Page images
PDF
EPUB
[blocks in formation]

or non sappiamo chi fosse, scrive: «E dico che più volte alli malvagi, che
alli buoni, provengono li retaggi legati e caduti ; e di ciò non voglio recare
innanzi alcuna testimonianza; ma ciascuno volga gli occhi per la sua
vicinanza, e vedrà quello che io mi taccio per non abbominare alcuno. Così
fosse piaciuto a Dio, che quello che domandò il Provenzale fosse stato, che
chi non è reda della bontà perdesse il retaggio dell' avere. »

121-123. Il Cesari dice questa terzina, superbissima poesia, e verissima e
pia sentenza. Rade volte ecc. ; ben di rado, l' umana probità dal tronco passa
nei rami; cioè rare volte dai padri passa nei figli ; e ciò accade per ordina-
mento provvidenziale, volendo Iddio che la virtù da lui si chiami, a lui si
domandi, dal quale solo viene alle anime la vera grandezza e la vera nobiltà,
non dai natali o da titoli fastosi. Or si legga quanto a tal proposito il Poeta
fa ragionare all'amico suo Carlo Martello (Par., VIII, 94-148), e si vedrà
schiettissima luce illuminare a vicenda i due luoghi. Probitate (cf. Par.,
VIII. 144; XIII, 72); chi conosce appieno quanto Dante discorre a lungo
nel trattato quarto del Convito sulla nobiltà delle anime, conosce già che
nel suo linguaggio probità, bontà, nobiltà, buona natura, gentilezza e valore
hanno identico significato. Nel Conv., IV, 20, parlando appunto di ciò,
scrive: «Il divino seme (di questa probitate) non cade in ischiatta, cioè in
istirpe, ma cade nelle singulari persone. » E nella canzone, che quivi com-
menta (st. 6, v. 16): solo Iddio all' anima la dona (cf. Par., VIII, 129). Cf.
Conv., IV, I, II, 14, 18, 20, 22, 27. Il Macchiavelli (Disc., I, 11), allegato dal
Camerini: I regni, i quali dipendono solo dalla virtù d'un uomo, sono
poco durabili, perchè quella virtù manca con la vita di quello, e rade volte
accade che sia rinfrescata una successione,come prudentemente Dante dice.»

[ocr errors]

124-126. Notati dall' Alfieri. Nasuto; colui dal maschio naso (v. 113). Vanno mie parole; le mie parole risguardano non solo Pietro III d'Aragona rispetto a' suoi figliuoli, ma sono pur rivolte a Carlo I d'Angiò, in risguardo al suo figliuolo ed erede Carlo II, pel mal governo ch'ei fa della Puglia e della Provenza.- Vanno ecc.; nel Conv., II, 12: « Alla canzone vanno (sono indirizzate) le parole. » · Con lui canta (cf. vv. 112-113). Puglia ecc.; la stoccata va dritta al figlio del nasuto, Carlo II, il Ciotto di Gerusalemme (Par., XIX, 127), così scarso di virtù, il venditor di sua figlia (Purg., XX, 79 e segg.), lo sbandeggiatore delle lettere e dei letterati, e amico di uomini di mal affare (Vulg. El., 1, 12), circondato di cattivi consiglieri (Conv., IV, 6). Vero è che il Poeta, facendo nel Paradiso parlare Carlo Martello figlio di esso Carlo, lo dice di natura larga, elogio sommo, e che ogni bella qualità comprende (Par., VIII, 32). Ma certo non sarà mai bastevolmente inculcato l'avvedimento del Giuliani, che s' abbia sempre a por mente per mezzo di chi viene data la lode od il biasimo, se cioè prorompa dall' animo del Poeta, ovvero da coloro ch'egli introduce nel Poema ; senza di ciò le contraddizioni non mancheranno di affacciarsi al lettore. Per altri fatti risguardanti Carlo II cf. nel commento ai luoghi più su dal Poema allegati. Ma anco non è fuor di luogo il notare che torna ben difficile stabilire sino a qual punto abbia in Dante potuto la passione; ma non si può negare che ad ora ad ora non abbia offeso la serenità e l'imparziabilità del giudizio, specialmente

[blocks in formation]

Tant' è del seme suo minor la pianta,
Quanto, più che Beatrice e Margherita,
Costanza di marito ancor si vanta.

43

verso gli Angioini e i due Aragonesi; da che ciò? fra le molte ragioni parmi prevaler quella, che per i primi prese nuovo vigore il guelfismo in Italia, e derivò ostacolo potente a insinuare negli spiriti la necessità di quella universale Monarchia,nella quale soltanto egli vedeva la salute, nonchè d'Italia, ma del mondo; nè poteva piacergli l' estinzione da essi operata di Casa Sveva. Nè gli doveva esser gradito Giacomo d'Aragona, alleatosi con Carlo II ai danni del fratello Federico ; nè Federico, al pari dell' Angioino, opponentesi, secondo il Poeta, alle ragioni dell' Impero, e quindi ambedue i fratelli rappacciarsi con lui. Di qui s' ha nuovo argomento a vedere qual fede si meriti d'autenticità la così decantata Lettera di Frate Ilario, dalla quale apparirebbe che il Poeta aveva intenzione di dedicare a Federico la Ĉantica del Purgatorio.

127-129. La pianta; e v. 132 rami; cf. Purg., XIV, 100, nel commento. Il Lana (e in sostanza tutti gli antichi chiosatori con lui, e qualche moderno) spiega: Sta così la comparazione: tanto quanto lo marito di Costanza è meglio de' mariti di Beatrice e di Margarita, cioè tanto quanto don Pietro è meglio di don Federigo e di don Jacomo, tanto fu migliore lo re Carlo I de' suoi discendenti. Sicchè altro non si può concludere se non così: come la casa d'Aragona in li discendenti è vilificata, così la casa del re Carlo di Puglia patisce simile detrimento. Dunque dagli espositori s'intese che qui il Poeta parli delle mogli di Giacomo e di Federico, ambedue figliuole di Carlo II. Ma fu già provato che la moglie di Giacomo si chiamava Bianca e non Beatrice, ed Eleonora e non Margherita quella di Federico: oltrechè, è affatto escluso potersi qui parlare di ciò, per questo capitale argomento: Se è vero che Giacomo si fece sposo nel 1295, è vero altresì che Federico non s'ammogliò che nel 1303; quindi, dovendo tener fermo il 1300, in che cadde il mistico viaggio, è impossibile (anche se il nome non isconvenisse) potersi intendere della moglie di Federico. La difficoltà fu avvertita anche dal Venturi, ma non punto risolta; chi la risolvette si fu il Mercuri un mezzo secolo fa, il quale osservò che qui si parla delle due mogli successive di Carlo I d'Angiò, Beatrice figlia di Raimondo Berlinghieri, la quale morì nel 1267, e Margherita figlia di Eude duca di Borgogna sposata da Carlo nel 1268; e perchè la spiegazione del Mercuri è la sola che s'accordi colla storia, fu accettata dai chiosatori venuti appresso. Alcune edizioni, seguendo la Crusca, leggono tant'è del seme suo miglior ecc., anzichè minor; la lezione minore,come avvertirono; i tre Fiorentini nella loro edizione del 1837, è di tutti i codici più accreditati e di tutti gli antichi chiosatori; quindi bisogna seguirla: non si potrebbe poi dire, come fu detto da alcuno, che ammettendo la lezione miglior, ne uscirebbe un senso del tutto disforme dal pensiero del Poeta infatti, se colla lezione minor la pianta risguarda il discendente, e il seme il padre; colla lezione miglior invece, la pianta si riferisce al padre, e il seme al figlio; e tale linguaggio in questo preciso senso non adoprerà Dante altrove? non dice sè stesso seme di Cacciaguida (Par., XV, 48), e non appella Cacciaguida pianta sua? (ivi, XVII, 13); dunque anche colla lezione miglior, non solo non ne verrebbe senso affatto disforme, ma anzi perfettamente identico a quello che scaturisce dalla lezione minor. Ad ogni modo stando alla lezione, qual ci venne dai Codici e dagli espositori antichi, la comparazione viene a dire: Carlo II (pianta, il generato) tanto è di bontà inferiore a Carlo I (seme, il generante), quanto Pietro III è maggior di Carlo I; ossia, v'è

[blocks in formation]

tanta differenza in bontà tra Carlo II e Carlo I, quanta ve n'era tra Carlo I marito di Beatrice e di Margherita, e Pietro III, marito di Costanza (ancor, perchè Costanza nel 1300 era ancor viva), nominando, dice il Mercuri, con istrano modo di dire le mogli per i loro mariti. Ma io credo che se il modo non è dei più spediti, alto sia stato l'intento del Poeta, e che l'intento sia questo: siccome lodò egli i due personaggi per virtù civili, volle qui rendere compiuto il quadro, lodandoli pure per virtù domestiche, e pel confronto valendosi delle loro consorti, dacchè esse, per quel senso squisito che la natura ha dato alla donna, in fatto di virtù casalinghe di gentilezza d'animo sono le giudici più competenti.

130-132. L'Alfieri nota i due primi. Il re ecc.; Enrico III, figlio di Giovanni Senzaterra; nato nel 1206, successe al padre nel 1216, e morì nel 1272. Re debole e inetto al governo, di quelli che Dante dice re da sermone (Par., VIII, 147); onde il Villani il dice semplice uomo e di buona fè. Nella poesia in morte di Blacatz Sordello invita Enrico a mangiar del cuore del forte e generoso estinto, per trarre indi vigore e ritogliere ai Francesi i dominii, di che avevano spogliato Giovanni Senzaterra. Solo; per mostrare, chiosa il Buti, ch'elli nel mondo ebbe vita singulare. Questi ecc.; ebbe per figlio e successore Edoardo I, nato del 1240, e morto nel 1307. Avendo riordinato le leggi dell' Inghilterra, fu detto il Giustiniano inglese. II Villani (Cron., VIII, 90): « Il buono e valente re Edoardo fu uno de' più valorosi signori e savio de' cristiani al suo tempo, e bene avventuroso in ogni sua impresa di là da mare contra i Saraceni, e in suo paese contra gli Scotti, e in Guascogna contra i Franceschi. > Ne rami suoi ecc.; ha migliori rampolli, discendenti migliori.

[ocr errors]

133-136. L'Alfieri nota il primo. Più basso; era soltanto marchese tra questi sovrani; perciò disuguale in seggio; di tutti sedeva più alto Rodolfo, Guglielmo degli altri tutti più basso. S'atterra; siede in terra. Guardando in suso; guardando riverente in faccia gli altri più grandi di lui; ad coelum ex devotione, chiosa Benvenuto; imperò che aveva desiderio di montare al Purgatorio, commenta il Buti; ma non si capisce perchè tale divozione e tal desiderio attribuisca il Poeta al solo Guglielmo. Guglielmo ecc.; Guglielmo VII Spadalunga Marchese del Monferrato dal 1254 al 1292, che Dante nel Conv., IV, II, chiama il buono Marchese di Monferrato, fu uno de' principi più destri del suo tempo. Ebbe per prima moglie una figlia del conte di Glocester; e in seconde nozze s'ammogliò con Beatrice figlia di Alfonso X re di Castiglia: diede poi la figlia sua Iolanda in moglie ad Andronico Paleologo imperatore di Costantinopoli. Favorì dapprima la venuta di Carlo d'Angiò in Italia, ma poi lo combattè quando l'Angioino pretese di assoggettarsi le città lombarde; e alleatosi con Genova, Asti e Pavia, snidò le guarnigioni che Carlo aveva lasciato in Piemonte. Conseguì pure il titolo di vicario imperiale in Italia, onde parecchie città si allearono contro di lui. Ad istigazione del comune di Asti nel 1290 Alessandria gli si ribellò; recatovisi per reprimere i tumultuanti, trovò acre resistenza da parte del popolo, che facendo impeto contro il Marchese lo fece prigione, e lo mise in una gabbia di ferro, dalla quale non uscì che morto nel 1292.

Fa pianger Monferrato e il Canavese.

Il suo figlio e successore Giovanni I volle prender vendetta dell' oltraggio, e dichiarò la guerra ad Alessandria; ma essa alleossi a Matteo Visconti, e fu invaso il Monferrato, perdendo il Marchese parecchie terre; onde è che per angherie degli invadenti e per le perdite fatte, il Monferrato e il Canavese dovettero piangere. Però Pietro intende che plorant eius bonitatem et virtutem, consideratis parentibus Marchionibus suis. Il Monferrato è quella regione che si stendeva dalla riva destra del Po sino all' Apennino; il Canavese, dalla sinistra del Po andava sino alle falde delle Alpi Graie e Pennine, e tutti e due insieme formavano il Marchesato di Guglielmo.

Nota le terzine 1, 4, 5, 6, 9, 12, 14, 16; 18 alla 22; 24 alla 28; 30, 31, 33 fino all' ultima.

[merged small][graphic]
[merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small]

1-6. L'Alfieri notò i primi tre, e s'ode squilla ecc. col resto. Il Cesari non sapeva dire se questa fosse descrizione o notazione dell'ora dell'Avemmaria della sera; mà ben affermava che è la più nuova e vera e dolce cosa, che nè in greco, nè in latino scrittore si ricordasse d'aver mai letto. E quando i chiosatori, non ingelati peranco dal troppo di ciò, che non sempre giustamente si chiama critica, eran capaci a quando a quando di sentire ciò che sentiva l'Autore, non passavano, direbbe Dante, a piè seco questi versi : perciò il Biagioli si ferma, e nel suo entusiasmo invita il lettore ad osservare <questa arte nuova che ha Dante d'associare alle più semplici circostanze, o di tempo o di luogo, o d' altro, ora una dottrina che t' ammaestra, ora un precetto morale che ti seduce, ora una verità che ti colpisce e t'innamora, ed ora una di quelle soavi sensazioni, le quali, se furon già mille volte da te sentite, ti rinnovano l'impressione medesima per la novità dei colori ond'è rivestita, e se, per la prima fiata le senti, t'inteneriscono il cuore come se tu fossi in atto; tanto naturale, e possente, e a tempo, è il mezzo che Dante sa ben opportunamente adoperare. No, Dante non ha chi possa andar pari con lui. > Era già l'ora ecc.; era già l'ora ultima del giorno, la quale richiama il desiderio dei naviganti alla patria, e riempie di tenerezza il lor cuore al pensiero degli amici, che quel dì stesso abbandonarono. Il cessare della luce, nota il Bianchi, il silenzio di tutto il creato fa sì che le immagini delle cose più care ritornino vivissime all' animo. » — Volge; rivolge, ripiega, perchè la ricordanza non è che un ripiegarsi dell'anima sopra sè stessa (quindi riflettere). Intenerisce, col suscitarvi più acuto il desiderio e l'affetto ai cari lasciati nella sua partenza. Lo di, in quello stesso dì, nel quale (cf. Vit. N., § 5). Altri invece intendono di soggetto, e l'ora fanno alla latina ablativo di tempo (nell'ora, nella quale); ma ben nota il Tommaseo: « Intendere che il di volga il desio e intenerisca e punga nell' ora, mi pare e meno poetico e meno appropriato a denotare l'impressione che viene all' animo delle tenebre che nascondono le cose all' occhio, come già le nascose a desiderio la lonta- Nuovo peregrin; e oggetto di punge, di cui è soggetto l'ora del v. 1; il viandante che per la prima volta uscì del paese nativo. Nella Vit. N., § 41: «Dissi fra me medesimo: questi peregrini... forse pensano delli loro amici lontani. — D'amore punge (pungere, ferire d'amore, frasi vive e frequenti), ridesta l'amore verso i lasciati amici. Squilla, la campana, che invita i fedeli alla recita dell' Ave Maria (come si pratica ne' paesi cattolici, e in alcuni, dice bene il Lombardi, un' ora dopo si suona anche il De profundis); è l'ora, dice il Manzoni, quando cade il die. - Che paia ecc.; la qual campana sembra piangere il giorno morente. Anche qui idea di pianto e di morte: tutto passa, tutto muore quaggiù; muore anche il

nanza. >

« PreviousContinue »