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di non più vivere secondo l'uomo per elevarsi col pensiero alle eterne cose, pur nel suo interno conteneva ancora la notte che traversò con tanta pena; o, in altri termini, l'intimo pensiero ricordando le fallacie e le vanità a cui torse l'amore nel suo passaggio decennale per la selva erronea, che gli costarono delusioni ed affanni; quantunque stimasse di essere uscito alla riva di quel mare periglioso, nondimeno l'animo suo tuttavia fuggiva come sciolto cavallo quando più non era mestieri. Ma fuggiva ancora, perchè il cavalcatore mancandogli la piena potestà della propria virtù, non aveva bastante fortezza da infrenarlo e volgerlo fin d'allora alla pugna contro le attrattive delle sirene, ossia di quelle false immagini di bene che avevano indirizzati i passi suoi per via non vera. Se male non mi appongo, sembra qui che il pensiero dell'autore sia di rappresentarci la lotta che s'impegna nell'uomo tra il buon proponimento di abbandonare un passato che non ha soddisfatto alle veraci aspirazioni del cuore, e l'abito ancor prepotente di quel passato coi suoi diletti fuggevoli e le stesse sue lusinghe; poichè l'espressione dell' animo ancor fuggente di cui si serve, mentre ci mostra per un verso la volontà di allontanarsi da quelle cose, fa capire per altro, che la parte deliberante pur non aveva tanto imperio sull'animo da infrenarlo là dove pericolo più non era: onde riesce manifesto, che se quello fuggiva ancora per lodevole irascibilità in quanto a sè, il difetto stava tutto dalla parte del cavalcatore, cioè della ragione.

Dunque questa direttrice degli umani appetiti agiva imperfettamente sull'animo del poeta, e non altrimenti avvenir poteva nelle circostanze descritte. Sappiamo già come poco dopo entrato nella seconda età ei si fosse partito dall'uso della ragione per non aver seguite le vestigie che Beatrice innanzi a lui segnava nella sua adolescenza; ed ora ben lo si comprende, che non potesse per forza di virtù propria togliere così d'un tratto l'animo da quelle cose fino allora desiderate, per passare dall'influsso loro alla intiera obbedienza di quello imperio che avea per tanto tempo trascurato. Era impossibile che, morto nella selva, appena uscitone si sentisse sôrto a piena e rigogliosa vita; altrimenti qual bisogno avreb

be avuto di Virgilio per condurlo, quanto il potea sua scuola, nell'arduo pellegrinaggio ?....

. . . l'animo mio che ancor fuggiva
si volse indietro a rimirar lo passo,

che non lasciò giammai persona viva.

Le quali parole per me significano: che mentre lo spirito accompagnato dal consentimento, fuggiva le cose odibili della terrena città, nella quale Dante era stato fino allora come cittadino, si volse contento indietro a contemplare il passo, cioè l'atto che avea testè compiuto uscendo di là, ove tutti inevitabilmente cominciamo il nostro cammino, ma dove non dobbiamo rimanere, per salire, invece, coll'aiuto delle tre Ninfe che mirano più profondo, a filosofare nella celestiale Atene. E per coteste spiegazioni emerge finalmente: Non essere il passo che sempre impedì la persona viva; sibbene la persona viva, che tosto o tardi mai non lascia di fare quel passo.

Ma la persona viva è l'uomo che usa la ragione, poichè noi sappiamo che, a differenza degli altri esseri, vivere nell' uomo è ragione usare; onde la sentenza del poeta, che « persona viva » non lasciò mai di fare il passo di cui abbiamo discorso, riesce, nel senso che le attribuisco, rigorosamente vera: se l'uomo in vita ragiona l'alto fine della sua peregrinazione, non rimane nella prima città, ed anzi mette in atto volere e intelligenza ad uscirne per continuare il suo cammino, che si studierà man mano di rendere meno aspro elevando le sue cognizioni nell' esercizio della virtù.

Torino, marzo 1894.

G. G. VACCHERI.

APPUNTI DANTESCHI

I.

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Un epigramma del Landino. - La Malta dantesca. Una variante del Monti e il « Dante del papa ».

Il nome dello splendidissimo senatore veneto cav. Bernardo Bembo è caro a tutti i dantofili sin dal 27 maggio 1483, quando molto decorosamente restaurò il sacello del divino poeta in san Francesco di Ravenna, da lui tenuta in allora pei veneziani. Un fiorentino, celebrato commentatore della Comedia, Cristoforo Landino, gliene porgeva, secondo ci apprende oggi una sua lettera autografa conservata in un esemplare della prima edizione del suo Comento, vivissime grazie per sè e per tutto il popolo di Firenze. La lettera solenne ed il seguente epigramma latini furono di recente pubblicati dal signor E. G. Ledos nell'ultima dispensa della Bibliothèque de l'Ecole des chartes.

Christophori Landini florentini in Danthis poetae sepulchrum a Bernardo Bembo jurisconsulto equiteque ac senatore veneto splendidissimo Ra

vennae restauratum.

Faecerat egregia constructum ex arte sepulchrum
Tyrrheno Danthi prisca Ravenna novum,
invida sed sacris obsunt quoque fata sepulchris
et turpi obducunt omnia pulchra situ.

At tu delitiae veneti, Bernarde, senatus

tutela et sacri, maxime Bembe, chori, livida mordaci quod triverat ante vetustas dente novum niveo marmore restituis.

Ci è caro qui ringraziare l'editore, ma pur dobbiamo rettificare ad un tempo qualche sua osservazione premessa alla lettera del dotto comentatore di Dante.

Volle assegnarle la data del 1481, affermando avvenuta pure in detto anno la ricostruzione del sepolcro dantesco, sul quale, egli dice, si è scritto anche troppo notisi bene che non sa del grande e bel lavoro del

Ricci L'ultimo rifugio di Dante - perchè sia utile ancora intrattenercisi. Commentando poscia il seguente passo della lettera anteaquam hoc ex Jacobo (Jacopo Tedaldi) cognoscerem, comentarios quos in illius poema scripseram iam mille ac ducentis voluminibus impressos edideram, li riferisce alla prima edizione (Firenze, 1481) e si persuade perciò di rivelare una notizia interessante alla prototipografia o meglio sulla tiratura di quella stampa artisticamente preziosissima. Ma invece il Landino parla della seconda (Venezia, 1484), poichè aggiunge « Poteram nempe in illis, modo id prescissem, immortalis tui in nomen florentinum beneficii perpetuum testimonium exhibere » Col prescissem, se l'avessi saputo prima, ossia nel 1483, fa intender chiaro che egli avrebbe ricordato l'immortale benefizio nella seconda edizione, poichè evidentemente non poteva dolersi di non aver fatto cosa nel 1481, che gli dovea esser consigliata da un avvenimento del 1483. La lettera dunque fu certo dettata nel 1484 dopo la stampa della seconda edizione. Il signor Ledos vuol far sapere in fine di non aver potuto scoprire a che lavoro alluda il Landino colle parole opus non multum ab illo alienum del seguente passo: Verum cum aliud hoc tempore non multum ab illo alienum in manibus Versetur opus, licebit, ni fallor, et percommode et perbelle idem in eo efficere quod in hoc non effecisse dolemus.

Ad una terza edizione, rivista e però in qualche modo diversa dalla precedente, che egli lusingavasi mandar fuori in quel tempo e nella quale gli sarebbe permesso ricordare degnamente quello che in questa seconda edizione del 1484 non gli era stato possibile. Venne però la bramata terza ristampa, seguìta anche da una quarta e da una quinta, ma il Landino lungo nel promettere fu nell' attender corto.

Ferchè? dimandiamo noi. Forse che avrebbe suonato male ai fiorentini che nel comento d'un fiorentino al loro massimo poeta si fosse elogiato un così grande e generoso culto alla tomba dell' esule ghibellino, professato da un senatore veneziano?

La questione storico-topografica della Malta dantesca è stata ora ben ripresa (cfr. gli Atti della r. Accad. di Torino, vol. XXIX) e confermata con eletta copia di argomenti storici e filologici dal chiaro prof. Vittorio Cian. in favore di quella stessa Malta o Marta ricordata tre volte da Jacopone, ossia della turris horrenda posta nel lago di Bolsena o sulle sue rive, e, secondo che pure scrisse il Rambaldi, carcer amarus delinquentium sacerdotum. Questo ricorso del Cian alle rime del poeta da Todi, precursore notevolissimo dell' Alighieri, per ispiegarne qualche forma o concetto, è del nitio nuovo e fatto con buon lume di critica. Continui ad attingere al

prezioso laudario e non dubitiamo ch' ei ne saprà derivar tanto da istabilir dei giusti raffronti e dichiararne con prove sincrone altri passi danteschi, quali, ad esempio, le terzine su san Francesco e la povertà professata dal suo ordine, Celestino V, Bonifacio VIII e la simonìa, l'amor divino, la carità cristiana. Non vorremmo per altro ch' egli proseguisse a citare la edizione iacoponiana del Tresatti (Venezia, 1617) che molto a torto allegava la Crusca; sino a che non vegga la desiderata luce il cod. Manzoniano 59, da noi illustrato (cfr. A. Tenneroni, Cat. ragionato dei codici Manzoniani), ed ora in nostro possesso, sarà bene valersi esclusivamente della rarissima edizione principe (Firenze, 1490) o della sua ristampa fatta da G. B. Modio in Roma nel 1558.

Che alcuna gloria i rei avrebber d'elli.

Si sa che il Monti fu il primo a spiegare, contro l'opinione di tutti i comentatori precedenti, alcuna gloria per niuna gloria, proclamando l'alcuno in senso negativo dedotto dal provenzale aucun. La interpretazione montiana empì affatto, per dirla con lui, il Biagioli; ma non v' ha chi ignori come il Fraticelli, il Camerini, lo Scartazzini, il Casini e, per tacere d'altri, il recentissimo Berthier l'abbiano trascurata o combattuta. Non ostante le controversie mossegli dai seguaci del Lombardi subito dopo la comparsa del suo articolo non firmato nel n. 2 della Biblioteca italiana (febbraio 1816) il Monti peraltro continuava con egual calore a predicare la sua spiegazione irrepugnabile: di che sono prova i seguenti passi di due sue lettere, inedite, al celebre archeologo Bartolomeo Borghesi, potute da noi esaminare nella ricchissima collezione d' Autografi Borghesiani.

« Mio caro amico,

» Milano, 16 gennaio 1817.

>> Mi disse Giulio (Perticari) in Pesaro essersi trovato nella Vaticana un » antico commento di Dante nel quale il passo da me illustrato nel 2o n. » della Bibl. Ital. è confermata l'interpretazione da me prodotta. Mi sa» rebbe caro l'averla e prego la cortese vostra amicizia di procurarmela, » onde consolare il Biagioli, nostro Italiano, che pubblicando in Parigi

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