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Commento

della Divina Commedia

PURGATORIO.

CANTO PRIMO.

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ER correr miglior acqua alza le vele
Omai la navicella del mio ingegno,

« La seconda, dice il Tommaseo, a non pochi pare delle tre Cantiche la più bella; certo è la più mite e serena; quella, dove l'ingegno e l'animo di Dante, tra le memorie, tuttavia fresche, della giovanezza, e le non appassite speranze, tra gl' impeti della fantasia e i riposi ardui della meditazione, si trovavano composti in più tranquilla armonia. Il contrapposto coll' Inferno rende il Purgatorio più bello. E lo stesso autore: < I più si fermano nell' Inferno; e non videro come le bellezze della seconda Cantica fossero più pure e più nuove, della terza meno continue ma più intense, e, dopo la Bibbia, le più alte cose che si sieno cantate mai. » Boezio (Cons. Fil., lib. IV, pr. 4): « Dopo la morte del corpo rimangono all' anime tormenti... e grandi ; de' quali penso che alcuni siano dati loro acerbamente per punirle, alcuni clementemente per purgarle. »

1-6. Notati dall' Alfieri. I due Poeti, per un cammino ascoso, dal centro della terra usciti all' aperto (cf. Inf., XXXIV, 127 e segg.), si trovano nell'isoletta sulla quale si eleva il monte del Purgatorio, che noi sappiamo già come, secondo Dante, si fosse formato (cf. Inf., XXXIV, 121-126). Il Purgatorio, luogo d'espiazione, è dunque sur un' isola; le isole parvero sempre molto opportune a far iscontare la pena ai delinquenti, o creduti tali ; quindi Patmos e l'isola Ponzia nella storia della Chiesa; la storia civile ricorda, fra altre, l' isole d' Elba e Santelena; molte nazioni moderne hanno in isole i loro penitenzari. Per correr ecc.; Virgilio (En., III, 191): currimus aequor. La Cantica incomincia con la proposizione dell' argomento, argomento più lieto; anche nel Conv., II, 1: Lo tempo chiama e domanda lo mia nave uscire di porto: per che, drizzato lo timone della ragione, all' ôra del mio desiderio entro in pelago con isperanza di dolce cammino, e di salutevole

Commento. Purg. - I.

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Che lascia dietro a sè mar si crudele.

E canterò di quel secondo Regno,
Ove l'umano spirito si purga,

E di salire al Ciel diventa degno.

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porto. E a significare che la materia del Paradiso, a cui poneva mano, non fu trattata in tal forma da alcun altro, ritorna all' immagine dell' acqua (Par., II, 7):

L'acqua, ch' io prendo, giammai non si corse.

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Nel Par., XXIII, 67, ricorre tale immagine, ma, come nota il Franciosi,
rinnovata di più amorosa letizia. Alza le vele, si apparecchia, si dispone
al viaggio. La navicella ecc.; il Buti : « la facultà o possibilità del mio
ingegno. Anche in Properzio ingenii cymba; e la navicella nel viaggio
si muterà in legno (Par., II, 3), perchè l' argomento si andrà man mano in-
grandendo. Mar ecc.; materia si dolorosa, quale si è quella dell' Inferno.
Il Poeta, avverte il Köpisch, paragona l' Inferno ad un mare tempestoso;
e ad un mare spaventoso paragonò pur la selva selvaggia (Inf., 1, 23) e il
secondo Cerchio (ivi, v, 29). A questo mare agitato dalle procelle della
falsa attività umana si contrappone il mar di pace, che riposa nel voler di
Dio (Par., III, 85-87). Dall' Epistola a Cangrande (§ XI) è agevole rilevare,
che allegoricamente il Purgatorio rappresenta la via che l'umanità dee
tenere per raggiungere i suoi alti destini, abbandonando i vizi e mortificando
le sue prave inclinazioni; insomma è la via della pace (Purg., III, 74 ; V, 61;
XV, 131; XXIV, 141). — Ingegno; anche quello per l' Inferno fu un viaggio
fatto per forza d' ingegno (Inf., X, 59). Canterò; è verbo dell' epica; si
rammenti l'esordire dell' Iliade, dell' Eneide, dell' Orlando Furioso, della
Gerusalemme Liberata. Secondo regno; il Purgatorio. Secondo i Dottori
della Chiesa, nota lo Scartazzini, il Purgatorio è posto anch'esso nelle parti
inferiori della terra in prossima vicinanza dell' Inferno; anzi, al trar dei
conti, esso ed il Limbo non sarebbero che uno scompartimento dell' Inferno
(cf. Summ. Theol., suppl., 69). Se poi Dante, in quanto al Limbo, seguì i Dot-
tori rispetto al sito (Summ. Theol., loc. cit., art.6), si discostò da loro in quanto
al Purgatorio, collocandolo nell'ampiezza dell' oceano, in una regione aperta
e luminosa; e perchè l' uomo, nella perduta innocenza, doveva rinascere alla
grazia pel sacrificio del Calvario, il Purgatorio è agli antipodi di Gerusalemme
(cf. Purg., II, 3; IV, 67 e segg.; Inf., XXXIV, 112 e segg.), e serve di scala al
Paradiso, per tal modo bellamente continuandosi e riunendosi le due Geru-
salemmi, la terrestre e la celeste (Par., XXV, 56; Epist., VII, 8; x, 7; cf.
Dizionario Dantesco, artic. GERUSALEMME). I medioevali, seguendo certe
espressioni della Scrittura, ponevano Gerusalemme nel bel mezzo della terra;
anzi sant' Onofrio (che fiori verso la metà del secolo ottavo) il punto ove fu
piantata la Croce di N. S. lo dice sacrum terrae umbilicum. San Girolamo,
commentando il versetto 14 del Salmo LXXIII, dice che Dio operatus est
salutem in medio terrae, e che Gerusalemme consideravasi in mezzo alla
terra, o perchè tra i confini dell' Asia, dell' Africa e del mare d'Europa,
o perchè era come il centro delle terre del globo allora conosciute. E in
Ezechiele (v, 5) si legge : Hierusalem in medio gentium posui eam, et in
circuitu eius terras; e, per l' opposto, il Purgatorio è tutto circondato dalle
acque. Il Purgatorio è un' altissima montagna (la fanno dell' altezza di
circa cento miglia), a forma di piramide tronca alla vetta, risegata da sette
cerchi, o cornici, ovvero ripiani, in ciascuno de' quali si scontano le reliquie
d'uno de' sette peccati capitali. Come l' Inferno, anche il Purgatorio è diviso
in nove scompartimenti, cioè l' Antipurgatorio (C" II-IX), i sette Cerchi (C
X-XXVII), e il Paradiso Terrestre (C XXVIII-XXXIII). Per la divisione del-

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!

Ma qui la morta poesia risurga,
O sante Muse, poichè vostro sono,

l'Antipurgatorio, cf. Purg., III, 61-63; e per quella del Purgatorio vero, cf.
Purg., X, 21. Si purga (cf. v. 66; xvII, 83; XXVI, 92), non già si emenda
dei peccati mortali, come dice un chiosatore moderno, chè per morti in tal
colpa non vi può essere ammenda (cf. Purg., XXIV, 84), ma l'anime si puri-
ficano delle lievi macchie, colle quali passarono di questa vita (cf. Purg.,
XI, 34-36; XIII, 88-90). Quindi il santo monte è detto il monte che l'anime
cura (Par., XVII, 20), la montagna che drizza le anime che il mondo fece
torte (Purg., XXIII, 125-126; cf. X, 136). Il Perez: « La parola Purgatorio
esprime il doloroso e amoroso cancellamento de' tenui vestigi, che la colpa,
quantunque da Dio perdonata, lascia dopo morte. >
Di salire ecc.;
quando sarà a Dio pagato il debito contratto per la colpa (Purg., X, 108),
7-12. L' Alfieri notò i due primi. Morta; perchè finora ebbe a soggetto di
canto il regno della morta gente (Inf., vIII, 85); onde poesia morta vale
quanto poesia aspra e lugubre, conveniente ai tristi luoghi d' Inferno, come
il Poeta chiaramente accennò nell' Inf., XXXII, I e segg. Benvenuto, il Buti,
il Daniello ed altri, men felicemente, intendono che Dante tocchi qui dello
stato della poesia ne' tempi anteriori al Poeta, come per le irruzioni barba-
riche e per lo stato civile d' Italia la poesia fosse morta; ma ciò è contro la
storia. Il Venturi poi, oltre a ciò, intenderebbe che Dante, consumati tutti
gli spiriti poetici nel comporre la prima Cantica, ora invochi le Muse per
nuovo aiuto a comporre la seconda. Ma il Poeta disse la scritta morta (Inf.,
VIII, 127), ed aura morta qui appresso (v. 17); è dunque qui passaggio
dalla morte alla vita, dalla gente in eterno perduta a quella che per la pe-
nitenza giunse a salvezza, cio è quanto a dire, dal male venire al bene (cf.
Conv., 1, 2), dal sonno del peccato ridestarsi all' operosità della grazia, dalle
tenebre dell' errore alla luce del vero eterno : onde S. Paolo (Ephes., v, 14):
Surge qui dormis, et exurge a mortuis, et illuminabit te Christus.— Risurga;
si vesta dei colori di vita, si rassereni, s'illeggiadrisca. Come l' Inferno è il
canto dell' odio e della disperazione, così il Purgatorio è quello della spe-
ranza e dell' amore. Il Ginguenè: Son style (di Dante) prend tout à coup
un éclat, une sérénité qui annonce son nouveau sujet. Ses métaphores sont
toutes empruntées d'objets riants.— Sante Muse; è un' invocazione alle Muse
in genere (cf. Inf., 11, 7, nel commento); perchè santo l'intento propostosi
dal Poeta di removere viventes in hac vita de statu miseriae, et perducere
ad statum felicitatis (Epist., X, 15), sante appella le Muse, come altrove le
appella sacrosante vergini; ma non per questo oserei affermare con un mo-
derno, che qui debbansi intendere le Muse cristiane, fatte conoscere dalla
religione cattolica; le Muse, per sè, non sono nè pagane nè cristiane; l'ispi-
razione poetica è quello che è secondo l' anima ed il credere del poeta; e a
tale ispirazione, in genere, mira nella sua invocazione il Poeta; il quale
essendo buon cristiano (Par., XXIV, 52), di necessità non poteva avere che un'
ispirazione rispondente ai sentimenti suoi e alla sua fede. Vostro; sacrato
a voi, perchè tutto alla poesia mi consacrai (Purg., XXIX, 37 e segg.; cf.
Epist., III, 2; IX, 4; Conv., II, 16; Vulg. El., 11, 6). — Calliope (Calliopé
hanno la più dei Codd. a le prime sei ediz., come avverte il Campi), Calliope
(che vale quanto di bella voce) è la Musa che presiede alla poesia epica
e grave (che altrove chiama diva Pegasea, Par., XVIII, 82), detta da Ovidio
la prima del coro delle Muse; dunque l'Allighieri sapeva di scrivere ben
altro che commedia (Calliopè, come Letè, Semelè per Lete, Semele). Nel-
l'Epist. IV, 2, abbiam la frase sermo calliopeus, che il Witte intende poeticus
nobiliorque, mentre il Giuliani propugna la spiegazione componimento poe-
tico. Nell' Inferno (II, 7) s' accontenta d' invocare le Muse e l'alto ingegno;

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E qui Calliopè alquanto surga,

Seguitando il mio canto con quel suono,

Di cui le Piche misere sentiro

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qui si rivolge alle Muse, ma specialmente alla più nobile tra loro; nel Paradiso (1, 13) ricorrerà allo stesso Apollo. Così altrove è nominata Clio (Purg., XXII, 58), ma solo a modo di citazione; invece vera invocazione è quella ad Urania (Purg., XXIX, 41), e l'altra alle Muse tutte (ivi, 37); però più tardi s' accorgerà che quelle donne, che aiutaro Anfione a chiuder Tebe (Inf., XXXII, 10), non più risponderanno al grand' uopo; e se ricorderà Polinnia, non sarà per altro che per dire, che tutte le fantasie e le lingue, anche meglio educate da lei e dalle altre Muse, non potrebbero esprimere a mille la inesprimibile bellezza di Beatrice (Par., XXIII, 55-60). Nell' Epistola a Cangrande (§ XVIII): « Philosophus dicit, quod prooemium est principium in oratione rhetorica, sicut prologus in poetica, et praeludium in fistulatione. Est etiam praenotandum, quod praenunciatio ista, quae communiter exordium dici potest, aliter fit a Poetis, aliter a Rhetoribus. Rhetores enim consuevere praelibare dicenda ut animum comparent auditoris; sed Poetae non solum hoc faciunt, quinimmo post haec invocationem quamdam emittunt. Et hoc est eis conveniens, quia multa invocatione opus est eis, quum aliquid supra communem modum hominum a superioribus Substantiis petendum sit, quasi divinum quoddam munus. > Alquanto surga; si nobiliti, si elevi un poco; ma forse l' espressione alquanto, opina il Bianchi, accenna a un termine medio tra lo stile generalmente piano e dimesso dell'Inferno (intendi relativamente alle materie ivi trattate), e l' ultima sublimità del Paradiso. Virgilio (En., IX, 525):

Vos, o Calliope, precor, adspirate canenti.

E Ovidio (Met., V, 338-340):

Surgit, et immissos hedera collecta capillos
Calliope querulas praetentat pollice chordas,
Atque haec percussis subiungit carmina nervis.

Seguitando, accompagnando, aiutando (Inf., XXXII, 10). Con quel suono ecc.; accompagnando il mio canto con quella soavità di voce, ecc. Il Buti : « Puossi intendere che l'autore dica con quel suono, perchè Calliope disse lode degl' iddii, e le Piche infamie; cioè con la loda del vero Iddio ». V'ha chi crede che con questa mistica allusione chieda il Poeta siffatto canto, del quale i suoi avversari ed emuli sentano la grandezza, e nella loro invidia si consumino. Le Chiose: «Di queste gazze n'è pieno tutto il mondo; imperocchè sono assai, che con un poco di loica e di loro scienza che hanno, si mettono a contastare co' valenti uomini. »- Di cui, per effetto del quale. - Piche (cf. Vulg. El., 1, 2); nove ninfe sorelle (e ninfe legge il Cod. Poggiali), figliuole di Pierio, re di Tessaglia, le quali nella superbia loro per essere molto istrutte, sfidarono al canto le Muse; ma vinte da Calliope, in punizione furono trasmutate in piche o gazze, ad esempio della prosuntuosa ignoranza, o meglio a terrore e ad avvertimento che l'umanità, per quanto dotta, non s'arrischi di montar troppo alto, quasi sfidando il Cielo. Così altrove iĺ Poeta ricorda consimile fatto tra Marsia ad Apollo (Par., I, 20), e la guerra de' giganti contro a Giove (Inf.,XXXI, 45 e 91 e segg.; Purg., XII, 28 e segg.), di sotto alle favole traendo la bella moralità (Conv., II, I: cf. Dizionario Dantesco, artic. FAVOLA). La trasformazione delle figliuole di Pierio in gasse, rammenta la favola delle figliuole di Mineo, re di Tebe, in pipistrelli per aver disprezzato le feste di Bacco; onde i pipistrelli son detti dal Monti le atre di Mineo figliuole (Basvill., 111). Il Giuliani : « Dante con fino intendi

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