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Continuando i Poeti il loro cammino per la quinta cornice, sentono un' anima celebrare esempi di povertà e di liberalità, e vengono a sapere esser quell' anima Ugo Capeto, il capostipite della Casa di Francia.

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1-3. Contra ecc.; un volere non può resistere ad un volere migliore. Il voler migliore era quello di Adriano, che invitò Dante ad andarsene per non perder più tempo a maturare la sua pena, mentre Dante avrebbe voluto fermarsi li tuttavia a parlare ed udire. Onde; per il che, dovendomi indi partire. Contra il piacer mio; contro il mio desiderio, a mio mal grado (cf. Par., 1, 101). Trassi ecc.; me n' andai, benchè non fossi del tutto contento; la mia sete di sapere altre cose, non era ancor sazia (cf. Purg., XXXI, 1-2; Par., XV, 87). Sazia; bel dire, scrive il Cesari, per inzuppata e impregnata; simile al lana saturata fuco di Orazio (veramente Orazio, Carm. III, Od. V, 28, in luogo di saturata, se stiamo a buone edizioni, ha medicata). Cf. Par., III, 91. Il Buti : « Fa qui similitudine, cioè che la volontà sua era come una spugna, e che li desiderii, ch' elli avea di sapere altre cose da quello spirito, rimaseno non sazi, come rimane la spugna quando si cava dall' acqua inanti che sia tutta piena. >

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4-6. Per li; rammenta il pur lì, dell' Inf., v11, 28. Luoghi spediti; sgombri, liberi, non impediti dalle anime distese a terra; tutto il cerchio, quant' era largo, era occupato dalle anime (onde la via era impacciata, Purg., XXI, 5), e di sgombro o spedito non rimaneva se non (pur, soltanto) un piccolo lembo rasente alla roccia (che è di base alla cornice sesta), com' è quel viottolo che va lungo la merlatura d'una fortezza (cf. v. 9). Stretto; alcuni il fanno aggettivo, riferito a muro; i più (anche il Cesari e il Guiliani), a modo d' avverbio, rasente, vicino. Infatti, prendendo stretto per aggettivo, che locuzione riesce? che senso si avrebbe?

7-9. L'Alfieri notò i due primi Spiega ora meglio la condizione del luogo. Fonde a goccia ecc.; piange l' avarizia; a forza di pianto purga l' avarizia (che è quanto a dire, chiosa il Cesari, si purga fuori per gli occhi del malo affetto). Il mal ecc.; la cupidigia era il vizio dominante, diffuso per ogni villa (Inf., 1, 109). Nel Canzon. (P. II, canz. 5, st. 4) : L' avere a tutti signoreggia. Nell' Epist. VIII, 7: Cupiditatem unusquisque sibi duxit in uxorem (cf. Par., XXVII, 121-123). — Dall' altra parte; dalla parte di fuori, che rade la proda; onde non restava spazio da potervi camminare. S'approccia (cf. Inf., XII, 46; e XXIII, 48; senza la partic. si), s'avvicina, s' appressa; e perciò da quel lato, che lambe la costa del monte, non c'era spazio, per camminarvi.

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10-12. Sulla Lupa io confermo quanto ho detto nell' Inf., I, 51 (e nel
Dizionario Dantesco, vol. VIII, Appendice III); Lupa l' avarizia, ma Lupa
anco la prodigalità; e Lupa così la gola come la lussuria; una Lupa sola,
sempre insaziabile; quest' anima impreca al fiero animale per quanto risguarda
a lei; ma ciò nè toglie, nè può togliere che non abbiano argomento d'impre-
carle del pari gli infletti delle predette colpe. - Antica; cf. Purg., XIX, 58.
Maledetta, nel Conv., III, 15 : « In questo errore cade l'avaro maledetto. >
E di certi superbi, che vogliono scrutare i segreti ordinamenti di Dio
(Conv., IV, 5): «Maledetti siate voi, e la vostra presunzione, e chi a voi
crede. E maledetto chiama il fiorin di Firenze (Par., IX, 130).
Più ecc.;
più della Lonza e del Leone, perchè la Lupa occupa tutto il mondo, (v, 8), e
dopo il pasto ha più fama che pria (Inf., 1, 99). E se ha preda, gli è anche
perchè in lei non un sol vizio, ma tutti i possibili disordinati desiderj son
simboleggiati (carca di tutte brame, Inf., I, 49) di quanto i beni caduchi e
sensibili si stendono. E Dante, simbolo dell' umanità, vinse bensì la Lonza
e il Leone, ma non già la Lupa (Inf., 1, 52-60); e la spiegazione è chiara nel
Par., XXVII, 121-123. Boezio (Consol. Filos., II, r. 2) :

l' ingorda voglia, Divorando l' avuto,

Apre più bocche, e maggior canne mostra.

E Dante nel Conv., IV, 12 : « Lo quale raunamento (di ricchezze) nuovi desiderj
discopre.... La cupidità, raunando ricchezze, cresce. » Bestie; fra tutti gli
uomini erranti, gli infetti di cupidigia son quelli che più si staccano dalla
ragione e più son tenaci delle loro male abitudini (cf. Purg., XIX, 23-24);
nel Conv., II, 8: «Chi dalla ragione si parte...., vive bestia. » — Cupa; senza
fondo, profonda (cf. Inf., XVIII, 109; Par., III, 123); dunque insaziabile. E
Cerbero n'è dipinto dal Poeta con tre bocche (Inf., VI, 14). D' uomo ric-
chissimo diciamo ricco sfondato; e il Davanzati (Stor., II, 297) : la sfon-
data gola di Vitellio. Una postilla del Giuliani: «La carbonaia come più
la s' imbocca (gittandovi entro legna ad ardere) e più sfonda (e ne vorrebbe
di più, e più ne consuma): ciò raccolsi da un carbonaio di Santafiora, 1858. »
Cupo (cf. Inf., VII, 10) indica dunque profondo (Montemagno, son 36 :
< dal cupo del cuor tratto un sospiro ») : nella Cronachett. d' Amarett., § 98:
«Perchè i Romani non avessero l'ossa sue, ordinò (Alarico) che in un fiume
molto cupo in una cassa di piombo fossero messe.» Ma siccome ciò ch'è pro-
fondo è anche, il più delle volte, tenebroso, oscuro (e si rammenti il progres-
sivo discendere di Dante per l' Inferno, dove quanto più va giù, cresce l'oscu-
rità, Inf., IX, 28), si noti questo tratto del Grisostomo (nell' Ottavario Rom.,
II Ottobre): Nihil sane tenebrosius est, quam virginitas oleo carens; unde
sic vulgo multi immisericordes tenebrosos solent appellare; e l'uomo cupido
di beni terreni è un abisso di egoismo, e non ha misericordia per nessuno,
per quanto finga di esser democratico e decanti la filantropia. Cf. Inf., xxx,
56 (dove il passo del Conv., IV, 12).

13-15. L'Alfieri notò i due primi. Nel cui girar ecc.; credevasi che le va-
riazioni delle cose di quaggiù fossero effetto del movimento de' cieli; e in
parte vi credeva anche Dante (cf. Purg., XVI, 61-73; e Conv., 11, 5, poco dopo
il princ.; e ivi, 14: « Della generazione sustaziale tutti i filosofi concordano

Conv. III, 15.

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che i Cieli sono cagione »). Cf. Purg., XXIV, 88; XXXIII, 97 e segg.; Canzon., P. II, canz., 6, st. 4, v. 14; e Dizionario Dantesco, vol. VIII, App. III, §. ult.

Verrà; cf. Inf., 1, 102; però fra il verrà di quel luogo dell' Inferno e la presente espressione quando verrà, non è chi non senta la differenza; l' animo del Poeta par qui men sicuro (cf. Purg., XXXIII, 37, e segg.; Par., IX, 140; XXVII, 63 e 145). Per cui (sottint. quegli), colui per opera del quale a lupa sarà cacciata all' inferno, onde sbucò.

16-18. Notati dall' Alfieri. Lo cosa è dipinta al naturale, nota il Cesari; da manca era la roccia; da destra i condannati giacendo; era dunque da andare adagio, e far piccoli passi. Passi lenti ecc.; cf. Purg. XXV, 125-126. Ed io (chi sottintende andava, chi stava); il Cesari (forse soggiungendo un, idea non in tutto espressa dal Poeta): «Mi par proprio vederlo andar compartendo gli sguardi, ora a' suoi piedi per saper dove li mettea, ed ora alle anime che piangevano, per raccogliere i loro guai. »

19-21. E per ventura; e così andando, udii, sentii chiamare, dire da quelle anime, dolce Maria. Il Perez (op. cit. p. 202) : « Non imagini o voci recate da fuori, insegnano la meditazione a queste anime; ma prostese e chiuse in sè, come le vedemmo, propongono a sè medesime i tipi da meditare, e nella meditazione cotanto s' infiammano, che già veggono e odono i personaggi meditati, e con essi parlando, benedicono durante il giorno in dolci parole ai buoni, e nella notte maledicono a' rei» (cf. vv. 100-102, con Purg., XIII, 37-42). Dolce Maria; sempre prima in ogni bene e del bene in ogni lode la gran Donna. Come fa donna ecc.; come donna nei dolori del parto. Di Maria invocata dalle partorienti, cf. Par., XV, 130. Ne' Libri santi ricorre frequente la similitudine dei dolori delle partorienti; Isaia (XIII, 6-8): Ululate, quia prope est dies Domini .... Torsiones (— cf. Purg., XXXII, 45 −) et dolores tenebunt; quasi parturiens, dolebunt. E ivi (XXVI, 77) : Sicut quæ concipit cum appropinquaverit ad partum, dolens clamat in doloribus suis. Geremia (IV, 31): Vocem quasi parturientis audivi, angustias ut puerperæ. La similitudine, osserva il Venturi (Simil. ecc., 304), è bella e giusta : << in quelle anime l' acutezza del dolore è compensata dalla segreta gioia d'un bene lontano, come nel cuor della donna, dal casto pensiero di divenir

madre. >

22-24. Si cantano esempi di rigida povertà atti a distorcere i cuori dall'avarizia; e qui pure gli esempi son tratti e dalla storia sacra e dalla profana, al medesimo fine. Ospizio; la capanna di Betlemme, ove Cristo nacque (cf. Mon., 1, 5). Sponesti; deponesti, spiegano i più; altri intende partoristi; il Cesari: «Sponesti; che cara parola, e proprio di virginal parto! > Portato; il figliuol di Dio portato nel tuo seno (cf. Par., XXIII, 104; XXXIII, 7).

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25-27. Notati dall' Alfieri. Seguentemente (Conv,, II, 11, al princ. ); appresso
ciò, in seguito. Buon Fabrizio; nome al Poeta venerando, e più volte lo
ricorda. Caio Fabrizio Luscinio, generale romano, che rifiutò i doni di Pirro,
che tentava di corromperlo, e che morì tanto povero, che le sue figlie furon
dotate dal pubblico erario. Nel Conv., IV, 5: «E chi dirà che fosse senza divina
spirazione, Fabrizio quasi infinita moltitudine di oro rifiutare, per non volere
abbandonare sua patria? » E Mon., II, 5 : « Nonne Fabricius alterum (prima
aveva parlato di Cincinnato) nobis dedit exemplum avaritiæ resistendi,
cum pauper, pro fide qua Reipublicæ tenebatur, auri grande pondus oblatum
derisit, ac derisum, verba sibi convenientia fundens, despexit et refutavit?
Huius memoriam confirmat Poeta noster in sexto, cum caneret : parvoque
potentem Fabricium.» E nella canzone O patria degna ecc. (Canzon, P. III,
canz. 2, st. 2), attribuita a Dante, ricorda i leali Fabrizi da Firenze cacciati
in esilio, parole che consuonano a quelle di Brunetto (Inf., xv, 61-66), che
spiegano quelle di Ciacco (Inf., VI, 73). Fabbrizio; singolare, a dir poco, il
Talice, che modestamente rivolgendosi al lettore, gli dice: Et de isto pos-
sem tibi dicere tota die de eo; e poi, a mostrare la sua immensa erudizione,
comincia una chiosa mingherlina così: Iste fuit consul, pater Pirri (capite?),
qui venit tempore quo Tarantum cepit guerram contra Romam.
Con po-
vertà; ne' Proverbi (xv, 16): Melius est parum cum timore Domini, quam
thesauri magni et insatiabiles. E ivi (XVI, 8) : Melius est parum cum justitia,
quam multi fructus cum iniquitate.

28-30. All' infelice esule, che a Cangrande (chi sa con che angoscia di anima) fu costretto di dire urget me rei familiaris angustia (Epist. X, 32), e che ai nepoti di Alessandro da Romena dichiarava, che lo perseguiva inopina paupertas, quam fecit exilium (Epist. II, 3), al nostro infelice esule, dico, dovevano piacere queste care sentenze, onde premuroso va innanzi per discernere da chi fossero state dette (cf. Purg., XIX, 88 e segg.). — Piaciute; qui è tutta l'anima di Dante, che tanto s' adoperò a dimostrare i pregi dell' onesta povertà, ed i guai privati e pubblici della cupidigia. Contezza; cf. Purg., XXIV, 36).

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31-33. Il terzo esempio è la generosità di S. Nicolò vescovo di Mira, nella Licia (il cui corpo ora è a Bari); del fatto, dal Poeta accennato, dice il Breviario Romano (6 Dicembre): Adolescens parentibus orbatus, facultates suas pauperibus distribuit. Cuius illud insigne est christianæ benignitatis exemplum, quod, cum eius civis egens tres filias nubiles in matrimonio collocare non posset, earumque pudicitiam prostituere cogitaret, re cognita, Nicolaus noctu per fenestram tantum pecuniæ in eius domum injecit, quantum unius doti satis esset: quod cum iterum et tertio fecisset, tres illa virgines honestis viris in matrimonium data sunt. L' Aquinate (Summ. Theol., II II, 107, 3): Est laudabile quandoque, ut ille cui providetur, beneficium ignoret; tum propter inanis gloriæ vitationem; sicut beatus Nicolaus aurum in domum projiciens vitare voluit humanum favorem; tum etiam quia in hoc ipso amplius beneficium facit, quod consulit verecundiæ eius, qui beneficium accipit. Il Tommaseo : «Con la povertà di

Mon. III, 5.

Conv. 11, 11;
IV, 11, 13.

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Maria e con la povertà di Fabrizio (uno de' più puri esempi della virtù romana e della pagana), è cantata la magnificenza religiosa e civile, la modesta pietà del vescovo greco, il cui nome appartiene alla Chiesa universale e all' umanità; il quale, per salvare il pudore di tre giovanette, pudicamente nasconde agli occhi del mondo e ai loro stessi la mano soccorritrice. E chi sa che ispirazione del vescovo greco non fosse a Dante quel rammentare con tanto rispettosa pietà in questo Canto gli strazi del Pontefice Romano, i cui politici accorgimenti all' esule costarono cari? Nel Papa malmenato da quei potenti a cui troppo egli in sua vita si mescolò, Dante non vede che Cristo: e sempre nel prete privato della mondana misera podestà (— non si frantendano queste parole —), che a lui e alle altre anime è laccio, gli uomini non abbietti onoreranno l'immagine di Dio sulla terra» (e così non parlano certe anime di pigmei, che non capiscono nè Dante nè sè medesimi, e le parole di Dante violentemente abbassano alla meschinità della loro testa). — Larghezza; generosità; nel Conv., II, II : « E non siano li miseri volgari anche di questo vocabolo ingannati, che credono che cortesia non sia altro che larghezza; chè larghezza è una speziale e non generale cortesia. » E ivi, IV, 13 E privazione di bene la loro possessione (delle ricchezze), chè, possedendo quelle, larghezza non si fa, che è virtù.» E ivi, 27 : « La larghezza vuole essere a luogo e tempo, tale che il largo non noccia a sè, nè ad altrui. La qual cosa non si può avere senza prudenza e senza giustizia. >

34-36. Notati dall' Alfieri. Il Poeta, sentendo che, tacendo le altre, solo parlava quest' anima, le chiede chi sia, e perchè sola a parlare. O anima ecc.; la domanda arieggia, in parte, a quella di Farinata (Inf., X, 22-23).—Tanto ben; il Tommaseo (e lo segue lo Scartazzini) intende ben per sost.; e si fa richiamo al v. 121; ma il ben di quel verso può, più che altro, comprendere le degne lode, che abbian qui tosto; e perciò nulla toglie che ben qui sia avverbio; onde la frase ben favelle conviene a capello all' altra (Purg., XVI, 130),bene argomenti, parlar bene, con ragione, con verità.-Degne lode; lodevoli esempi, atti degni di lode, quelli cioè della Vergine, di Fabrizio e di San Nicolò. Rinnovelle; ripeti, ricordi (il renovare dolorem di Virgilio, e rinnovellare disperato dolor del Nostro, Inf., XXXIII, 4-5, non è che rivocare alla memoria).

37-39. Notati dall' Alfieri. Senza mercè, senza ricompensa, intendendo de' suffragi (cf. vv. 40-41). S'io ritorno ecc.; il se non è qui condizionale, ma sta in senso di poichè, dacchè (cf. Purg., XVI, 40); dunque: farò pregare per te, dacchè a me è concesso di ritornare nel mondo dei viventi a compiere quella vita umana che è un' ombra rispetto all' eterna. Altrove dice la presente vita corta, per antitesi all' eterna (Inf., XII, 50-51); e Purg., XXXIII, 54: il viver ch'è un correre alla morte. — Di quella vita che al termine vola; e vola anche il verso, nota egregiamente il Cesari.

40-42. Ti dirò; ti parlerò, secondo la tua doppia dimanda (vv. 35-36). · Non per conforto ecc.; il Lana (e perciò l' Ottimo) coll' Anonim. Fior. intende che quest' anima non isperava punto ne' suffraggi de' suoi discendenti, sapen

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