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Siccome la vera filosofia è essenzialmente religiosa, ogni scienza alleata dell' empietà può solo avere a comune con quella il sembiante e i vani titoli, di cui si fregia. Ciò solo basterebbe a chiarire che il vero e legittimo filosofare non si trova quasi più al mondo; e che quello, che ne usurpa il nome, è il suo maggior nemico, come ogni falsa scienza è una negazione della vera, e il più grave ostacolo che si frapponga al suo acquisto. Che v'ha di più augusto e di più venerando della morale? La quale è la santità stessa. E pur non v'ha dottrina, che possa gareggiare di bassezza e di sozzura coll'etica degli egoisti e degli Epicurei. Il principato e la libertà civile rendono sicuri, lieti, fiorenti gli stati ed i regni il dispotismo e la licenza gli mettono in fondo. Le buone lettere e le buone arti esprimono il bello nella sua perfezione; ma si può forse dar la stessa lode ai cattivi poeti ed artefici, che pongono tutto il loro studio nell'idoleggiare l'idea del laido e del deforme? Che maraviglia adunque, se la sapienza moderna è pestifera ed empia, poichè annulla la vera sapienza, ed ha con essa quella convenienza medesima che l'ipocrisia colla virtù, e l'impostura colla religione?

La religione dee esser cara a tutti i cittadini, ma principalmente ai chierici, destinati dal loro nobile ministerio alla sua custodia. Quando i filosofi stancavano la lingua e la penna a bestemmiare le cose sacre, niuno si dee stupire, se il sacerdozio commosso al sacrilego attentato, potè credere che la scienza ne fosse' complice, e si recò ad orrore, o almeno a sospetto, i nomi stessi di filosofia e di filosofo. Ma ora, che da una parte la rabbia è sedata, e dall' altra si è avuto spazio di far più mature considerazioni; ora, che tocca alla filosofia il ristorare la religione in coloro che l'hanno perduta, e agli uomini religiosi il ristorare la filosofia; ora, che l'opera dei filosofi non ha più nulla da demolire e molto da edificare; non sarebbe ragionevole, che il sacerdozio cattolico GIOBERTI, Opere. Vol. IV.

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perseverasse ad inimicare e sfavorire le scienze speculative. Egli è anzi chiamato a porgere efficacemente la mano alla loro restituzione: egli vi è invitato dal suo medesimo instituto, come dimostrerò altrove. Io indirizzo adunque in modo speciale la presente scrittura a que' miei compatriotti, che si consacrano agli studi eeclesiastici e agli uffici del santuario. La filosofia non fu mai negletta dai chierici d'Italia, eziandio ne' tempi meno propizi al suo culto; e quella peoccupazione scusabile, di cui ho testè toccato, invalse assai meno presso di noi, che in altre province d'Europa. Tali sono la moderazione, e il senno del nostro sacerdozio, ch' egli si è quasi sempre guardato da ogni eccesso; che senza segregarsi dalla parte seria e grave della società, si ha saputo cautelare dalla frivola e corrotta. Il prete italiano, (parlando generalmente,) non è un eremita, che vive solo in chiesa o nella solitudine: è un cittadino che sa partecipare con decoro alla conversazione degli uomini e alla gentilezza del secolo; che conversa per le università, per le accademie, per le biblioteche, pe' musei, per le adunanze dignitose e costumate egli è solo assente da quei luoghi, dove chi lo stima non bramerebbe di trovarlo. E tale mi penso io che debba essere la vita del prete; nè mi pare approvabile la sentenza di coloro, che lo vorrebbero sequestrato dalla società e chiuso fra le pareti del tempio. Il prete non è un monaco egli dee affratellarsi co' suoi concittadini, per quanto la decenza e la santità del suo ministero il comportano; dee esercitare negli animi coll'autorità e colla stima procacciategli dalla virtù e dal sapere quell' influenza, che giova al costume e alla religione, che è la sola legittima, la sola dignitosa, la sola convenevole agli uomini di chiesa, la sola approvata dall' opinione universale, non essendo usurpata nè ottenuta colle brighe, ma da essa opinione spontaneamente conceduta. Da questa decorosa partecipazione del nostro clero alla vita pubblica, si dee ripetere l'amore ch' egli ha sempre dimostro verso i progressi civili, e la prontezza a cooperarvi dal

canto suo, senza uscire dai termini del proprio decoro. Parlo in generale, e non guardo alle eccezioni; le quali per buona ventura non sono molte. L'Italia, (se si eccettua forse una sola provincia,) non vide e non vedrà mai, spero, i pastori delle anime dimenticare la dignità e lo spirito del sacerdozio, difendere i vecchi abusi, ostare alle ragionevoli riforme, diventar briganti, sofisti, faziosi per risuscitare le instituzioni morte, muover guerra nelle cose civili all' indole dei tempi, disdire l'omaggio ai governi stabiliti, approvare, lodare, santificare, infiammare i furori delle cittadine discordie, e mescere il loro nome a opere di ribellione e di sangue, la cui sola memoria spaventa. Accenno con dolore questi deplorabili eccessi, perchè tutta la Chiesa è patria dell'uomo cattolico, che sente come proprie le ferite di essa in qualsivoglia parte accadano del suo gran corpo; ma trovo pure qualche conforto pensando, che di tali enormezze non abbia da arrossire il clero della mia nazione.

Il sacerdozio francese fino dai primi tempi fu per virtù, per dottrina, e per ingegno uno de' più ragguardevoli d' Europa. Come tosto il Cristianesimo venne introdotto nelle Gallie, i suoi ministri vi s'illustrarono col sapere, colla facondia, colla purezza della loro fede; vi s'illustrarono colla virtù eroica nei cimenti lunghi e faticosi dell'apostolato, nei cimenti più brevi, ma più terribili, della confessione e del martirio. Se, durante il medio evo, la Francia non avesse dato alla Cristianità altri uomini famosi che san Bernardo e Gersone, e altro aiuto agli studi sacri che l'università di Parigi, dovrebbe pur essere annoverata fra le province più degne e più benemerite della Chiesa. Chi ignora le glorie del clero gallicano nel secolo diciassettesimo? Chi non ammira quella copiosa e splendida eletta d'uomini insigni, usciti dai vari gradi della gerarchia ecclesiastica, che coltivarono con frutto tutte le scienze del loro tempo, promossero del pari l'instruzione alta e

recondita che conduce innanzi il sapere, e l'instruzione elementare che lo comunica ai giovani e agl' indotti, innalzarono l'idioma francese al grado di lingua nobile e degna delle scritture, crearono una letteratura nazionale, e la recarono a tal grado di perfezione, che le generazioni seguenti tentarono in vano di pareggiarla, non che di vincerla? Imperocchè, se molti scrittori laici cooperarono efficacemente a questa impresa, egli è da notare che pensavano e sentivano e scrivevano quasi tutti sotto gl'influssi morali del sacerdozio, a cui si debbono senza alcun dubbio le prime parti nella creazione delle lettere francesi, come a' tempi più antichi, nella ordinazione del francese consorzio. Il che veramente non fu avvertito o creduto dal secolo seguente; il quale avendo ricevuto dalle mani del chiericato una letteratura bellissima e ricca, se ne valse ingratamente e scelleratamente contra coloro, che l'avevano creata, contro quella religione medesima, che l'aveva educata e nudrita. La guerra del secolo diciottesimo contro il precedente mi dà l'imagine di una insolente scolaresca ribellata e tumultuante contro il venerabile concilio de' suoi educatori e maestri. A che termine questa rivolta abbia condotte le lettere e la filosofia francese, ognun sel vede, e qualunque discorso fora meno eloquente dello spettacolo, che stà innanzi agli occhi nostri. Nel corso di queste dolorose vicende, il clero francese non dimenticò mai i suoi gloriosi principii e le sue antiche virtù serbò intatta la fede de' suoi maggiori produsse apostoli zelanti, paroci e vescovi santissimi e se l'uso invalso che gli uomini di Chiesa potessero divenir uomini di corte, diede luogo ad alcuni scandali, e oscurò, come accade, la riputazione di tutto il corpo; queste macchie furono cancellate in quel terribile rivolgimento di ogni cosa umana e divina, dal quale il sacerdozio francese uscì, come oro dalla fornace, terso da ogni ruggine, e degno dell'antico nome. Non l'abbiam noi veduto in un tempo poco lontano, quando un morbo funesto infieriva nella Francia e struggeva le misere popolazioni, mescersi

alla folla degl'infermi e dei derelitti, soccorrerli nell'anima e nel corpo con tenerezza di madre, e morire con essi? E qual più bella, più forte prova di virtù, che dar la vita pel prossimo; dar la vita per quelli, che forse abbisognano del tuo perdono, senza compenso di amore, senza speranza di gratitudine?

Ma se il clero francese è tuttavia ai di nostri un modello di ogni virtù dicevole allo stato sacerdotale, non è forse pari dal canto del sapere agli antichi esempi ed alla sua fama. Egli cominciò a scadere per questo rispetto nel secolo passato, quando si lasciò torre da' laici il patrimonio intellettuale della scienza; la quale è come una fiaccola, con cui la luce si dee comunicare agli altri, senza scemarne per sè proprio e perderne il possesso. Il clero francese serbò sempre sulla nazione il primato della virtù; ma si lasciò togliere quello della dottrina e dell' ingegno. Nella scorsa età, mentre una folla di scrittori infimi o mediocri, a cui alcuni pochi grandi facevan tenore, movevano contro la religione una guerra varia e feroce, egli non seppe opporre un sol uomo eminente all' arte e alla rabbia degli assalitori. Il Bergier, il Guénée e altri po– chi fecero quel che poterono, combatterono felicemente, e acquistarono alle benedizioni dei posteri un diritto immortale; ma soli non bastavano. E certo dal silenzio o dalla scarsa difesa del sacerdozio fu aiutata la diffusione della falsa filosofia, e l'imperio ch'essa acquistò nell'opinione; quando un sol uomo veramente forte, che si fosse trovato sulle soglie del santuario, avrebbe potuto mettere in fuga quella turba di molestissimi insetti, resi più insolenti dalla pazienza intempestiva di coloro cui assalivano. Nè la vena poetica del Voltaire, e la facondia del Rousseau sarebbero bastate a palliare la loro ignoranza, se questa stata fosse da qualche valente ingegno e pellegrino filosofo smascherata. Dappoichè la rivoluzione ebbe disertate le fortune del clero, e dispersi i suoi membri, questi penarono a ricomporsi, nè poterono in quel tra

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