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seguono immediatamente appresso:

Quest'ultima preghiera, Signor caro,
Già non si fa per noi, che non bisogna,
Ma per color che dietro a noi restaro.

Pertanto se qui le anime pregano sì veramente in propria persona, come se fossero esposte alle pruove del tentatore, ma pure protestano di farlo pe' viventi, perchè incapaci per sè medesime di essere dall' antico avversario combattute ('); in quel luogo dove sono esse medesime alla pruova assoggettate, devono essere figura di coloro de' quali è proprio vivere fra le tentazioni (tentatio est vita hominis super terram. Job, vii, 1 nella Volgata si legge militia, che, quanto al senso di questo luogo, vale lo stesso), e pe' quali con tanta carità sono usate di ripetere l'ultima dimanda dal Paternostro. Adunque il Poeta coll' allegoria` dell' assalto fatto alle anime, intese di significare ciò che accade a noi altri viatori in sui principii del nostro ritorno a Dio, e non avea luogo più a proposito che dove le anime sono sì veramente per la strada del Paradiso, ma tanto indietro che neppure han cominciata la purgazione propriamente detta (2). Volle infine far segno di quel che interviene quando le passioni, poichè manca loro il pascolo consueto, più acremente si risentono, e l'infernale nimico più si argomenta con inganni molteplici di riconquistare una preda fuggitagli dalle unghie : ed egli con acconcia finzione destramente premunisce il novello convertito per sostenere la battaglia che gli moverà ben presto l'inferno, secondo è pure consiglio ed ammonimento dello Spirito Santo: Fili, accedens ad servitutem Dei praepara animam tuam ad tentationem (Ecclesiastic., II,1). »

(1) Un altro punto, ch' io dirò classico, e che certo all' egregio Dantista qui venne in mente, ma ch' egli avrà creduto soverchio di arrecare, si è quello dove, a consimile proposito, Guido Guinicelli in sul separarsi da lui così prega Dante :

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chi non ci scorge l' intima e viva e pensata relazione all' allegato punto del Canto XI? Mi so bene che certi chiosatori non voglion menar buoni questi passi di confronto, perchè, dicono, altro è il Purgatorio e altro l' Antipurgatorio; va bene; ma, pel caso nostro, allora ditemi, cari signori, dov'è che Dante, in quanto all' impeccabilità dell' anime purganti faccia differenza tra queste e quelle? senza di ciò il vostro argomento non tiene. (2) E così la pensò, fin dai primi tempi del commento, il Postillatore Cassinese, che scrisse : « Si diceremus quod animae existentes in Purgatorio temptarentur a demone, diceremus contra Tomaxium in suo libro Contra Gentiles, et contra Auctorem infra in XI. et XXVI. capitulo; et ideo Auctor dicit quod acuamus bene oculos nostri intellectus. Ad discernendum verum, modo credo quod quicquid ipse Auctor dicit de his animabus in tali hora ita orantibus et canentibus, reducatur ad homines in hoc mundo viventes, spiritualiter Deo servientes, et quodammodo se purgando a malis commissis, quorum moris est in tali hora orando canere et jubilare Deo in deprecationem et laudem Dei et ejus Matris in consortio plurium hominum, ut faciunt in sero canentes laudes ecc. >>

Purg, XIII.22.

CANTO IX.

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La concubina di Titone antico
Già s'imbiancava al balzo d'oriente,
Fuor delle braccia del suo dolce amico:

Di gemme la sua fronte era lucente,
Poste in figura del freddo animale,
Che con la coda percuote la gente:

E la notte de' passi, con che sale,

I

2

1-9. L'Alfieri notò i primi quattro, il settimo, e fatti avea duo col v. seg. Su ciò veggasi la Nota in fin del Canto. La concubina ecc.; l'aurora, moglie dell'antico Titone; come drudo usò il Poeta in buon senso (Par., XII, 55; Conv., II, 16), e druda del pari (Conv.,II, 15; III, 12), così concubina qui varrebbe moglie, dal concumbere de' Latini; e si deve pur tener conto che qui si parla di cose mitologiche, onde ancor più perde del suo acre apparente la parola. Titone, figlio di Laomedonte e fratello di Priamo; l'Aurora, invaghitasi di lui, lo rapì, e portollo in Etiopia, lo sposò e da Giove gli ottenne l'immortalità. S'imbiancava; quelli degli espositori, che intendono l'aurora lunare, credono in questo verso d'avere un forte' argomento a sostegno della loro opinione, magari citando Benvenuto, come fa il Campi, che cioè l'aurora lunare è bianca, mentre rosea è la solare; non si rammentando che delle bianche guance dell'Aurora, che è il suo primo stadio, parlò anche altrove il Poeta (Purg., II, 7); dunque l'Aurora era proprio nel suo esordire. — Al balzo (altri balco per balcone); lembo, punto estremo, dove cioè comincia l'orizzonte razionale dell'emisfero del Purgatorio (cf. Nota in fine del Canto). Fuor ecc.; distaccatasi dagli amplessi del marito. L'immagine riposa in quella di Virgilio (En., IV, 82-83):

Et iam prima novo spargebat lumine terras
Tithoni croceum linquens Aurora cubile.

Di gemme ecc.; la fronte dell'Aurora era ingemmata di quelle stelle,
che formano la costellazione dei Pesci; la qual costellazione ne' segni
zodiacali precedendo l'Ariete, nel quale ora è il Sole, ne viene che in tal
tempo s'accompagna proprio all'Aurora. E ai Pesci (che altrove appella
celeste lasca, Purg., xxxII, 54), per accennare all'alba fa ricorso il Poeta
anche altrove (Inf., X1, 113; Purg., 1, 21). Poste in figura ecc. ; disposte
nella forma, nella figura del Pesce (nel Conv., II, 14 : « In Fiorenza... veduta
fu nell'aere, in figura d'una Croce, grande quantità di questi vapori ecc. »).
Il Casini : « Gli antichi astronomi alla parte più alta di quella costellazione
dettero il nome di Piscis borealis, ed è quello che volge la coda verso
l'emisfero boreale, abitato dagli uomini; e alla parte più bassa il nome di
Piscis australis, ed è quella che volge la coda verso l'emisfero australe che
è il mondo senza gente (Inf., XXVI, 117)». — Freddo; perchè abita nell'acqua,
ed è di natural freddezza; e ho sentito più volte questo proverbio (di persona
di temperamento freddo, e che a nulla si commuove): ha sangue di pesce;
ma tal proverbio non trovo registrato, tra altri, nel grande Dizionario di
Torino. E si rammenti, rispetto alla costellazione, che il sole è in Pesci
dal 21 febbraio al 20 marzo, tempo certo non caldo.
Con la coda ecc.; il
Cesari: «Il pesce appunto colla coda mena di forti colpi. > Passi; son

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vit. N.3.

Vit. N.3.

ΙΟ

Fatti avea due nel loco ov' eravamo,
E il terzo già chinava in giuso l'ale ;
Quand' io che meco avea di quel d' Adamo,

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Dove eravamo;

passi della notte i segni zodiacali, di due ore per cadauno.
nella valletta. Chinava in giuso ecc.; quanto a dire che il terzo avea già
fatto la sua parabola, cioè aveva misurato oltre un'ora delle due a lui asse-
gnate; dunque dal tramonto del Sole fino a questo punto eran passate
cinque ore e qualche minuto. Questo ascendere e discendere. delle ore o
d'altre parti, in che il giorno si divide, ci è confermato nel Purg., XXII, 119.
E l'immagine dell'ali alle parti della notte fa ricordare quella di Virgilio
(Æn., VIII, 369):

Nox ruit, et fuscis tellurem amplectitur alis.

Da tutto ciò si rileva, che mentre all'orizzonte razionale del Purgatorio
sorgeva l'Aurora, nella Valletta eran le ore undici di sera. Come spesero i
Poeti questo tempo? Dopo esser giunti con Sordello in fianco della lacca, e
aver sentito da lui nominarsi alcuni dei più illustri spiriti in essa accolti, era
venuta l'ora dell'Ave Maria (Purg., vi11, 1-6), che secondo l'uso nostro la
si suona al cader delle prime tenebre, il che, ne' primi giorni d'aprile, in che
ora siamo, è verso le ore sette e un quarto. Dal luogo istesso ascoltano da
quell'anime il canto dell'inno Te lucis ante terminum; finito il quale le veg-
gono come ansiose e impaurite guardar verso il Cielo come in atto d'atten-
dere di lassù un necessario soccorso (ivi, 22-24). Ci narra quindi il Poeta lo
scender de' due Angeli, e sente spiegarsi da Sordello il motivo perchè
vennero (ivi, 25-42). Discendono nella valletta, e avviene l'incontro con
Nino Visconti, e quindi il discorso di lui (ivi, 43-81). Segue l'attenzione di
Dante alle tre luminosissime stelle, e la risposta di Virgilio (ivi, 85-93). Ed
ecco la venuta del serpente e l'assalto degli Angeli, che il mettono in fuga,
e il loro ritorno suso alle poste (ivi, 95-108). Per ultimo interviene il colloquio
tra il Poeta e Corrado Malaspina, e la profezia di costui sull'esiglio di Dante
(ivi, 112 e segg.); dopo di che Dante ne narra il suo adagiarsi in sull'erba
e il sonno, che il coglie (C. IX, 10-12). Ma tutto questo succedersi di cose
quanto tempo, domanda lo Scartazzini, può aver durato? E giustamente
risponde: certo non fino all'alba, ma tutt'al più da due a tre ore, cioè fin
verso le ore dieci di sera: il che è irrepugnabile argomento contro tutti i
moltissimi chiosatori e critici di Dante, che ne' primi versi di questo Canto
intendono dell'Aurora sorta nella valletta. Che se per passi, con che la
notte sale, si vogliano intendere i dodici segni zodiacali, nel modo ch'io
propongo e spiego nella Nota in fine del Canto (tenendo che balzo d'oriente
significhi non l'oriente dell'orizzonte sensuale della valletta, sibbene l'oriente
dell'orizzonte razionale del Purgatorio), allora avremo le ore undici e
qualche minuto, tutto il susseguirsi delle suesposte circostanze racchiudendo
nello spazio, anzichè di tre, di circa quattr'ore; e così Dante dormirebbe
non già undici ore, ciò che parve a molti strano (però senza ragione, anche
se così fosse avvenuto), ma solo da otto a nove.

10-12. L'Alfieri notò i due primi. Di quel d'Adamo; la materia, derivante
dalla generazione, cioè il corpo; questo viene, per origine, da Adamo,
ond'egli è padre dell'umana famiglia (Par., XXVI, 93; Conv., IV, 15), primo
parente, primo generante, padre antico (Conv., IV, 15; Inf., IV, 55; Par.,
XIII, III; XX, VI, 92); ma lo spirito deriva immediatamente da Dio (Purg.,
XVI, 32, 85; XXV, 70; Mon., 111, 15; cf. Dizionario Dantesco, alla voce
ANIMA, §1). Più sotto il Poeta dirà la stessa cosa in altra forma (Purg., XI,
44); il qual passo toglie ogni dubbio sulla retta intelligenza di questo; e non
lascia, come pensò il Barelli, che per quel d'Adamo si debba intendere il

Mon. III, 15.

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Vinto dal sonno, in su l'erba inchinai
Là 've già tutti e cinque sedevamo.
Nell' ora che comincia i tristi lai
La rondinella presso alla mattina,
Forse a memoria de' suoi primi guai,
E che la mente nostra pellegrina

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fardello delle colpe, perchè un simile fardello, risponde lo Scartazzini, lo avevano anche gli spiriti ch'eran con lui, eppur non avevan duopo di dormire. Pietro: Secum habebat de illo Adami; scilicet de carne et virtutibus corporalibus. - Inchinai; mi chinai, m'adagiai, nel senso neutro pass. come Inf., IX, 87. - Là dove; nel luogo, nella valletta ecc. Cinque; Dante, Virgilio, Sordello, Nino e Corrado.

13-15. Notati dall' Alfieri. Ed ecco adesso appunto l'aurora nella valletta; ma intanto Dante aveva dormito parecchie ore. Dunque addormentatosi il Poeta circa alle undici della sera precedente (lunedi dopo Pasqua), e avendo dormito infino all'alba del mattino seguente, entrò allora in un sogno; e per l'appunto mentre sogna che un' aquila l'abbia rapito fin su alla sfera del fuoco, viene nella valletta santa Lucia, che, seguita da Virgilio, porta il dormente fino alla porta del Purgatorio,

Là dove il Purgatorio ha dritto inizio

(Purg., VII, 39). Come in sull'alba riuscì di sotterra nell'isola del Purgatorio, in sull'alba è portato alla porta sacra (v. 134), che però non entrerà se non dopo sorto il sole, come col sole risorto compirà il viaggio della sua purificazione (Purg., XXVII, 133). Nell'ora ecc.; poco prima del levar del Sole, presso alla mattina (v. 14), nell'alba che precede il giorno (v. 52). Notabile che per narrare altri due sogni prende lo stesso cominciamento nell'ora che (Purg., XIX, I; XXVII, 94). - Primi guai; quando cioè avvenne la trasformazione di donna in rondine, secondo la favola di Progne e Filomela; delle due sorelle, secondo il più de' poeti, la trasformata in rondine fu Progne, e Filomela in usignuolo; ma Dante ha seguito l'altra opinione (cf. Purg., XVII, 19), ch'è di Probo, di Libanio e di Strabone (cf. Dizionario Dantesco, alla voce FILOMELA).

16-18. Secondo quelli che ammettono che ne' primi versi del Canto si parli dell'aurora sorgente nella valletta, bisognerebbe conchiudere che Dante appena addormentato sia entrato nel sogno; ma pare vi faccia contro il contesto della terzina; quando infatti la nostra mente è quasi divina alle sue visioni? in sull'alba; e il Poeta lo rafferma altrove (Inf., XXVI, 7); e ciò che vuol dire ? nient'altro, che la mente quasi indovina il futuro dopo che il corpo stanco ha dormito parecchie ore; e perciò dice Pietro che humana mens tali praedicta hora magis perspicua est. E de' sogni in sul mattino si rammenti quello del misero Conte e de' suoi (Inf., XXXIII, 26-27), e altri due di Dante (Purg., XIX, 1-7; XXVII, 92-98). E come la mente, per il riposo del corpo, assurge divinatrice in quell'ora mentre la carne è tuttavia legata dal sonno ; così, riprendendo i sensi il loro operoso ministero, la mente è più vivace; unde, dice Pietro, Socrates suadebat oriente sole consilium, occidente sole convivium cogitandum esse: ma ciò, s'intende, in tempi quando alla buon'ora si dormiva la notte e si vegghiava il giorno, perchè fare il contrario, com'ora, Dante lo chiama ordine perverso (Conv., 1, 7). — Peregrina ecc.; è più libera e sciolta dalle impressioni corporee, e meno occupata, meno svagata dalle cure, dai pensieri, che le

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Più dalla carne, e men da' pensier presa,
Alle sue vision quasi è divina;

In sogno mi parea veder sospesa
Un' aquila nel ciel con penne d'oro,
Con l' ale aperte, ed a calare intesa :
Ed esser mi parea là dove fôro
Abbandonati i suoi da Ganimede,
Quando fu ratto al sommo Concistoro.

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danno molestia. È divina; è indovinatrice del futuro; dalle sue visioni, da' suoi sogni prevede il futuro ; quasi indivina est, scrive Pietro (che legge il verso a differenza della comune: «men dalla carne, e più de' pensier ecc.); al quel proposito il Tommaseo dovette aver visto un Codice, che porta altra lez., o aver letto male, se disse (pag. 123, ediz. Pagnoni) che Pietro intende divina, non altro: e soggiunge: «ma già gli è tutt'uno, giacchè gli indovini erano detti divini quasi Deo pleni (Isid. Etym., VIII) ». Ma dei sogni si vegga la NOTA al fine del Canto XIX di questa Cantica. Il Monti (I ritratti de quattro Poeti), allegato dallo Scartazzini :

Nell'ora che più l'alma è pellegrina

Dai sensi, e meno delle cure ancella

Segue i sogni, che il raggio odian del sole ecc.

19-24. Trascritti dall'Alfieri. In sogno mi parea ecc.; altrove (Purg., XIX, 7): mi venne in sogno; e ivi, XXVII, 97:

Giovane e bella in sogno mi parea
Donna veder ecc.

Sospesa; librata in sull'ali. - Penne d'oro; e son quelle delle Aquile imperiali negli stemmi del medio evo (cf. Purg., X, 80, nel commento). A calare intesa; volante in giù. Il verso (con l'ale aperte ecc.) ognun sente quanto pel suo ritmo faccia rimembrare l'altro dell' Inf., XXI, 33:

Con l'ale aperte, e sovra i piè leggiero,

del diavol nero, portator di Bonturo. Nel ratto di Ganimede gli antichi vollero simboleggiare quell'elevazione, quel rapimento con che la prima Verità solleva alle volte l'anima nostra alla contemplazione di sè; dunque, rispetto al simbolo, Aquila e Lucia debbono avere l'identico senso; e infatti Lucia altro non significa qui che la grazia divina, che è come le ali sulle quali l'uomo s'eleva di bene in meglio, di perfezione in perfezione (cf. vv. 55 e segg.), e colla quale sola si vincon gli ostacoli che ci si frappongono in sulla via della virtù. Pietro: Accipe hanc Luciam in forma aquilae pro gratia Dei. E in ciò la verità del sogno di Dante; avveniva di fatto quanto sognava, sinanco nelle più minute circostanze di raffronto. — Là; sul monte Ida. I suoi; i suoi parenti (cf. Purg., VIII, 120); altri, i suoi compagni di caccia, co' quali era sul monte Ida. Ganimede; bellissimo fra tutti i mortali, figliuolo di Troo (filius Priami dice Pietro) re di Troia, da un'aquila mandata da Giove fu rapito al cielo per far da coppiere agli Dei (cf. Dizionario Dantesco, alla voce GANIMEDE). Ratto; rapito, portato su. D'altro rapimento assai più bello che non quello di Ganimede, cioè di uomo pio che passa di questa vita, si dice nel Libro della Sapienza (IV, 11): Raptus est ne malitia mutaret intellectum eius. Sommo Concistoro; al concilio degli Dei (altissimo e congiuntissimo Concistoro divino della Trinità, Conv., IV, 5). Il Buti : « Concistoro si dice lo luogo dove si sta

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