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L'ostracismo però non fu inflitto alla nostra variante, perchè essa sembrasse priva di un significato, ma perché i critici e gli editori del poema credettero riferirla a quel che segue, dove, naturalmente, non è più traccia veruna del talento di Beatrice; e' dovevano adunque, come in quel d'Eolo a Giunone (Eneide, I, 80) da loro citato, e come in quel di Catone a Virgilio (Purg., I, 87), e' dovevano riferirla a quello che precede. Non bisognava a ogni modo dimenticare che, forse dal solo Boccaccio infuori, l'avevano accolta se non sempre chiaramente intesa, tutti gl'interpreti antichi oggi conosciuti; che anzi l'aveva accolta e dichiarata con perspicua chiosa fra tutti Benvenuto da Imola, il quale basterebbe da solo a darle oggi irrefutabile autorità: che per ultimo e Benvenuto e (a non tener conto pure del Daniello) il Lana e il Buti e il Bargigi, i quali precedettero di tanto le edizioni del poema, ebbero a dettar i commenti loro di sui codici fra' quali scelsero certamente i migliori. Si aggiunga che nella proporzione del settanta su cento i codici offrono la variante qui esaminata, non ostante ch'essa presenti una forma rarissima (se non anche un aлağ λɛyóμεvov) ed una non ovvia interpretazione; s'aggiunga anzi che in quel maggior numero di codici pare certo si debbano annoverar sempre, come vedemmo, i piú autorevoli per l'età e l'originaria purezza del testo, e si converrà con noi nell'atto di suprema meraviglia per l'ostracismo imposto sempre dalle edizioni tutte della divina Commedia alla lezione

Piú non t'è uo' ch' aprirmi il tuo talento.

Ed ora oserei chiudere consigliando a chi, in Italia e fuori, medita sul vagheggiato testo unico del poema di Dante d'accogliere fra' tant'altri e sapienti canoni di critica già escogitati, anche quest'uno: La lezione che, pur presentando rarità di forma e difficoltà d'interpretazione, ricorra nel più e meglio de' codici ed interpreti antichi, ove non apparisca evidentemente errata, in aspettandone l'Edipo, s'accetti intanto ad occhi chiusi !

Bergamo, nel luglio del '94.

A. FIAMMAZZO.

SAGGIO D UNA RACCOLTA DELLE PERIFRASI

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uno sguardo sulle tante perifrasi della divina Commedia, di o ammirare l'arte sovrana che usò l'Alighieri nel far uso delle tte per significare la persona, l'oggetto, il fenomeno od altro, voluto fare il nome. Il modo con cui Dante ha proceduto in compito è stato sí circospetto e l'arte si fine, ch'io non trovo ale, per non esservi espressi i caratteri o le indicazioni pronaggio, o della cosa, o del luogo con essa rappresentati, dà pretazioni diverse.

er esempio, si legge Que' gloriosi che passaro a Colco, chi può bito colla mente il vocabolo Argonauti, dalla perifrasi stessa E quanta limpidezza in quest'altra!

la villa

del cui nome ne' dei fu tanta lite

e onde ogni scienza disfavilla:

sparisce Atene in tutto il suo splendore, dalle origini all'apoa. Quel Greco Che le Muse lattar più ch'altro mai, chi può Omero? Nel Cantor che per doglia Del fallo, disse Miserere Salmista, meglio ancora, starei per dire, che se Dante l'a› col proprio nome....

che Dante per mezzo delle similitudini e delle perifrasi abbia ɔema quel che suol fare l'architetto d'un edifizio gigantesco e i, oltre la grandiosità delle linee e la magnificenza delle parzionate all'intero, cura per siffatta guisa i dettagli da sorprenre coll'ardimento della mole e colla grazia degli ornamenti.... alcune perifrasi della divina Commedia non si potrebbero inente, senza riferirle alle circostanze di luogo e di tempo in > senza riconnetterle alla storia particolare del personaggio cui alludono. Per esempio, L'alta tragedia si capisce esser

delle perifrasi della d. C. di prossima pubblicazione. (La direzione).

l'Eneide, dal contesto però del discorso e sol perché detta frase è posta in bocca a Virgilio, che dice a Dante:

Euripilo ebbe nome, e così 'I canta

l'alta mia tragedia in alcun loco;
ben la sai tu, che la sai tutta quanta:

diversamente in questa perifrasi mancherebbero i caratteri proprî dell'opera virgiliana e l'interpretazione riuscirebbe difficile. Così il poverel di Dio, la terra prava, pastor senza legge, con cui son significati san Francesco d'Assisi, Firenze e Clemente V, si comprendono soltanto per le circostanze in cui sono adoperate.

Il che dà occasione di considerare le perifrasi dantesche divise in due gruppi: il primo di quelle che accennando a nomi di personaggi o di luoghi, o di fatti, universalmente noti, non possono dar luogo a interpretazioni diverse e a bella prima si comprendono anche se distaccate dal poema; e il secondo di quelle che, com'ho detto, si possono intendere soltanto riferendole al momento in cui il poeta le adopra, mentre isolatamente rimarrebbero oscure e d'interpretazione difficile, per non dire impossibile. Quelle del primo gruppo si potrebbero dire perifrasi universali e quelle del secondo particolari, perché connesse intimamente al poeta, alla storia de' suoi tempi e all'architettura del suo poema..........

Né si vuol però disconoscere, osserva il Mestica, che nei particolari casi una perifrasi, che non sia perfetta in sé, o sembri men bella di un'altra, in relazione al discorso che si fa sia da preferire, e acquisti maggior pregio per l'opportunità; avvenendo che qui stia meglio rilevare una data qualità dell'oggetto, là un'altra.

Dante infatti nel principio del suo poema fa del sole una perifrasi men bella della surriferita,' ma tutta a proposito in quel luogo, dove gl'importava mettere in evidenza l'ufficio che fa il sole di menare il viandante diritto per la sua strada: il pianeta Che mena dritto altrui per ogni calle. E altrove del sole dice:

Colui che già si copre della costa
sí che i suoi raggi tu romper non fai.

Qui è stile tutto familiare e dimesso, come appunto si conveniva allora che Dante e Virgilio, salendo il purgatorio, poco prima d'incontrare Sordello, discorrevano, come due buoni amici fra loro, sulla via da prendere. In questa circostanza non sarebbero state a proposito neppure le altre perifrasi meno solenni, che Dante adopera per significare il sole, per la ragione che allora il parlare non sarebbe corso naturale. Se Virgilio avesse detto: Prima che si lassù, tornar vedrai Colui che tutto il mondo alluma, ovvero Co

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lui che apporta mane e lascia sera, ognuno avrebbe giudicato questo linguaggio artificioso e manierato. Ma qui Virgilio, parlando familiarmente con Dante, trae partito da un fatto che proprio allora cadeva sotto i loro occhi ed era ovvio il notare, il sole cioè che si nascondeva, coprendosi della costa occidentale del monte del purgatorio, e il suo discepolo, ch'essendo all'ombra di questo, non gettava piú la sua. Qual naturalezza maggiore? qual perifrasi meglio a posto?....

Già vedemmo che Virgilio, con linguaggio tutto suo proprio e adatto alla circostanza, chiamò Didone

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ma Folchetto di Marsiglia, sul ciel di Venere, che narra di sé a Dante, chiama Didone semplicemente la figlia di Belo. Questa perifrasi è senza paragone men bella dell'altra, ma tutta a proposito in quel luogo. Infatti Virgilio, indicando Didone, aveva interesse di produrre maggiore impressione sull'anima di Dante, o Dante sull'anima del lettore. Oltreché è naturale che Virgilio, in quel luogo, parlando di quella donna, sentisse per lei un misto di pietà e di compiacenza per essere stata ella l'eroina del suo poema, divinamente bello, onde il mondo dei vivi e quello dei morti gli faceano onore. A Folchetto invece, lassù nel cielo, nulla premeva di Didone, che gli cade in acconcio di nominare soltanto per forza di similitudine: Che più non arse la figlia di Belo Di me....

Vuolsi poi considerare che a Dante la perifrasi serví pure al decoro, e fu quand'egli dovette far intendere cosa, che non avrebbe potuto col proprio nome significare, senza offendere la decenza. Quantunque per questo riguardo sia pur da osservare che Dante non andò sempre tanto per la sottile, poichè molte cose indecenti nominò col proprio nome. Infatti mentre per significare la parola stomaco, che non è punto indecente, usa la perifrasi tristo sacco, contemporaneamente poi nomina tal cosa, per cui davvero un giro di parola sarebbe parso più che mai opportuno. Ma sia nel caso testé citato, sia nella terzina trentanovesima del canto XVIII dell'Inferno, poteva poi Dante perifrasare quella tal parola, senza togliere vigore e colorito alla figura terribilmente scolpita di Maometto e all'altra sì comicamente presentataci di Alessio Interminei da Lucca? Nota il Tommasèo che anche Quintiliano concede che a luogo s'adoprino le parole proprie di cose anche sudice. E ne' passi citati e in altri Dante usò veramente a luogo vocaboli sconci, tantopiú ch'egli era persuaso di trattare una commedia, la quale non vieta l'uso di frasi plebee né di parole basse, anzi molte volte ne può aver d'uopo....

Come le similitudini, le perifrasi dantesche anch'esse abbracciano un gran numero di cose; nomi storici, mitologici e geografici; nomi di spiriti e di animali; nomi di popoli e di abitanti di città; fenomeni naturali e fatti di astronomia.

In talune delle perifrasi Dante ti sorprende colla semplicità della locuzione: E l'altro che Tobia rifece sano, dice dell'arcangelo Raffaele: qual vuoi semplicità maggiore? Altre volte tu stupisci come in una perifrasi sia possibile pennelleggiare un quadro come questo sublime:

Quando colui che tutto il mondo alluma,

dall'emisperio nostro si diparte,

e'l giorno d'ogni parte si consuma.

Talora ti sorprende il vederti dinanzi un fatto dei più comuni e, più ch'altro, come il poeta abbia saputo presentarcelo sotto forme veramente poetiche, come quello dei corpuscoli, che muovonsi

per lo raggio onde si lista talvolta l'ombra che, per sua difesa,

la gente, con ingegno ed arte, acquista.

Ben sovente è il core che vien tocco dall'affetto di cui una perifrasi trabocca:

Era già l'ora che volge il desio

a' naviganti e intenerisce il core,

lo dí ch'han detto a' dolci amici, addio!

E che lo nuovo peregrin d'amore

punge, se ode squilla di lontano

che paia il giorno pianger che si muore.

E possa questa mia fatica riuscire non del tutto inutile né ingrata specialmente ai giovani, nelle cui mani son posti i destini della patria, che in Dante risorse e dal culto di lui trae auspicii per la sua grandezza avvenire.

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Deus fecit hominem de limo terrae: dunque Adamo, il primo nostro parente, non nacque. ? La Bibbia: In sudore vultus tui vesceris pane.

3 La bella guancia, Eva: modo omerico.

4 Spiega il Bianchi: Adamo fu creato in virile maturità, a differenza di tutti gli altri che maturano per gradi.

5 Ogni donna è figlia di Adamo e sposa a un figlio di lui, però nuora ad esso (Tommasèo). Primaia, prima. Al v. 83 dello stesso canto e piú innanzi al XXIII del Purgatorio già Dante avea detto l'anima prima.

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