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Beatrice è morta e Dante pigliando il cominciamento di Geremia profeta scrive ai principali cittadini di Firenze, rimasta come deserta per tanta perdita. Un amico a lui immediatamente dopo il primo e tanto distretto in sanguinità con questa gloriosa, che nullo più presso l'era lo prega che voglia dirgli alcuna cosa per una donna ch'era morta, ed egli accortosi che il fratello di Beatrice, giacché altri non può esser costui, copertamente intendeva di quella benedetta, egli in suo nome scrisse i sonetto Venite a intender li sospiri miei, e due stanze di una canzone, l'una per lui e l'altra per sé. Nell'annuale della sua dipartita, alcuni uomini d'alto affare lo sorprendono che disegnava un angelo su certe tavolette. Dopo di ciò apparisce la gentil donna consolatrice, e incominciano i traviamenti del poeta.

Uno sguardo, un saluto è tutta la storia d'amore narrata nella Vita Nova, ond'è che la negazione del saluto per parte di lei offesa dalle dicerie sparse sul conto della donna dello schermo, costituisce il maggior dolore di Dante, ed è forse uno dei momenti in cui la realtà del l'amore di Dante si manifesta interamente. Qui è la donna offesa, è la donna gelosa che si vendica e toglie allo infedele il saluto in che tutta stava la sua beatitudine. Ma Dante per certo, non ci ha voluto svelare in questo libro tutte le gioie e i dolori dell'amore suo; e detto del gabbo che si prese di lui Beatrice coll'altre donne, quand'egli scolorí nel viso e tremò, al trovarsi alla presenza di lei per inganno di un amico, non si prende cura di notare se allor si pentí di quel riso, tanto sincera e sí poco timida dello scherno (che all'anime piccole è gastigo insopportabile) era la sdegnosa anima del poeta. Lo stesso dicasi del matrimonio di Beatrice, di cui Dante non fa chiaro accenno ma forse colla radunanza di donne ad una festa nuziale vi allude, poiché è anche oggi costume dell'Italia meridionale che le fanciulle non intervengano ai matrimoni, ed altri usi domestici di questi paesi trovano perfetto riscontro in quei di Firenze del secolo decimoterzo e quarto, secondo ci attestano i novellieri e Dante medesimo. Egli è per ciò che gli argomenti addotti dallo Scartazzini per provare Beatrice non dei Portinari, e morta nubile, non ne sembrano molto convincenti. Riamata amante forse fu sino al matrimonio, e lo credettero il gesuita Venturi, che chiamando civettina Beatrice protestò con falsa pudicizia di non intendersi di queste cose, e Niccolò Tommasèo; e il saluto negato a Dante mi sembra una prova; ma anche prova più convincente parmi che sia la nuova forma di affetto che da qui innanzi incomincia, e la

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1 TOMMASÈO, Op. cit., pag. XXXVII.

II TODESCHINI spiega benissimo con un esempio di un suo amicó la scena che narrata da Dante parve tanto strana ed inverosimile. Vol. II. pag. 35. Vita Nova: XIV.

2 Vedi i miei Studi calabresi: (Le reputatrici in Calabria.) Cosenza, Aprea, 1890. Vita Nova: XIV.

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materia nova e più nobile che la passata, nella quale non s'incontrano piú relazioni personali tra Dante e Beatrice.

Ma, per fortuna, Beatrice non sta tutta nella Vita Nova, e dico per fortuna perché in quel libro, ordinato quando la donna del cuore era divenuta la donna della memoria e dell'intelletto, nonostante la incontestabile realtà, è pur forza confessare che la parte medioevale, accessoria, come la disse il De Sanctis, spesso riesce a soffocare la principale, e nella prosa tu senti Dante che si è già messo il cappuccio del dottore e già preparato a scrivere il Convivio. Inoltre, tenendo per fermo che in quella prima espressione ed analisi di un interno sentimento spira l'aura di nuovi tempi e si sente il ringiovanire dell'arte, conveniamo col Carducci che vi si respira ancora come un'aura di chiesa. Altre poesie, che Dante, per ragioni facili ad intendere, non accolse nella Vita Nova, ci parlano di Beatrice e corrispondono ai vari momenti dell'amore di Dante: ma in queste l'amore è umano e Beatrice è veramente donna di questo mondo, quantunque la fiammata amorosa del poeta non divampi in ardente fuoco di passione sensuale.

Ai primi anni dell'amore, ed alla prima parte della Vita Nova stando col secondo verso, forse appartiene la ballata seguente, che il Giuliani ritenne allegorica e rivolta alla Sapienza ancora restìa a mostrarsi a Dante nella sua luce interiore:

Deh nuvoletta, che in ombra d'Amore
negli occhi miei di subito apparisti,
abbi pietà del cor che tu feristi,
che spera in te, e desiando muore.

Tu, nuvoletta, in forma piú che umana,
foco mettesti de tro alla mia mente

col tuo parlar ch'ancide,

poi con atto di spirito cocente

creasti speme, che 'n parte mi sana.

Laddove tu mi ride,

deh non guardare perché a lei mi fide,

ma drizza gli occhi al gran disio che m'arde,

ché mille donne già per esser tarde,

sentito han pena dell'altrui dolore.

Ed a quest'anni giovanili è assegnata la Canzone: La dispietata mente che pur mira, scritta dal poeta che avea per un poco lasciato Firenze,

1 G. A. SCARTAZZINI, Dante in Germania, Milano, Hoepli, 1883, parte II, pag. 326 e seg. TOMMASÈO, Op. cit., pag. XXXVIII. D'ANCONA, Vita Nova: pag. X. Una quistione abbastanza strana trovo proposta da C. LEONICENO nell' Aliglieri, rivista di cose dantesche, Verona, Olschki, 1889, anno I, maggio, fasc. 2, pag. 64: “Come si concilia la grande onestà di Beatrice col salutare che ella faceva per via persone che non l'erano punto familiari? Domando: salutò essa la prima, o rispose al saluto? » Anche sull'amore di Beatrice per Dante: FRATICELLI, Il Canzoniere di Dante. Firenze, Barbèra, 1861, pag. 25 e seg.

2 La Vita Nova e il Canzoniere di Dante, pag. 231-329. la conferma della donna della mente.

BARTOLI: Op. cit., IV, 246, trova

costretto a partire verso quelle parti dov'era la gentildonna ch'era stata sua difesa, e forse, come avvisa il D'Ancona, è diretta a lei per la quale, a nascondere meglio il vero oggetto del suo amore, aveva composte alcune cosette per rima. Alcune espressioni di desideri un po' troppo vivi ci avvertono del perché Dante la escludesse dalla Vita Nova.

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Collegata al paragrafo secondo della Vita Nova, e diretta a Beatrice è la canzone E' m'incresce di me si duramente, in alcuni versi della quale il Bartoli volle trovare una nuova conferma della sua teorica:

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Dunque non piú a nove anni, ma il giorno stesso che ella nacque Dante s'innamorò di Beatrice; ma è facile rispondere che qui il poeta parla iperbolicamente. Niente di sensuale è in questa bella canzone, e non fu accolta nella Vita Nova egli è perché, al dire del Carducci, in quella prevaleva il sentimento soggettivo, e il poeta si era proposto omai di dire in questa ciò che fosse lode di quella gentilissima. 3 Appartengono pure a questo periodo la ballata Per una ghirlandetta, e il sonetto Io sono stata con amore insieme.

(Continua).

APOLLO LUMINI.

'D'ANCONA Vita Nova, pag. 125. Il Giuliani non mostra accorgersi di questo sensualismo nascosto: pag. 256 e seg.. PANFILO SERAFINI, Canzoniere di Dante Allighieri. Firenze, Barbèra, 1883, la suppone scritta per Gentucca: pag. 279.

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BARTOLI, Op. cit., IV, 243. Nella Vita Nova § I: "In quella parte del libro della mia memoria.,, DANTE Inf.: "O mente che scrivesti ciò ch'io vidi: Che ritrarrà la mente che non erra., 3 CARDUCCI, Studi let., pag. 177.

L'ANTIPURGATORIO

Al verso 82 della seconda canzone Virgilio, rivolgendosi a Catone, dice: Lasciane andar per li tuoi sette regni.

Per i comentatori antichi, quei regni sono i gironi del sacro monte.

Ma l'autorità di Catone si fa visibile sui primi ripiani dell'isola, e non si stende al di là della porta dove siede l'angelo, che ha la spada in mano. Anzi è sragionevole ammettere che quell'anima, estranea alla fede cristiana, governi gli spiriti eletti, in luoghi visitati dai ministri divini, e rifulgenti di cenni evidenti delle influenze celesti.

E non può stendersi su quella notte in cui il poeta riposa con Virgilio, sotto i raggi delle tre stelle, che simboleggiano le Virtú teologali, quando le quattro altre, che illuminavano la faccia di Catone, son cadute dal meridiano superiore, dimostrando cosí, come quella parte del poema sia contemplazione e immagine di vita contemplativa, mentre le anime antiche non sono capaci d'innalzarsi al di là delle virtú della vita attiva.

Ma quella parte del monte che ricevette dai comentatori il nome d'Antipurgatorio è in certo modo un Limbo, nel quale si vive nel desiderio d'un'esistenza piú divina, e questo Limbo, o, almeno, quella parte del medesimo che si percorre nella prima giornata, può soggiacere, senza contraddizione, all'autorità della ragione e della prudenza umana, che vengono raffigurate nella persona di Catone.

Se fosse lecito a noi medesimi di sceglier nomi che avessero, per i canti del poema, quella forma di titoli, che immaginarono gli scoliasti greci per i libri dell'Odissea e dell'Iliade, non v'è dubbio che le sette prime divisioni della seconda cantica dovessero chiamarsi cosí:

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In questo elenco, un fatto ci colpisce a prima vista.

Belacqua è immagine di pigrizia. E cosi il canto IV del Purgatorio

che, per altra parte, è la quarta divisione del viaggio mistico dell'Antipurgatorio, raffigura il vituperio e la critica di quel peccato che riceve sempre il quarto rango nella serie dantesca dei massimi vizii della specie umana.

Se vogliamo andar piú oltre in quell'analisi, vedremo l'analogia farsi vieppiù evidente. Non sarà esattamente il canto IV quella divisione del poema che risponde al vituperio dell'accidia; sarà piuttosto l'insieme di quel canto e dei primi versi del quinto, fino al 45. Non pago di biasimare gli atti di Belacqua, il poeta ci presenta, con gran varietà e bellissimi esempi, l'immagine della virtú contraria.

Il principio del canto è un ragionamento filosofico dei piú astratti che ha per iscopo di far palese quell'unità e indivisibilità dell'anima nostra, alla quale san Tommaso d'Aquino e i suoi seguaci si opponevano nelle scuole del trecento con vanissime teorie aristoteliche sulla generazione dell'uomo.

Quindi si dipingono gli sforzi che sono necessarii per salire al ripiano che cinge il sacro monte; giunti in quel luogo, Dante e Virgilio, senza perder tempo, si mettono a esaminare il movimento apparente del sole nell'emisferio australe. Poi, si spiega come la fatica del viaggio sarà sempre minore, quanto piú sia vicina la vetta del poggio. Questa figura è chiarissimo simbolo degli effetti d'ogni lavoro scientifico, e anche di quelli del miglioramento morale dell'uomo. Del lavoro di scienza si può dire che riesce difficilissimo quando s'imparano gli elementi, e molto più agevole, quando si conosce l'insieme delle teorie, e dei fenomeni. E quanto al desiderio di fuggire il vizio e di fare il bene, gli ostacoli massimi che vi si oppongono in ogni caso sono i cattivi costumi e l'abitudine del male, che vanno scemando poco a poco, mentre l'uomo ammaestrato dall'esperienza e dal tempo, prende in dispregio quei piaceri, che sono contrarii all'esercizio delle virtú.

Udite le parole di Belacqua, Virgilio obbliga l'alunno ad affrettare il passo e riscontrandosi con le anime che si maravigliano di vedere come la forma di Dante getti ombra a sinistra, al contrario di quelle degli spiriti, gl'impedisce il fermarsi inutilmente e biasima con gran forza d'espressione quelli che stanno attenti alle dicerie inutili e vane, in vece di rivolgere gli sforzi della mente alle cose serie. Quando certe anime, correndo con tutta fretta, vengono a circondare i poeti, Virgilio, considerando che non si può, senza mancanza di carità cristiana, negar l'udienza ai prieghi loro, comanda pure all'Allighieri di ascoltarle senza interrompere il suo viaggio.

Però pur va, e in andando ascolta.

In somma, studii filosofici e matematici, attività fisica, immagini e biasimi di pigrizia, tali sono gli elementi di quel poemetto di 170 versi, che si può considerare come scritto o ideato contro quel peccato mortale che è l'accidia.

Poi, nel canto V e nei primi versi del VI si leggono i racconti delle morti crudeli di Jacopo del Cassero, di Federigo Novello, di Pier dalla Broccia, e di molti altri, tutti vittime dell'ira dei nemici loro. Vi si ammira il quadro stupendo della rabbia del demonio che scatena le tempeste e scon

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