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Come m' hai visto, ed anco esto divieto;"
Chè qui per quei di là molto s'avanza.

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non avendo nulla da attendersi, si racomanda alle preghiere del Poeta (Purg., V, 133):

Ricordati di me che son la Pia,

e di tanti e tanti altri, quant'è lungo il Purgatorio. Ora (si può bellamente conchiudere col buon Giuliani), questo corripondersi di affetti, di opere virtuose e di preghiere continua fra i vivi e i trapassati e mantiene i legami che soavemente gli annodarono quaggiù, confortando di buona speranza il dolore dell' esiglio dalla Patria ove n'attendono i nostri cari. Di qui è, che la Cantica del Purgatorio, dacchè Dante seppe intesserla tutto conforme alla verità cristiana, sarà mai sempre ricercata con amore da chiunque bene ama e crede, e s'avviva nella speranza che in Dio beata si ri posa..>

Nota le terzine I alla 8; 10; 12 alla 15; 17 alla 20; 22, 23, 24, 26, 27, 28, 30, 31, 34, 36 alla 45, con la 47.

NOTA.

Perchè più volte e in più libri su cose dantesche m'avvenne di leggere che i suffragi sminuisconono all'anime la pena, giova convenire in questa proposizione: per quanto si cerchi, non si troverà mai in tutto il Poema una sola espressione, che accenni che i suffragi possano recare sminuzione di pena, ma tutte conchiudono la sminuzione del tempo della pena, che l'eterna Giustizia ha sancito. Quindi la parola di Manfredi, che dice chiaro che il decreto di Dio, cioè il tempo capace di soddisfare alla ingiunta pena, diventa più corto per buon prieghi (v. 141); di quindi il pregar d'altr'anime (Purg, VI, 26-27) pur ch'aliri preghi,

Sì, che s'avacci il lor divenir sante;

e non sminuzione ma abbreviazione di pena inchiude quanto Virgilio ris ponde a una quistione del suo alunno (ivi, 28 e segg.) sulla efficacia de' suffragi; e del pari abbreviazione e non sminuzione comprende la pietosa parola del Poeta ad altri anime (Purg., XI, 31-39); al che dà rincalzo la parola di Sapia (Purg., XIII, 124-129), e quella di Forese (ivi, XXIII, 85): ma finisce ogni dubbio e quistione quanto Dante fa dire al suo Cacciaguida (Purg., XV, 96), usando proprio il verbo raccorciare.

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1-6. L' Alfieri notò il primo e il terzo. Quando per effetto d'impressioni veementi, piacevoli o dolorose, che una delle facoltà dell' anima nostra riceva (cioè che operino sopra di essa), l'anima nostra tutta si raccoglie, si concentra in quella facoltà, allora pare che essa anima non attenda, non si occupi di verun' altra delle sue facoltà (le altre facoltà paiono inoperose); e questo è un argomento contro all' errore de' Platonici, che ammettevano nell'uomo l'anima esser triplice (vegetativa, sensitiva, intellettiva), e de' Manichei, che ne ammettevano due. — Che alcuna virtù ecc.; il che (le quali di. lettanze o doglie) è di caso accusativo. Virtù, potenza dell' anima (v. 4): Summ. Th., 1, 77, 2, ad 3: Est una essentia animae, sed potentiae plures. Nel Conv., 111, 2: « Il Filosofo nel secondo dell' Anima, partendo le potenze di quella, dice che l' anima principalmente ha tre potenze, cioè di vivere, sentire e ragionare....: la vegetativa, per la quale si vive,.... la sensitiva,.... l'intellettiva » Cf. ivi, IV, 7. Nella Vulg. El., II, 3: « Homo tripliciter spirituatus est, videlicet vegatabilis, animalis et rationalis. E fu appunto questo luogo (dove il Trissino tradusse addirittura nell' uomo sono tre anime) che al Rossetti (che intende che l' uomo ha tre spiriti) porse nuovo pretesto a ribadire il suo pregiudizio,che anche la Volgare Eloquenza, non altrimenti che la Commedia, sia un trattato di segreto linguaggio de' Ghibellini per gabellare le loro dottrine politiche e religiose! Comprenda ecc.; questa sensazione cara o dolorosa sia bene addentro ricevuta da alcuna potenza della nostr' anima; e ciò appunto si illustra cogli esempi che tosto qui reco. Bene ad essa ecc.; tutta si affisa, raccoglie in quella tutta sè stessa. Nel Conv., II, 8: « Pensando spesse volte come possibile mi era, me n' andava quasi rapito. E Vit. N., § 40: « Molte volte avvenia che tanto dolore avea in sè alcuno pensiero, che io dimenticava lui, e là dov' io era. » Per simil modo (Purg., XXXII, 1-3) :

Tant' eran gli occhi miei fissi ed attenti

A disbramarsi la decenne sete,

Che gli altri sensi m' eran tutti spenti.

E Conv., III, 8: « Fisamente in esso guardare non può, perchè quivi s' inebria l'anima; sicchè incontanente, dopo di sguardare, disvia in ciascuna sua operazione (Purg., XXVIII, 33 ; XXXIII, 124-126). E nel Par., XVIII, 22-24 (cf. Purg., XVIII, 22-24):

Come si vede qui alcuna volta
L'affetto nella vista, s' ello è tanto
Che da lui sia tutta l'anima tolta.

Contra quello error ecc. (nella Vit. N., § 22: E questo è contra a coloro che rimano ecc.); errore di Platone e de' Manichei, rinnovato poscia da Averrois (cf. Summ. Th., 1, 118, 2). Il fatto che l'anima ad ora ad ora tutta si concentra e si affisa con una sua potenza in dato obbietto, senza più atten

Conv. IV, 3.

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Che un' anima sovr' altra in noi s' accenda.
E però quando s'ode cosa o vede,
Che tenga forte a sè l'anima volta,
Vassene il tempo, e l' uom non se n'avvede:
Ch'altra potenza, è quella ch' ella ascolta,
E altra è quella che ha l' anima intera;
Quella è quasi legata, e questa sciolta.

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dere all' altre due, basta a concludere che un' anima sola è nell' uomo. Sieno
pur varie le potenze o virtù dell' anima, uno è il principio delle umane ope-
razioni, onde non puossi ammettere se non un' anima soltanto,

Che vive, e sente, e sè in sè rigira

(Purg., XXV, 75). E l'Angelico (Summ. Th., 1, 76, 3), combattendo i Plato-
nici, fra i tre principali argomenti che adduce a provare l'unità dell' anima
umana, reca per terzo il seguente, ch'è precisamente quello qui usato da
Dante: «Una operatio animae, cum fuerit intensa, impedit aliam; quod
nullo modo contingeret, nisi principium actionum esset per essentiam
unum. Su ciò ogni studioso di Dante potrà avere ricchezza di dottrina
vera dal bellissimo ed elegantissimo scritto di Augusto Conti, La Filosofia
di Dante, nel volume Dante e il suo secolo.— S'accenda; traslato, che bella-
mente rappresenta l' anima come fiaccola che raggia e vivifica, vivificata e
raggiata essa dalla Luce divina (Conv., III, 2); perchè l' anima nostra, come
le altre cose create, secondo il loro grado di perfezione, non è che splendor
dell' eterna Idea (Par., XIII, 53).

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7-12. L' Alfieri li trascrisse. ·S'ode cosa o vede; si notino i due verbi, che segnano in certa guisa il campo nel quale accade quant' ha detto ne' versi precedenti, quando essi dal senso fisico şi estendano all' intellettuale.

Che tenga forte e sè ecc. (cf. v. 3); condizione da bene attendersi; mostra l'intensità dell'occupazione di quella data potenza, tutta concentrata in un dato obbietto; senza questa forza di meditazione o di osservazione non può succedere che quanto dichiara l' antico adagio: pluribus intentus, minor est ad singula sensus, perchè son come disgregate ed inerti le forze dell'anima; il che vien chiarito dagli esempi del Nostro allegati al v. 3. Vassene il tempo ecc.; l'osservazione psicologica il Poeta chiarisce appresso con quanto avvenne a lui stesso (v. 13 e segg.); e nella Vit. N., § 35 : « Io.... disegnava un Angelo sopra certe tavolette; e mentre io il disegnava, volsi gli occhi, e vidi lungo me uomini ai quali si convenia di fare onore. E riguardavano quello ch' io facea, e secondo che mi fu detto poi, egli erano stati già alquanto anzi che io me ne accorgessi. » Cf. Purg., 11, 117; XII, 73-75; Par., XXI, 1-3; Purg., XVIII, 13, nel commento. Altra potenza ecc.; altra è la facoltà che ode o vede (v. 7) quella tal cosa, che le fa viva impressione ; altra quella che l' anima serba intera (intatta, inoperosa, disoccupata), perchè non attratta da impressioni. Quasi legata (cf. Inf., XXX, 81, nel commento); legata (raccolta, intenta tutta in quel dato obbietto), risguarda il v. 10; sciolta (non preoccupata, inoperosa, cf. Purg., XII, 75; Par., XXVII, 76), risguarda il v. II; onde intera è quanto sciolta,libera cioè dal suo esercizio. È dunque chiaro come il sole che aveva ragione il Giuliani, che propugnò e adottò la legione « quella è quasi legata, e questa è sciolta : » nè vi si può fare ragionevole opposizione. Nella Summ. Th., I II, 2, 6: Pars animae (virtù, v. 2, potenza, v. 10), quae est ab organo corporeo absoluta, quamdam habet infinitatem respectu ipsius corporis,et partium animae corpori concrea

tarum.

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13-18. Di ciò, di tal fatto, di tal fenomeno. - Esperienza vera; è sempre così; al Poeta piace la indagine teorica, ma a dimostrarla meglio vien ad illustrazioni tratte dall' esperienza, e questa encomia come grande elemento del sapere (cf. Inf., XXVI, 116; Par., II, 93; III, 3, nel commento: si vegga Dizionario Dantesco, alla voce ESPERIENZA). — Quello spirto; Manfredi.

Ammirando, ammirato, provando viva maraviglia di quanto vedevo e ascoltavo, di veder salvo Manfredi, e di sentire da lui il lavorio provvidenziale, che a salvezza il trasse (cf. Purg., III, 136, nel commento); e la maraviglia dovette essere e cara e profonda, se il Poeta non s' accorse del lungo tempo che in quel colloquio egli aveva trascorso. Ben cinquanta gradi (il ben qui indica quello che comunemente diciam noi : « tre buone o grosse ore, per dire tre ore e più, o più che tre ore). Nel Canto antecedente (v. 16; cf. ivi, 11, 55-57) il Poeta aveva dichiarato che era circa un' ora di Sole ; adesso il Sole è a tre ore e venti minuti, cioè a gradi cinquanta sopra l'orizzonte. Non è già, come qualcuno affermò, che Dante abbia speso più di due ore con Manfredi : dobbiamo attendere che il Sole er' alto già d' un'ora quando Dante e Virgilio, tra lor discorrendo, camminavano verso il monte (l'urg, III, 16 e segg.); v' arrivano (ivi, 46); passano un po' di tempo pensando al modo di trovar la strada (ivi, 55-56), ed ecco la comitiva d'anime lente (ivi, 46); verso le quali son costretti di andare per mille passi (v. 68); e un po' dopo co mincia il colloquio con Manfredi. Altri fanno dipendere il che di questo verso da ammirando; io sto colle edizioni più accreditate, punteggiando così, che ammirando sia consecutivo di udendo; onde il chè, in senso di perchè, esplica la frase di ciò ebb' io esperienza piena. Non m' era accorto; per quello che espose ne' versi precedenti, cioè perchè il suo animo non era sciolto (Purg., XII, 75; Par., XXVII, 76), ma legato a quanto avveniva intorno a lui. Ad una; unitamente, ad una voce : altrove (Purg., XXI, 35), ad una parver gridar, nello stesso senso; e così Purg., IX, 63, contemporaneamente; nel Par., XI, 42, di S. Francesco e S. Dominico, ad una militaro, cioè insieme, col medesimo scopo. - Qui è vostro dimando; modo poetico di molta efficacia, in luogo dell'oggetto domandato; cioè, qui è la via, della quale ne dimandaste (Purg., III, 76 e segg.); e così diciamo amore, desio, per la cosa amata e desiderata. Ne' Salmi (XXXVI, 4) : Delectare in Domino; et dabit tibi petitiones cordis tui. L' Ariosto (Orl. Fur., XXX, 76): nuova le arreco del suo desire, cioè, del suo innamorato. Cf. Conv., III, II.

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19-24. Aperta, apertura, varco. Impruna, chiude con pruni. Il Talice : < Maggiore aperta: et notandum quod nondum coeperant Virgilius et Dantes ascendere montem; sed hic incipiunt. Et describit locum istum per unam comparationem claram. Dicit quod iste collis erat talis quale unum sabellum est illud vinearum, quando uvae sunt maturae, quod claudit rusticus ne quis intret vineam suam, et projicit spinas in transitu cum furca. Impruna, idest inspinat. Forcatella, piccola forcata, quanto di pruni si può prendere con una piccola forca; il che ben chiarisce che quell' aperta doveva essere assai picciola. « Quell' impruna e quella forcatella di spine, osserva il

L'uom della villa, quando l' uva imbruna,

Ché non era la calla, onde saline,

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!

Lo Duca mio ed io appresso soli,

Come da noi la schiera si partine.

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Vassi in Sanleo, e discendesi in Noli;
Montasi su Bismantova in cacume

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Cesari, son due perle, che fanno brillare questa terzina, perchè la lor proprietà mette la cosa affatto sugli occhi.»-L' uva imbruna, comincia a divenir matura; il Lombardi : « Essendo in Toscana, siccome in Lombardia, quasi tutta l'uva nera, prende perciò Dante il maturare dell' uva nera, ch'è la sola che imbruna, pel maturare di tutta l' uva. » E il Cesari : « Questo imbrunare è un bel dire; per salvar da' ladri l' uva che scura, cioè che comincia a saracinare, come dicono i contadini nostri, ed è allegato dal Salvini nelle sue note alla Tancia. » - Calla (la Nidob. ed altri lo calle, ed altri la scala); apertura, adito; e la voce ricorre in rima nel Purg., IX, 123 (e altrove, nel senso di via angusta, callaia, Purg., XXV, 7). Onde, per la qual calla. - Saline, prese a salire. Su questa forma saline per salt ecc., vale quanto il Varchi (allegato dall' Andreoli, Inf., XI, 31) scrisse nell' Ercolano: « Sappiate che in quei tempi si favellava così; anzi si diceva ancora mene, tene, per me e te, sine per si affermativa, tene per te' o togli, e molti altri così fatti, purchè la sillaba dietro alla quale s' aggiungeva cotal particella, 'avesse l'accento acuto sopra sè; come si può vedere nelle antiche scritture, e nelle moderne lingue, perchè ancora oggi sono in Firenze nelle bocche de' fanciulli e di cotali grossolani, che fanciullescamente favellano, queste e altre somiglianti parole. » Soli, soli noi e due, senza la compagnia di quelle anime. Come, tosto che, non appena si partì da noi la schiera di quelle anime.

25-27. L Alfieri notò i due ultimi. Per le erte ripidissime di Sanleo, di Noli e di Bismantova (benchè sarebbe alle capre duro varco, Inf., XIX,132), si sale e si discende co' propri piedi; ma per quella calla « dove noi conveniva andare, conviene che si voli» (Ottimo); modo risentito di amplificazione.

Sanleo; piccola città dell' antico ducato d' Urbino, della quale Benvenuto fa la descrizione : « In altissimo monte sita, montibus altissimis aggregatis circumcincta, ita quod colligit intra fortilitium fructus et omnia necessaria ad victum et substentationem humanae vitae,sicut Samarinum,castrum naturali situ munitissimum et optimum, distans a Sancto Leone per quatuor milliaria. > -- Noli; borgo della riviera Ligure tra Savona ed Albenga giù in fondo ad un golfo circondato da monti, dove al tempo del Poeta non si poteva per terra accedere, se non discendendo per certi scaglioni incavati nelle pareti quasi verticali del monte. - Bismantova (detto così, dichiara il Tommaseo, perchè a veder quel monte dalla pianura, rende qualche somiglianza della città di Mantova); ai tempi del nostro Autore era un forte castello, del quale ora non rimane vestigio; pietra Bismantova, nell' Apennino in Emilia a oltre 30 chilometri e mezzo da Reggio, monte tagliato a picco che domina su tutti i monti vicini. — In cacume, in vetta, in sulla cima (cf. Par., XVII, 113; XX, 21) intendono i più, a differenza del Postill. Cass., e del Buti, seguiti da ben pochi, che Cacume fan nome proprio d' un monte chi del Lazio, chi della Calabria, monte finora ignoto. Benvenuto intende e descrive preciso: « Bismantua.... tota saxea viva altissima, ita quod superat omnes colles vicinos et habet solam viam in circuitu, quam pauci defenderent a toto mundo; in cuius summitate est planities,quae colitur quando est opportunum, et loca circumvicina sunt sylvestria et aspera, unde habitantes in plano inferius refugiunt ad istum locum tutissimum tempore belli.... In ista

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