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PROEMIO

Il pubblicare oggi un' opera di filosofia speculativa, in cui si trattano le quistioni più ardue, più complicate e meno conformi al genio de' tempi, può parere impresa strana ed inutile. L'età nostra, vaga del positivo e delle eiance ( singolare accozzamento), abborrisce e dispregia ciò che non è palpabile o chimerico: non lo stima pur degno di attenzione e di esame; perchè il criterio corrente del vero, e la regola di ogni pensante, è il parere della moltitudine. Se non piace a questa, la verità non è voluta accettare, e nè anco sentire: non si fa grazia nè meno alla novità, che pur si pregia assaissimo, quando blandisce alle ingiuste e frivole preoccupazioni degli uomini, e ai capricci dell' usanza. La dottrina, ch' io pubblico, è nuova, quanto altra possa essere in queste malerie. Ma essa avrà al parere dei più il torto gravissimo di accordarsi perfettamente con una dottrina antica, creduta morta dai nostri savii, anzi sepolta, e indegna pur di eccitare la collera de' suoi nemici. Si dirà dunque che io voglio risuscitare un cadavero; rinnovare l'antichità; contrastare alla legge suprema del progresso: e il pregiudicio che nasce da queste imputazioni, vere o false, contro la bontà di un sistema, è al dì d'oggi non superabile. E se osassi lasciare intendere che questo cadavere è più vivo assai di coloro, che gli fanno le esequie, le mie ragioni potrebbero passar per ingiurie. Ciò non GIOBERTI, Introduzione. Vol. I.

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ostante io pubblico arditamente il mio libro, a costo di non trovare un solo lettore; sicuro, che in ogni caso avrò adempiuto il mio debito.

Lo scritto presente è il semplice preliminare di un' opera, che dovrebbe comprendere, se non tulla la filosofia, almeno le parti principali di essa. Della quale opera ho pronta quasi tutta la materia; ma non so se potrò compilarla, e ridurla in grado di essere divulgata. Non per tanto la presente scrittura potrà stare da sè; parendomi ch'ella contenga quanto si richiede ad essere compresa dai lettori esercitati negli studii speculativi. Ella si divide in due libri, l'uno dottrinale e l'altro storico. Nel primo comincio collo stabilire, che al di d'oggi in Europa non vi ha più filosofia; e siccome questa sentenza può parer singolare a chi giudica delle cose dalle parole, quando il nome di filosofia, e i suoi derivativi, corrono così frequenti sulle bocche e sulle penne degli uomini, mi fo debito di comprovarla, discorrendo per le varie cause, che partorirono la declinazione degli studii filosofici, e mostrandone presente e visibile l'effetto. Questa è la materia dei tre primi capitoli. Nè voglio però negare che fioriscano ingegni vasti e profondi, atlissimi alle speculazioni più recondite e sublimi; ma altro è la filosofia, altro sono i filosofi; e si può aver facoltà di ben ragionare, senza mettere in alto questa potenza. Un cattivo metodo, e l'uso di certi falsi principii, resi universali e autorevoli da una usanza inveterata,possono sviare i migliori ingegni. Non nego eziandio che il nostro secolo possa lodarsi nelle scienze razionali di alcuni pregcvoli lavori, onde avrò nel seguito occasione di discorrere; ma noto che questi lavori risguardano le parti accessorie, secondarie, e la dipendenza della filosofia, anzichè la sostanza di essa. Or, quando le parti vitali e le radici di questa nobile scienza siano neglette, e i suoi ordini intrinsecamente viziosi; veggasi, se si può dire con verità che la filosofia sia viva, benchè si attenda da alcuni felicemente a qualche ramo degli studii filosofici. Certo, se l'arte del guarire si riducesse a curare il palercccio o il mal

de' pondi, e la dottrina dei vegetabili a conoscere le erbe del proprio orto, niuno vorrebbe affermare che la chirurgia, la medicina, la botanica fossero arli o scienze vive. Ma anche quegli onorevoli cultori di cose filosofiche sono oggi molto rari; tanto che, se uno scritto di qualche nervo, appartenente alla melafisica, si pubblicasse in Europa, il numero dei sufficienti estimatori, atti ad intenderlo e ad apprezzarlo, si ridurrebbe a molto pochi; come accadeva alla matematica sublime nei tempi di Cartesio. Di che porge una prova il vedere, quali miserie in Francia ed altrove salgano in grido di opere ragguardevoli, e procaccino agli autori fama di filosofi; laddove alcuni altri scritti smisuralamente superiori giacciono non intesi e dimenticati, senz'altro difetto che il proprio merito, e il sovrastare di troppo grande intervallo alla debolezza degli uomini e dei tempi. Vero è che i dilettanti abbondano, quanto mancano i veri studiosi; se la copia degli uni potesse compensare la scarsità degli altri. Chiamo dilettanti coloro, che mirano al solo piacere, e sludiosi quelli, che intendono all' instruzione. I primi non leggono che per passare il tempo; negozio gravissimo e difficilissimo per una buona parte dei nostri coetanei.Nè costoro sono però da disprezzare; anzi io li tengo per una gentile e preziosa generazione, quando si contentano di leggere per divertirsi o per addormentarsi, e trattano gli studii, come un trastullo o un narcotico innocente. Ma ogni qual volta s'intramettono di sentenziare e di censurare, diventano, senza volerlo, guastatori delle scienze. Con tal gente hai un difficile partito alle mani; imperocchè non conoscendo essi il soggetto, e non avendo nè anco i termini, ti è impossibile il convincerli, il farli ricredere; e ogni disputa che pigli con loro, è uno scioperio di tempo. Or, siccome è cosa rara che dall' uffizio di ascoltare non si passi a quello di definire, taluno forse potrebbe inferirne che, se è bene alle scienze l'avér dilettanti, sarebbe forse meglio il non averne. A ogni modo, io repulo beale le matematiche, dove i dilettanti non riescono I quali sono quasi il volgo delle lettere e delle scien

ze, che commesse alla loro balía, diventano preda dell'arbi trio e della licenza, a guisa delle società civili, dove posposta la ragione dei savii, regna l'arbitrio della moltitudine(1).

Esaminate le principali cagioni, che condussero la filosofia alla nullità presente, propongo i mezzi, che mi paiono più opportuni alla sua instaurazione. La riforma della filosofia consiste a mio giudizio nei principii e nel metodo; le quali due cose sono inseparabili, giacchè il retto metodo è somministrato e determinato dalla diritta cognizione dei principii. Credesi oggi dai più che il metodo partorisca i principii; il che è un errore gravissimo. I cui fautori volendo spiegare la generazione dei principii, si tolgono ogni via di stabilire le ragioni del metodo ; laddove queste, e non quelli, vogliono essere trovate e dichiarate legittime. I principii sono obbiettivi, eterni, assoluti: non hanno origine: si legittimano da sè: si trovano e non si cercano; o per dir meglio si affacciano da sè stessi allo spirito, che li riceve, e se li rende famigliari nell' acquisto riflessivo del sapere. All'incontro il metodo è uno strumento subbiettivo e psicologico, che l' uomo dee procacciarsi, non già procedendo a caso, nè discorrendo artificiatamente ( ogni discorso artificioso presupponendo già il metodo ), ma pigliandolo dall'intuito immediato del vero, cioè dai principii. Per tal modo il processo subbiettivo si conforma alla verità obbiettiva, e il reale determina lo scibile. Bisogna però notare che anche nel dichiarare ed esplicare i principii si usa un certo metodo derivante da essi, in quanto la riflessione si fonda sopra un intuito immediato e primitivo. Il che sarà reso chiaro nel decorso del mio ragionamento (2).

I principii determinativi del metodo, e per via del metodo produttivi della scienza, consistono in alcune verità prime, dalla cognizione integra o alterata delle quali dipende la sorte della filosofia. Perciò dopo avere nel primo libro determinati questi veri, e ridotti a una formola precisa e rigorosa, quanto quelle de'matematici, io applicherò nel secondo libro essa formola alla storia della filosofia, non già

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