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Ha posto in luogo di suo pastor vero.

Io non so se più disse, o s' ei si tacque,
Tant' era già di là da noi trascorso;
Ma questo intesi, e ritener mi piacque.

E quei, che m' era ad ogni uopo soccorso,
Disse : Volgiti in qua, vedine due
All' accidia venir dando di morso.

Diretro a tutti dicean: Prima fue
Morta la gente a cui il mar s' aperse,
Che vedesse Giordan le rede sue.

E quella, che l'affanno non sofferse
Fino alla fine col figliuol d' Anchise,

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moniaci (Inf., XIX); or biasima i potenti del mondo per illegittima intrusione nelle cose della Chiesa; sempre eguale a sè stesso. Pastor vero; perchè Abate canonicamente eletto.

127-129. Notati dall' Alfieri. Io non so ecc.; queste anime parlano correndo; onde dilungandosi l'anima dell'Abate, il Poeta non poteva più intendere se avesse finito il discorso, o se avesse proseguito a parlare. Il Cesari : « Bell'avvedimento! di contare di questo Abate queste poche parole senza più; da che correndo egli di forza in quel medesimo che parlava, non potea di molte farsi intendere a Dante. » E il Giuliani (postilla): Dante si ferma assai poco a discorrere cogli accidiosi, e dal breve modo con cui ne tratta ci fa conoscere la natura del vizio stesso, e come debba correggersi (cf. le parole del Perez, al v. 138). Ritener mi piacque; per dirlo pubblicamente ad altrui ammaestramento del come sia cosa rea violare le leggi della Chiesa.

130-132. Notati dall' Alfieri. Qui, nota il Cesari, per non lasciar morire materia ad altre novità, acconciamente capitano due altre anime dietro loro gridando (cf. v. 99, in nota). — Quei ecc.; Virgilio. — Due; le due anime che erano alla coda della turba magna. All' accidia .... di morso; gridando esempi di accidia punita, come i due primi gridavano esempi di sollecitudine

premiata.

133-135. Primo esempio, gli Ebrei, che, passati il mar Rosso, impazienti delle fatiche del viaggio e mormoranti contro Mosè, morirono tutti nel deserto, tranne Giosuè e Caleb, prima che la Palestina vedesse quegli abitatatori, a' quali Dio, come ad eredi di Abramo, l' aveva promessa (cf. Exod., XIV, 10-20; Numer., XIV, 1-39; Deuter., 1, 26-36). A cui il mar ecc.; gli Ebrei ai quali (secondo la mitologia ebraica o la leggenda, dice lo Scartazzini) secondo la S. Scrittura per voler di Dio le acque del mar Rosso si divisero; e fecero come due grandi muraglie per lasciar via ai fuggenti dall'ira di Faraone di passare all' altra sponda (cf. Exod., XIX, 21 e segg.). S'aperse; cf. Purg., XXVIII, 75. - Giordan; fiume principale della Palestina; qui significa la Palestina stessa.

136-138. L' Alfieri nota il terzo. Il secondo esempio si riferisce ai compagni d' Enea (cf. Æn., V, 604 e segg.), i quali, per uno od altro motivo, non ebbero tanta costanza da seguire il lor duce e tollerare le fatiche del viaggio fino al suo compimento, e si rimasero in Sicilia con Aceste; il che l' Autore ricorda pure nel Conv., IV, 26. —— Quella; quella gente (cf. Inf., XXVIII, 7-13). L'affanno; i disagi, le fatiche. Fino alla fine; sino al compimento dell'impresa, che per voler degli Dei Enea doveva compire. A vita senza gloria ecc.; rimasero ingloriosi, dacchè la gloria loro doveva essere

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Conv. II, 9.

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Sè stessa a vita senza gloria offerse.

Poi quando fûr da noi tanto divise
Quell'ombre, che veder più non potêrsi,
Nuovo pensier dentro da me si mese,

Del qual più altri nacquero e diversi:
E tanto d' uno in altro vaneggiai,
Che gli occhi per vaghezza ricopersi,

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di seguire Enea per la fondazione di Roma. Le parole di queste due anime pur nella consimile intonazione, fan ricordare quell' altre, che s' udranno di tra le fronde dell' abero della sesta cornice (cf. Purg., XXII, 139-154). Scrive il Perez (op. cit., pagg. 190-192) : « Quelle due storie, oltre che son feconde di bei riscontri fra il sacro scrittore e il poeta latino, giovano mirabilmente a ricordare i modi, con cui l'accidia, incomincia e cresce e s'apprende a un' intera moltitudine. In esse vien ritratto quel subito abbandonarsi degli accidiosi a misere voglie, e assidersi a piangere e querelarsi, tutti insieme raccolti a danno comune; quel loro bugiardo anteporre qualunque fatica e male del passato al faticoso e temuto presente; quell' aggrandir senza termine i pericoli che li aspettano, porgendo sempre più avido ascolto a chi più sformata o più spaventosa ne fa la pittura: la sconoscente codardia onde recansi a noia gli stessi beneficii, e tengono a vile ogni alta speranza e promessa e infine le più splendide imprese per opera loro ritardate, scemate e rattristate da vaste ruine. Chi poi considera questi esempi posti in bocca de' due, che restano addietro a tutti gli altri, e che son detti dar di morso all' accidia; e la rapidità con cui il Poeta trapassa gli accidiosi, a' quali non volge mai la parola, e concede men versi che a tutti gli altri spiriti; e qualche simiglianza che qua e là può scernersi tra questo cerchio, e l'atrio dei regni della prima Cantica, s'accorge dell' acre sprezzo, a cui pendeva per tutte le anime tarde e inerti quell' uomo, che sapea congiungere le più austere vigilie e contemplazioni coi più difficili uffizi della repubblica. ›

139-145. Notati dall'Alfieri. Fûr tanto ecc.; allontanatesi tanto ecc.-Nuovo pensier ecc.; distoltasi la mente da quel punto fisso d'osservazione, e persistendo nel Poeta il bisogno naturale di dormire, vuol dirci com' egli cominciò a vaneggiare di pensiero in pensiero (cf.vv. 85-87). Come da un pensiero si passi in altro, e da questo, quasi la mente staccandosi, sopraggiunga un cotale incerto sopore, e poi il sonno, e quindi il sogno, si vegga nella Vit. N., §. §. 3 e 23. Più altri e diversi; nella Vit. N., §. 13: Appresso di questa visione.... m' incominciarono molti e diversi pensamenti a combattere... > D'uno in altro; cf. Inf., XXXIV, 74, in nota. Gli occhi.... ricopersi; nel Conv., III, 1, gli occhi chiusi. Ma il Poeta, da una circostanza, che nata nel Canto seg. (v. 37), ci lascia intendere che qui s'era sdraiato per terra, come chi si mette a dormire. - Per vaghezza; per codesto vagare di pensiero in pensiero, la mente non istando più raccolta in alcuno, e perciò cessando agli occhi stimolo di restare aperti. Il Perez (op. cit., pagg. 192193): «Perchè in mezzo al correre di questi penitenti, non s' ode preghiera? Anzi perchè questo è il solo cerchio, a cui non udiamo assegnata preghiera speciale? Forse l' interdetta dolcezza dell' alzare a Dio anche colle labbra la preghiera è acerba ricordanza e pena per anime, che un giorno al pregare furono troppo restie, e che or debbono intendere meglio che mai, come la preghiera è il più sublime tra i privilegi degli uomini, quello che loro promette d'avvicinarsi e parlare a Dio. Forse il continuo raccoglimento nell'orazione mentale, e il pianto misto con essa (Purg., XVIII, 99), tien luogo d'orazione vocale per gente, che dee rammentarsi e piangere le noie e i divagamenti del pregare antico. Fors' anche l' acerbo poeta, che in questo cer

Conv. IV, 26
Conv. III. 3-

Vit. N. 41.

Vit. N. 3

Vit. N. 13.

Conv. III, 1.

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E il pensamento in sogno trasmutai.

Conv. II, 9.

chio non nomina altro personaggio, fuorchè un uomo il quale più che altri avrebbe dovuto intendere ad orazione, vuole avvisarci che eziandio il lungo salmeggiare è accidia, se il corpo ne trae allettamenti al suo agio, e l' anima è lontana dai pensieri di Dio; onde poi gli accenti indivoti e l' agiato sedere è forza scontare col silenzio della pia meditazione e col disagio del correre senza riposo. Se si noti che gli accidiosi dell' Inferno, nell' imo della stigia palude, barbugliano, ma non possono dire parola intera (Inf., VII, 115-126); e che il già accidioso Bellacqua nell' Antipurgatorio è tosto riconosciuto da Dante alle corte parole (Purg., IV, 121), si potrebbe sospettare che la fina ironia di que' due passi scoppiasse, quasi a insaputa del Poeta, anco nell' impor silenzio agli accidiosi che ci stanno dinnanzi. »

Si notino le terzine 1, 2, 4, 7, 9, 10, 13, 16, 18, 27, 29, 31, 34, 35, 39, 41, 43, 45, 48.

A

I

Conv. II, 14

CANTO XIX.

Nell' ora che non può il calor diurno
Intiepidar più il freddo della Luna,
Vinto da Terra o talor da Saturno;

Nella divisione degli amori e de' beni ragionata più addietro da Virgilio (Purg.; XVII, 91-139), udimmolo dire (ivi, 133-137) :

Altro ben è che non fa l' uom felice;

Non è felicità, non è la buona
Essenzia, d'ogni ben frutto e radice.
L'amor, che troppo ad esso s' abbandona,
Di sovra noi si piange per tre cerchi;

intendendo le tre ultime cornici, dove son punite le colpe dell' avarizia (col
suo opposto la prodigalità), la gola e la lussuria, le tre colpe cioè che vedem-
mo punite per prime nell' Inferno, e che derivano da corruzione di cuore.
Questo bene, pertanto, a cui il cuore degli uomini troppo s' abbandona, altro
non sono che i beni del mondo, le cose transitorie alle quali facilmente
s'abbandonano gli uomini, sperando di trovarvi quella felicità, di cui sma-
niosamente ognuno va in cerca. Ora, stando il mistico viaggiatore per en-
trare nel terzo scompartimento del Purgatorio, nel quale si purgano le mac-
chie de' tre vizi predetti, gli è dal Cielo concessa una visione per disporre
il suo cuore a svilupparsi dai legami di quell' amore, che si torce alle cose
caduche con troppo di vigore (Purg., XVII, 96). Secondo il Tommaseo, il
Canto precedente (che ad alcuni parve così irto e noioso, per la fievolezza
della loro anima non per colpa del Poeta), così pieno di cose difficili a esporsi
anco in prosa, è nella elocuzione più schietto di questo e più poetico.

1-9. L' Alfieri notò i tre ultimi. Nell' ora ecc.; nell' ora ultima della notte, Dinanzi all' alba, che precede il giorno

(Purg., IX, 52, cioè Nell' ora che comincia i tristi lai La rondinella presso
alla mattina, ivi, 13-14), quando il calore del dì precedente (e che si con-
serva anche durante il più della notte), vinto dalla naturale frigidezza della
terra o talora da quella di Saturno, non ha più forza d' intiepidire il freddo
della notte, cioè questo calore sentesi venuto meno ecc.- Il freddo della Lu-
na; notò l'Antonelli che a' tempi del Poeta credevasi che la luce riflessa dalla
Luna non suscitasse sensazione calorifera, errore durato fin verso la metà
del secolo presente. Vinto da terra; vinto, si riferisce a calore; il Tom-
maseo : ‹ Dice da Terra, trattandola come pianeta al modo che da Giove,
da Venere. O talor; talora, perchè non sempre in tale ora Saturno trovasi
sul nostro orizzonte. Saturno; nel Conv., 11, 14 : « Il Cielo di Saturno ha
due proprietadi.....; l'una si è la tardezza del suo movimento pei dodici
Segni; chè ventinove anni e più, secondo le scritture degli astrologi, vuole
di tempo lo suo cerchio : l'altra si è, che sopra tutti gli altri pianeti esso è
alto. E Virgilio (Georg., 1, 335-336), dava all' uomo della villa questo
avviso :

Hoc metuens, cœli menses et sidera serva,
Frigida Saturni sese quo stella receptet.

E Pietro Saturnus planeta est frigidus. - Geomanti (da yǹ, terra, e pávτis,
indovino), superstiziosi indovini, nota il Bianchi, pretendevano di leggere
il futuro nella figura de' corpi celesti e nelle punteggiature, che alla
cieca facevano sull' arena colla punta di una verga. In quanto al modo,

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Quando i geomanti lor maggior fortuna
Veggiono in oriente, innanzi all' alba,
Surger per via che poco le sta bruna;

Mi venne in sogno una femmina balba,
Negli occhi guercia, e sovra i piè distorta,

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scrive il Landino : « Geomanzia è specie di divinazione, la quale gli orientali massime esercitavano circa l'aurora in su i liti : fannosi sedici righe, non di linee, ma di punti fortuiti et non numerati da chi gli fa, poi si dividono in quattro parti, sì che ogni parte ha quattro righe, et accoppiano i punti della riga in forma che nell' ultima rimane pari o caffo, e d' ogni quaternario traggono l' ultime parti et fanno una figura. I nomi delle figure sono: lætitia, tristitia, fortuna maior, fortuna minor, acquisitio, amissio, albus, rubeus, coniunctio, cancer, populus, via, puer, puella, caput, cauda. E fortuna maior chiamavasi dei geomanti quella delle figure, la cui disposizione di punti meglio somigliasse alla disposizione delle stelle che compongono il fine dell' Aquario e il principio di quello dei Pesci. Ora, siccome s'è detto più volte,il Poeta facendo il suo viaggio mentre il sole era in Ariete,così per significarne che il sole non era molto lontano dall' uscire sull' orizzonte, n' accenna alla fortuna maggiore de' geomanti; che è un dire che la costellazione de' Pesci, la quale precede immediatamente l' Ariete) era già in parte sull' orizzonte, e che perciò il sole non poteva di molto tardare a mostrarsi. - Poco le sta bruna, perchè una tal via fra poco sarà illuminata dal sole nascente.Le; alla maggior fortuna. Il Passavanti (Specch ecc., p. 339) « Manifesta il diavolo certe cose occulte per certe figure....; le quali se appariscono in alcuno corpo terrestre,.... si chiama geomanzia.» Bene osservò l'Antonelli, che il Poeta accennando alla Geomanzia, vanissima arte con cui pretendevasi di indovinare il futuro per via di certe figure e disposizioni in corpi terrestri, e alla quale pure si faceva concorrere l'astronomia per la relazione dei corpi stessi con quelli del cielo, non mostra di credere a simili errori, nei quali incorsero uomini anche valenti. > Mi venne in sogno; mi parve vedere; altrove, d'altro sogno alla stessa ora (Purg., XXVII, 97-8):

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Giovane e bella in sogno mi parea

Donna veder ecc.;

(e Purg., IX, 19: In sogno mi parea veder ecc.). Dei sogni fatti in sul mattino si vegga la Nota in fine del presente Canto. - Femmina, si noti la voce, detta a bello studio di proprietà, come altrove (Purg., XXIII, 95); in opposizione alla donna santa (v. 26). — Guercia; vedremo che questa femmina non altro significa che la cupidigia, la quale si esplica nei tre vizi, che tuttavia in questo mistico viaggio ci restano a vedere. Or, fra tutti i vizi niente fa tanto guerci quanto le passioni derivanti dalla cupidizia, che fa vedere stortamente le cose mondane (si legga Par., v, 65 con 79-81). Per questo il nostro Autore chiama ciechi i Fiorentini (Epist. VI, 5), perchè ammaliati dalla cupidigia (mira cupidine cæcati, ivi, 3), che di sua natura è cieca, cioè rende ciechi (Par., XXX, 139); dappoichè cupiditas habitualem justitiam obnubilat, mentre il suo opposto, ch'è la carità, seu recta dilectio, illam acuit atque dilucidat (Mon., I, 13). Scialba (da scialbare, dal lat. exalbare), propriamente bianca, ma qui pallida, smorta, di color cadaverico. Dei difetti di questa femmina scrive Benvenuto : « Nota profundam fictionem poetæ : nam per istam mulierem sic transformatam in contrariam figuram poeta figuraliter repræsentat nobis illecebram et voluptatem mundanam, quæ recte ad modum mulieris est in se turpis, horribilis et odibilis quantum ad existentiam et rei veritatem; sed est pulcra, placibilis et amabilis quantum ad apparentiam et umbram exteriorem..... Litera male exposita est a multis, qui pu

Purg. IX, 52.

Par.XXVII,

133.

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