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1-6. Per varietà d'arte e di stile, qui non ci descrive il Poeta come venisse dinanzi all' Angelo del quinto girone, nè, come altrove (cf. Purg., XII, 91; XV, 35; XVII, 47; XIX, 47), ci discrive il suo fulgore, e lo scancellargli d' un altro P. dalla fronte; ma sol ci narra il fatto avvenuto, e tira via. È in parte l'avviso d' Orazio, che il poeta in medias res, non secus ac notas, auditorem rapit. Già; il Tommaseo : « Trapasso maestro. Per non ripetere la medesima descrizione, valica il passo dell' Angelo con questo già. L' Angel ecc.; dopo la gran festa fatta da Stazio per aver riconosciuto Virgilio, i tre Poeti erano giunti alla scala, che dal quinto menava al cerchio sesto; appiè di essa trovano l' Angelo, il quale battendo in fronte a Dante le ali, gli scancella il quinto P, dicendo una delle sette beatitudini evangeliche. Dietro a noi ecc.; i tre Poeti ascendevano per la scala. N' avea volti; n' avea indirizzati verso il sesto girone. N' avea volti, altrove, per n' avea guidati, condotti (Purg., VII, 86). Un colpo ecc.; un P; e colpo lo dice, perchè que' P. simbolici eran segni (Purg., XXI, 22), od impressioni fatte dalla spada dell' Angelo in fronte al Poeta (Purg, IX, 112); che altrove disse piaghe (Purg., IX, 114; XV, 86). — E quei ecc.; e l' Angelo ci aveva detto esser beati coloro, i cui desiderii sono unicamente rivolti alla giustizia. A giustizia.... desiro; cf. Par., XVIII, 33. Beati; S. Matteo (Ev., v, 6): Beati qui esuriunt et sitiunt justitiam. L' Ottimo : « Nota che questa beatitudine... corrisponde in contrario all' avarizia; perocchè l' avaro desidera a sè ciò ch' è d' altrui; ed il giusto vuole che a ciascuno sia attribuito quello, che a lui si dee. » E contraria alla sete (Purg., XX, 116-117) e alla fame dell' uomo cupido dei beni terreni (Inf., 1, 47 e 97) è la sete e la fame del giusto; onde dell' Imperatore Enrico (e il Veltro doveva essere un Imperatore) dice all' Italia (Epist. v, 2): Liberabit te de carcere impiorum : qui percutiens malignantes, in ore gladii perdet eos, et vineam suam aliis locabit agricolis, qui fructum justitiæ reddant in tempore messis. S. Agostino (Ex lib. 1, De Serm. Dom.): Beati qui esuriunt et sitiunt justitiam, quoniam ipsi saturabuntur. Jam istos amatores dicit veri et inconcussi boni. Illo ergo cibo saturabuntur, de quo ipse Dominus dicit: Meus cibus est ut faciam voluntatem Patris mei, quod est justitia. » Le sue voci; le sue parole, dell' Angelo. Senz' altro ecc.; alcuni opinano che quest' Angelo avesse detto soltanto Beati qui sitiunt justitiam, tralasciando l' esuriunt, riservandolo all' Angelo della sesta Cornice (Purg., XXIV, 151): altri invece son d' avviso che il Poeta con tale espressione abbia voluto significarci, che l' Angelo non aggiunse a quelle le parole susseguenti della beatitudine evangelica: quoniam ipsi saturabuntur. Altri poi lessero detto n'avean, beati, in le sue voci, con sitio, e senz' altro ciò forniro» (o col Cod. Cass. detti n' avean beati, e le sue voci.... ne forniro), malamente intendendo, che quella beatitudine fosse non già cantata dall' Angelo (e se all' uscir d' ogni cerchio è un Angelo che canta la relativa beatitudine, perchè non qui?), ma dalle anime della quinta cornice ma il Lombardi non essendo persuaso che tal canto fosse levato

ΙΟ

Ed io, più lieve che per l' altre foci,
M' andava sì, che senza alcun labore
Seguiva in su gli spiriti veloci ;

Quando Virgilio cominciò : Amore,
Acceso di virtù, sempre altro accese,
Pur che la fiamma sua paresse fuore.

Onde, dall' ora che tra noi discese
Nel Limbo dell' Inferno Giovenale,

3

dalle anime pazienti, nelle parole quei che hanno a giustizia lor desiro, intende gli Angeli, e che gli Angeli sieno a questo passaggio i cantori di quella beatitudine: e così, a cagione di quel plurale avean, da un ghiribizzo s'è passato in un altro.

7-9. Più lieve (cf. Purg., XII, 116); ad ogni P, che gli viene scancellato dalla fronte, il Poeta acquista nuova leggerezza e maggior vigore di volontà, in prova di quello che gli aveva detto Virgilio (Purg., IV, 91 e segg.; XII, 121 e segg.), e che Dante per effetto rafferma (Purg., XXVII, 121-123). Perciò meglio s'intende perchè il Poeta mondo e lieve faccia quasi sinonimi (Purg., XI, 31); e quanto sia profondo e vero il senso del trascendere che il Poeta farà i corpi lievi (l' aria e il fuoco), più lieve di loro (Par., 1, 98-99, senso che si svela dalle parole di Beatrice (ivi, 136 e segg.). Foci; propriamente sboccatura di fiume (cf. Inf., XXXIII, 83; Purg., V, 124), e per imboccatura di fiume o porto (Par., XIII, 138). Qui, come altrove (Inf., x11, 96; Purg., XII, 112), per cerchio, girone; e per varco, apertura (Inf., XXIII, 129); e foci per i punti differenti dell' orizzonte, onde a noi si presenta nei vari mesi il Sole (ed ecco l' idea di sboccatura, uscita), Par., 1, 37 e 44. Labore (dal labor de' Lat., cf. Par., XXIII, 6, onde abbiamo laborioso, laboriosità), fatica; e tal voce ricorre nel Conv., II, 16 : « Non teme labore di studio e lite di dubitazioni. > In su; su per la scala. Gli spiriti ecc. Virgilio e Stazio.

10-12. Amore ecc. (e si badi alla condizione acceso di virtù); l'amore nato da virtù, da cagione virtuosa ecc.; il Tommaseo : « Può intendersi accese un altro amore, e accese altri d'amore. Il primo è forma più viva. » Rammenta l'Inf., V, 103. Nel Conv., I, 12 : « La bontà è cagione d' amore generativa. E ivi, III, 3: «Per la natura razionale, ha l'uomo amore alla verità e alla virtù; e da questo amore nasce la vera e perfetta amistà, dall'onesto tratta. » Peraltro il Giuliani (postill. ined.) intende di persona : « Amore, che apparisca in qualcuno, accese pur costui ad amare chi per virtù gli si fa amico; ma ci si risente lo sforzo. Paresse fuore; nel Conv., III, II : E l'intenzione d' Aristotele, che quegli si dice amico, la cui amistà non è celata alla persona.» E questo parer fuore della fiamma d'amore fa ripensare alla domanda del Poeta alla misera donna (Inf., v, 118-120), e riporta al paragrafo trentesimosesto della Vita Nuova. Veggasi anche Inf., II, 51, e V, 103.

13-18. Limbo dell' Inferno; il Limbo, se differiva quanto alla pena, era poi, quanto al sito, una continuazione come sentimmo già altrove dall' Aquinate (cf. Summ. Th., III, 52, 2); e questo Limbo costituiva il primo cerchio che cinge l'abisso. (Inf., IV, 24); il primo cinghio del cieco carcere (Purg., XXII, 103). S. Giovanni Damasceno (Oratio 11 de Dormit. B. Mariæ Virg.), parlando dell' anima di Eva, ne dice: Mortis sententia damnatur, et in inferorum collocatur penetralibus. Cf. Par., XXVI, 133. - Giovenale; Decimo Giunio Giovenale nato in Aquino verso l'anno 47, e morto verso il 130 dell'éra volgare, e perciò contemporaneo di Stazio. Di Giovenale abbiamo sedici satire, nella settima delle quali il poeta mostra la sua ammirazione ed ami

Conv. II, 16.

Conv. I, 13:
III, 3.
Conv. III, 11,

12.

V. 103.

Conv.IV. 29.

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cizio per Stazio; e forse per ciò parve all' Allighieri conveniente di farne nel Limbo come un eccitatore d'amore in Virgilio verso il cantore della Tebaide. L'Allighieri nel Convito (IV, 12) ricorda Giovenale, insieme a Seneca e ad Orazio, tra' benemeriti, che s' ingegnarono di ritrarre il cuore umano dalia cupidigia dell' oro; e nel capo 28 allega alquante parole dall' ottava satira rispetto alla nobiltà. Mia benvoglienza ecc.; il mio affetto per te fu così vivo, che nessuno amò mai tanto una persona non vista, ma solo conosciuta per fama. E parmi che un contesto così chiaro riduca a mera sottigliezza la distinzione che qui fanno alcuni tra benevoglienza e affezione. Nell' Inf., XVI, 59, dice ai tre Fiorentini;

L'ovra di voi e gli onorati nomi

Con affezion ritrassi e ascoltai;

e abbiamo il benvolere nelle Rime Ant.; e benvogliente in Liv. M. e Ovid. Pist.; e benvoluto nel Varchi. Strinse; cf. Inf., v, 128; e Canzon. (P. 11, canz. X, st. 3

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Ben è verace amor quel che m'ha preso,
E ben mi stringe forte,

Non vista ecc.; Cicerone (de Amicitia) scrive: Nihil est amabilius virtute, nihil quod magis alliciat homines ad diligendum; quippe cum propter virtutem et probitatem eos etiam, quos numquam vidimus, quodammodo diligamus. E il Petrarca :

Digli Un che non ti vide ancor d' appresso,

:

Se non come per fama uom s' innamora.

Mi parram corte ecc.; pel piacere d'essere in tua compagnia, queste scale (e non intende solo di quella che salivano ora) mi parran corte, pel grande desiderio che fosse lungo il tempo di starmene teco. E ben osserva lo Scartazzini che errano coloro, che, seguendo Benvenuto, intendono qui della fatica del salire; basterebbe anche solo notare che Stazio era spirito come Virgilio, del quale non abbiamo nessun sentore che nell' ascendere pel Purgatorio provasse fatica. Osservò il Gioberti : « Si vede da questo luogo (v. 14) come Dante avesse in grande stima Giovenale. Pare che Dante mettesse innanzi Stazio a Lucano, poichè fa che Virgilio professi di amar più Stazio che ogni altro; e a Stazio e non a Lucano concede l' onore di questo bellissimo episodio. »

19-24. Notati dall' Alfieri. Come amico; cf. v. 12, il passo del Convito. M'allarga il freno; se troppa confidenza mi fa eccedere nelle domande. Nel Par., XXII, 52 e segg., dice il Poeta a S. Benedetto :

l'affetto, che dimostri

Meco parlando, e la buona sembianza,

Ch'io veggio e noto in tutti gli ardor vostri,

Così m' ha dilatata mia fidanza,

Come il Sol fa la rosa ecc.

(e nel Canzon., P. 1, canz. 1, st. abbiam restringere il freno; e ivi, canz. 11, st. 5, alle mie virtù fu posto un freno).—E..... meco ragiona; parla colla fran

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chezza d'amico, e non colla riverenza di ammiratore. E con tale gentilezza di dire (che è proprio la parola ornata, Inf., II, 67), il buon Virgilio fattosi via nell' animo di Stazio, gli rivolge una domanda per dar luogo ad una bella dottrina; la domanda è questa: tu sei giaciuto cinque secoli nel cerchio precedente (Purg., XXI, 67), dove ho inteso purgarsi l' avarizia (Purg., XIX, 115); or come mai un uomo come te, con tanta sapienza ch' avesti, potesti lasciarti prendere da vizio così sordido, quale è l'avarizia? - Tra cotanto senno; cf. Inf., IV, 102 (dove c'è fra; tra accenna alle parti che compengono un tutto; fra accenna a cose differenti). Per tua cura; senno acquistato col tuo buon volere e colle tue fatiche; ed è proprio il lungo studio e il grande amore ricordato da Dante (Inf., 1, 83), e il sudavit et alsit di Orazio (Poet., 413), è la parola santa di Virgilio all' Allighieri (Inf., xxiv, 47 e segg.).

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25-27. L' Alfieri notò l'ultimo. A riso ecc.; dal vedere che Virgilio ignorava la vera cagione dell' esser lui stato in quel cerchio. - Muover ecc.; la stessa frase ricorre nel Purg., IV, 121; ma altro è ivi il riso di Dante per Belacqua, altro questo di Stazio all' error di Virgilio. Ogni tuo dir ecc.; ogni tua parola mi è cara dimostrazione dell' amore che hai per me. Parole dolcissime, e piene d'affetto nobile e d'eleganza, dice il Cesari; e il Tommaseo: «Sentesi la dolcezza di questo colloquio cordiale. »

28-30. Molte volte vediamo cose che danno falso motivo a dubitare, perchè le vere cagioni ci sono occulte. In luogo di dubitar il Giuliani propugnò e accolse nel suo testo la lezione giudicar, per quello ch' egli ragiona nella prefazione alla sua edizione della Commedia; e le ragioni son sottili, dacchè una cosa può dar falsa materia al giudicio, ma non falsa materia al dubbio, poichè il dubbio, per sè, non è nè falso nè vero tuttavia senza il suffragio di buoni Codici (benchè la lez. del Giuliani sia piaciuta a non pochi) non sarà possibile introdurla nel testo. - Dubitar: cf. Par., VIII, 92. Nel Conv., III, 9: Alcuna volta la verità si discorda dall' apparenza. > Matera (cf. Purg. XVIII, 37; come varo per vario, Inf., IX, 115; e lo dissero i nostri antichi anco in prosa); argomento, motivo. Cagion... nascose; cf. Par.,

XVII, 141.

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31-33. La tua dimanda (cf. vv. 22-24) ecc.; la domanda, che mi facesti, mi dimostra (avverare, Purg., XVIII, 35, tener per vero; qui mostrar per vero), mi prova essere tua opinione che io vivendo sia stato seguace dell' avarizia. In l'altra vita; nella vita mortale. Forse ecc.; in tale opinione indotto forse dall' avermi trovato nella quinta cornice, dove apprendesti che si purga l' avarizia.

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Or sappi ch'avarizia fu partita
Troppo da me; e questa dismisura
Migliaia di lunari hanno punita.

E, se non fosse ch' io drizzai mia cura,
Quand' io intesi là dove tu chiame,
Crucciato quasi all' umana natura :

Per che non reggi tu, o sacra fame

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34-36. Partita da me; lontana da me; fui troppo alieno dall' avarizia. Troppo; in guisa che tanto mi scostai dall' avarizia, che caddi nella colpa contraria. Dismisura; eccesso, ciò che soverchia i giusti confini; qui Stazio intende della sola prodigalità; altrove, sì de' prodighi che degli avari (Inf., VII, 42), dice che con misura nullo spendio fêrci; e rammenta l'orgoglio e dismisura de' Fiorentini (Inf., XVI, 74). E or si capisce quel d'Orazio (III, Od. II, 14): Nullus argento splendor est... nisi temperato splendeat usu. E lo stesso (I Epist., XVIII, 9): Virtus est medium vitiorum et utrinque reductum; e Dante (Conv., IV, 17) : « Di tutte le morali virtù si può dire, che sieno abito elettivo consistente nel mezzo (cf. Purg., XVII, 96, 100-101).

Migliaia di lunari (presa la Luna per mese cf. Inf., X, 79-80); migliaia di mesi; sentimmo da Stazio (Purg., XXI, 67-68) ch' egli giacque nella quinta cornice cinquecent anni e più; onde abbiamo oltre a seimila mesi. Lunari; periodi o rivoluzioni lunari, che si compiono in ventinove giorni e mezzo circa.

37-42. E se non fosse (cf. Purg., XIII, 127); e se non fosse avvenuto che io corressi le mie cure, volgendole al bene (che prima avevo volte al male), quando posi ben mente a quel luogo del tuo poema, dove tu, quasi sdegnato contro gli uomini male operanti, esclami : quid non ecc., io sarei caduto all' Inferno. Drizzai; da storto che era facendo dritto il mio amore, i miei pensieri; cioè mi ravvidi. Cura; cf. Par., XII, 129. Chiame (altri esclame); gridi, esclami. Nel Conv., IV, 12 : « La verace Scrittura divina chiama contro a queste false meretrici (le ricchezze). E qui abbiamo gridar contro, nel verso invece chiamare a, che è lo stesso; senonchè il luogo è letto variamente; e chi all' umana ecc. fa dipendere da chiame, chi da crucciato. Crucciato (cf. Inf., XI, 89; XIV, 53), da crucciare o crucciarsi (Inf., III, 94), sdegnato; nell' Inf., XXX, 1-2, crucciato contro alcuno. Nell' Imit. Čr. (11,3,2): << La vera carità non si sa indegnare, nè cruciare, se non inverso di sè medesima. > Perchè non reggi ecc (altri A che ecc.); non v' ha alcun dubbio che Dante ha qui inteso di tradurre la parola di Virgilio (En., III, 56-57) a proposito di Polinnestore (cf. Purg., XX, 115);

quid non mortalia pectora cogis, Auri sacra fames?

cioè a che non trascini, non induci i cuori mortali, o esecranda fame dell' oro? Ma pur su ciò invalsero opinioni disparatissime. Il Lana, prendendo sacra nel senso proprio, di santa, intese che Dante volesse dire : « O umana natura, perchè non reggi tue, perchè non osservi tu la sacra fame dell' oro, cioè lo virtudioso appetito delle ricchezze? Quasi a dire : non hai fame sacra d'oro e di ricchezze, e però le getti via. E nota ch' egli dice sacra, cioè che s'ella s'abbandonasse troppo in quella, egli non sarebbe altro che avarizia. Ma, oltre al dare al sacra un senso certo disforme da quello inteso dall' Allighieri, chi ha chiare in mente le idee di Dante intorno alle ricchezze, stenterà assai a ricevere come espressione del concetto di Dante quel virtudioso appetito delle ricchezze. Invece Benvenuto: «Auri sacra etc.; quasi dicat, quod cupiditas auri compellit corda hominum ad omnia magna mala; tamen hic Statius largiter interpretatur istud dictum, et dicit quod

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