc, l'autore del Vocabolario dantesco) quella cosicura della lingua che possiede invece senza saperlo colui che la maneggia

i spiriti mali “malnati,. (che col v. 7 l'anima mal nata, tradurrebbesi, nati per travagliati da mal perverso „. O non è più liscio e naturale, malvagi? che

resto, anche trattandosi di semplici incontinenti. comentatore si mostra di quelli che dividono i lussuriosi in due schiere, i carmiramide, e gli amanti, schiera di Didone; ma lo credo tutto un lavoro di e nulla ne dice. E se parla della schiera ov'è Dido, si può ritenere lo faccia missione, di quella tanto celebre e da Virgilio celebrata amante, nella sua razione. O forse che Tristano non è al tutto simile al Paolo della Francesca ? mostra, sull'esempio di quei di Virgilio, Eneide, VI, 442 quos durus amor crun'unica schiera Ch'amor di nostra vita dipartille (v. 69).

1 v. 64, non il senso di vedi applicato a vidi (che se così usarono gli antichi ma l'attribuire a ignoranza di lingua, se alcuni leggono vedi: o non scrisse nto I, 88: Vedi la bestia, e chi sa in quanti altri luoghi? Io poi, se per dovrò pur leggere vidi, non troverei nulla di male a intenderlo vidi, gge Pietà mi giunse, invece di vinse. È quistione di gusti, e sta bene. Ma la variante, che pure è della Crusca? In una edizione per le scuole, io vaherei; e in una completa ne farei una colonna apposita raffrontante verso a a se lo Scartazzini ne mette, era ben il caso di mettere anche questa.

o ai v. 73 a 142 si deduce ch'egli intese il verso: E paion si al vento esser ɔssi con maggior rapidità che gli altri. Ma se la bufera è la pena, questo sanento, che non credo quei due amanti abbiano meritato.

ntro la lez. Con l'ali aperte, oppone: sarebbe forse possibile di volare con le non ha capito la forza di quell'aperte, che non è già opposto a chiuse, ma sino. dipingere il volo delle colombe quando lentamente discendono verso il nido. r quasi concludere la inutilità della variante del nostro AMOR perverso, osserillecito dei due cognati fu veramente non pure un amore, ma un male peruor d'opera, ché Dante è della loro pena, non del loro delitto che ancora non ietà.

rese del costui piacer. Com'è che non avverte che piacer sta qui per avvel'inconvenienti dei comenti a note, anziché a parafrasi. na attende chi vita ci spense.

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Non mi pare troppo giusta la sua censura, che

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qui Dante è "troppo duro e spietato verso l'offeso,, che "certo i tribunali d'oggi assolverebbero I tribunali non so; forse i giurati; sebbene anche qui sia nata una certa resipiscenza non troppo a favore di questi difensori, a colpi di coltello, dell'onore, e degli articoli del codice. Ma rifletta che qui è Francesca (o meglio forse Paolo) che parla; ed è ben il meno ch'essi possano fare, di chiamare il loro omicida un traditore.

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Ed ora dai primi cinque canti, passiamo agli ultimi cinque del poema.

Di Dio parlando, al XXIX di Paradiso, verso 14, dice Dante ch'Egli creò perché suo splendore Potesse, risplendendo, dir: Sussisto. Il comentatore lo spiega "affinché ogni creatura godesse della coscienza della propria esistenza,.. Coscienza anche nelle creature irragionevoli? nelle inanimate? Molto meglio i piú applicano a Dio stesso quale motivo della creazione questo bisogno della estrinsecazione per avere più completa affermazione di sè.

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- Al v. 50 la terra è chiamata il suggetto de' vostri elementi, ma non perché sopra essa si alzano gli altri elementi, acqua, aria e fuoco, ché l'acqua è più bassa e non piú alta della terra. e la caduta di Lucifero del resto non turbò solo l'elemento terra, ma anche l'elemento acqua, ma bensí perché il globo terrestre è il composto dei quattro elementi; come altrove Dante chiama il soggetto della neve quello che la fa esser neve (Parad., II, 107).

Al v. 61 Perché le viste lor.... traduce "perciò. perloché „; ma il, perciò, è di più. E a mio credere non sarebbe stato male, quando il perch, significa per lo che, scriverlo per che. Al canto XXX, 26 Cosí lo rimembrar del dolce riso La mente mia da sé medesma scema “lo allontana da sé, non consentendo che lo rammenti Non è traduzione letterale, benché ne abbia l'aria: letteralmente dovrebbe dirsi, rende la mia mente minore di sé medesima, inetta cioè a ricordare quello che poco stante pur ebbe a percepire.

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Al v. 34 Cotal, qual io la lascio a maggior bando Che quel della mia tuba, ha una nuova Interpretazione, che cioè la bellezza qui raggiunta da Beatrice" non si può descrivere da lingua umana, ma la si vedrà nel gran dí del giudizio universale E perché questa novità? Perché, Osserva la bellezza di Beatrice è superiore non nure all'umano intendimento, ma e all'angelico (v. 13 e seg.)... E sta bene: ma ciò non avrebbe impedito. n. es., a un angelo, di dirne piú di quello, che non fosse concesso di fare a un semplice mortale come Dante. E non è poi che egli qui insinuasse "che un poeta di maggior ingegno sorgesse a cantare la bellezza di Beatrice, ma è la stessa forma rettorica, per cui al canto I. 35 uscí a dire: Forse, diretro a me, con miglior voci Si pregherà, per che Cirra risponda: se un altro poeta, vuol dire in conclusione, dovesse sorgere a cantare di Beatrice, la sua tromba dovrebbe esser dotata di assai maggior robustezza che non la mia. E non sarebbe poi supremamente incongruo e irriverente che Dante paragonasse lo squillo delle trombe angeliche nel giudizio universale, col suono della sua epica tromba? E poi che le trombe angeliche dovean forse mettersi a cantare le lodi di Beatrice? E quando nel suo Paradiso Dante vuol esprimere il concetto che a ciò cui siamo inetti nella vita presente, potremo arrivare nella futura, parla forse egli mai di giudizio universale, o non si vale piuttosto di espressioni al tutto generiche? Cfr. i canti I, 72; X, 45 e 74; XIV, 106. Al v. 43 non crederei che l'una e l'altra milizia alluda all'avere tanto gli angeli quanto i beati combattuto, ché ciò è cosa ormai passata; e darei col Cesari a milizia lo stesso significato di corte nel v. 96 Ambo le corti del ciel manifeste. Che poi la milizia veduta in quegli aspetti Che tu vedrai a l'ultima giustizia, sia la terrestre, benché tutti lo ripetano, mi pare assurdo perché ciò supporrebbe seguita la riassunzione dei corpi, colla quale soltanto la luce dei beati può acquistare tutta la sua interezza (v. 13 canto XIV). Né giova all'assunto l'allegazione del canto XXII, 58: là Dante chiede a san Benedetto, se avrebbe potuto vederlo a viso svelato, mentre nell'apparizione ch'esso gli fa nel settimo cielo, di Saturno o dei contemplanti, il suo aspetto, come quello di tutti gli altri beati (meno per la loro minor santità quelli del primo cielo lunare) era offuscato dalla gran luce celeste che lo copriva; e san Benedetto risponde, ch'egli avrebbe potuto vederlo a viso svelato (e lo vede infatti) nell'Empireo, ove troverà riuniti i beati che vide sparsamente, discesi apposta per lui, nei diversi corpi celesti. E ciò av

verrà perché, salito nell'Empireo, la vista di Dante si sarà perfezionata al punto che la luce celeste non lo offuscherà piú, anzi lo avviverà. Ma da questo, all'assumere i beati lo stesso aspetto che non potrebbero avere che dopo la risurrezione dei corpi, ci corre e il supporlo mi parrebbe piú da pantomima che da divina Commedia.

- Al v. 52 Sempre l'Amor che queta questo cielo, citando la var. Vat. l'Amore che quieta il cielo, si contenta designarla con le sole parole, il cielo; ma in verità è troppo poco: e anche in tema di varianti, o non darne, o quel che ci vuole ci vuole.

- Al v. 79 Non che da sé sien queste cose acerbe, anziché intendere oscure, sarebbe più conforme alla metafora, intendere inadeguate, giacché le cose, in sé, sono quello che sono, ma se si trasformano agli occhi di Dante, ciò dipende non dalle cose, ma dagli occhi che ne scorgono di mano in mano gli aspetti anche meno appariscenti: non sono le cose che si avviano verso il vero, e di acerbe diventin mature, ma è la vista di Dante che va maturandosi a mano a mano. È lo stesso concetto che vediam ripetuto a l'ultimo canto, a proposito della visione divina: 109 Non perché più che un semplice sembiante, etc. Ed è poi una sublime figura del progresso che anche qui in terra l'uomo va sempre facendo verso la verità.

Dio

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Al v. 85 Come fec'io per far migliori spegli Ancor degli occhi, chinandomi a l'onda Che si deriva perché vi s'immegli “affinché si faccia piú perfetta la vista di chi sta per guardare in Ma non mi par naturale che lo scopo di quello scorrer dell'onda sia cosí ristretto e subiettivo; né tutto quel sottinteso "la vista di chi, ecc. mi persuade. Questi inconvenienti si evitano, con far virgola a deriva, riferire il perché a chinandomi; e spiegarlo : affinché la mia vista (equivalente a senso, degli occhi del v. precedente) vi si migliorasse, del che mi avea fatto cenno Beatrice.

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Al v. 101 Lo creatore a quella creatura Che solo in lui vedere ha la sua pace a qualunque creatura la quale non si appaghi d'altro che della visione beatifica di Dio Vuol dire

in breve, alla creatura beata, ma non è la traduzione piú rispondente.

- Al v. 138 Verrà in prima ch'ella sia disposta "troppo presto. Altrove dice che Arrigo VII sarebbe giunto troppo tardi, Purg., VII, 96„, Non v'ha però contradizione. Là è Sordello che dice di Rodolfo che potea Sanar le piaghe ch'hanno Italia morta Si che tardi per altri si ricrea; e sia che questo ricrea lo s'intenda di Rodolfo o de l'Italia, sempre significa che curata in tempo avrebbe in breve potuto esser salvata, mentre ora, prima che lo possa, ci vorrà ancora del tempo. E a ciò non contraddice, anzi lo conferma, se infatti non lo poté nemmeno Arrigo.

Al canto XXXI, 16 Quando scendean nel fior, di banco in banco Porgevan della pace e dell'ardore Ch'egli aquistavan, ventilando il fianco. Cosí interpunge lo Scartazzini, ma poi riferisce il ventilando non a Purgevan, ma ad aquistavan. E allora conveniva omettere a questo la virgola. Ma il meglio sarebbe lasciarla, e riferire a Porgevan, ché quello che occorreva spiegare non era già come gli angeli attingessero la pace e l'ardore, che troppo ben si capisce, li prendevano da Dio, ma come li diffondessero nei banchi dei beati, che cosí si spiegherebbe, effettuarsi mediante la ventilazione de l'ali angeliche, che anche al Purg., si vide cancellare da Dante il marchio in fronte dei sette P man mano che di ciascun peccato ei si purga. Non pare però, come fa il Cornoldi, che il ventilando possa grammaticalmente riferirsi a tutte due le operazioni. Al v. 28 Viso ed amore avea tutto ad un segno, spiega "tutto, il viso e l'amore,, quasi fosse, tutti. Assai meglio in senso avverbiale, per totalmente; pel quale anzi dovrebbe intendersi, se anche Dante avesse scritto, tutti.

Al v. 56 Per domandar la mia donna di cose Di che la mente mia era sospesa "intende forse dei particolari della rosa celeste; ma non avendo detto di quali cose volea domandare Beatrice, è inutile il volerle indovinare „. C'è poco da indovinare. Se Dante dee portar piene tutte le voglie che son nate in paradiso (IX, 10), dee appunto trattarsi dei particolari della rosa celeste, che leggendo il suo pensiero, e prevenendo la sua dimanda, gli vengono poi infatti spiegati, se non da Beatrice, da san Bernardo da lei precisamente inviatogli A terminar lo suo disiro (65). Al v. 97 Vola con gli occhi per questo giardino "Non gli resta che poco tempo al viaggio mistico Ma il vola non credo implichi rapidità, bensí accenni al grande spazio che la sua vista dovea superare.

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