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di stato, e parer formidabile. Ma io voglio sperare che non vi sia in Italia alcuno di questi principi: voglio sperare che niuno dei dominanti italiani ami il dispotismo e la tirannide: voglio sperare che ricusando di dare ai popoli instituzioni più confacenti ai progressi della civiltà e all' indole dei tempi, siano mossi, non da mal animo, ma dal temere le improntitudini degli uomini, le violenze e gli errori delle rivoluzioni. Essi hanno presenti alla memoria le scene spaventevoli della passata rivoluzion francese, e il naufragio di una monarchia potentissima: hanno dinanzi agli occhi l'esempio di quella folle setta repubblicana, che colle migliori intenzioni del mondo, mette a strage ed a fuoco le città inglesi, insanguina di tempo in tempo le vie di Parigi, e s'adopera gagliardamente a distruggere la libertà in Francia e a renderla impossibile in Europa. Io non credo che i repubblicani ci riescano; ma tengo per fermo che siano i migliori appoggi del dispotismo vivente, e che, senza l'opera loro, non vi sarebbe forse in Europa una sola provincia, che non godesse di una libertà temperata, che è la sola libertà possibile. Nè posso immaginare che quando fosse tolto via questo timore, i nostri principi sarebbero di animo così tristamente imperterrito, e così avido di una breve potenza, da non voler soddisfare al giusto desiderio dei popoli, e rendersi colpevole dinanzi a Dio ed ai posteri di quelle calamità, che siano rimote o propinque, ricadono sempre sul capo di chi avrebbe potuto antivederle e ripararvi. Ma chi governa suol cacciare il timor futuro col timor presente, e stima di far gran senno a seminare un'ampia messe di mali inevitabili e lontani, per non incorrere in mali più vicini. È egli sensato e prudente questo consiglio? Nol credo; perchè agli abusi della libertà si può facilmente rimediare finchè la radice del potere sovrano è intatta, e la sua maestà inviolata; laddove niuna forza del mondo potrà impedire che il dispotismo, se dura, adduca di que' rivolgimenti insuperabili, che troncano i nervi al principato, e rendono la libertà succedente

debole ed inferma. Così alcuni principi, per non voler farsi autori di sagge instituzioni, cui potrebbero facilmente preservar da ogni eccesso, spingono i popoli a usurpar colla forza i diritti loro negati, e per conservare una signoria assoluta, rendono ai posteri impossibile o almeno difficilissima la libertà e la monarchia. Ma qui non è mio proposito di entrare in questa materia: voglio solo inferire dalle cose dette, essere credibile che i nostri principi siano avversi alla libertà moderata, perchè temono la libertà eccessiva. Imperocchè le dottrine, che oggi corrono in politica, essendo appoggiate a principii falsi, conducono a conseguenze assurde, che dalla teorica passando nella pratica, producono le esorbitanze delle rivoluzioni; le quali sono la logica operativa dei popoli allucinati da false promesse. I nostri governi adunque non dovrebbero abborrire da una dottrina contraria, che mescendo insieme res olim dissociabiles, (noi dovremmo dir oggi,) accordi la libertà col principato, e volga a favore del secondo que' sentimenti generosi e magnanimi, che sono adoperati contro di esso. Giacchè lo spegnere questi sensi non è possibile; e il tentarlo, come alcuni principi fanno, abbiettando gli animi, prostrandoli di forze, corrompendoli, studiando a renderli vili, cupidi, effemminati, egoiști, è impresa tetra e abbominevole. Lasciarli come sono, è pericoloso, perchè sono ostili all'autorità pubblica. Fra i difensori dei re si trovano certo uomini virtuosi; tuttavia non si può negare, generalmente parlando, che gli animi più nobili, più eccelsi, più illibati, stanno dalla parte dei popoli, e procacciano, senza volerlo un' autorità grande ai motori di rivoluzioni. Che fare adunque? Non veggo altro partito possibile, che il custodire, osservare, promuovere quegli affetti santissimi; ma bene indirizzarli, ed educarli in modo, che possano essere soddisfatti sensa rischio. Or questa è l'opera della filosofia; direi della religione, se questa non fosse perita negli animi dei più, e non abbisognasse di essere instaurata non meno che il potere politico. La filosofia è oggimai il solo mezzo

ma dal

atto ad emendare, a promuovere la civiltà del secolo; e perciò è degna che i principi savi non la temano, ma piuttosto la favoriscano). Essi paventano la falsa filosofia: ci oppongano la vera; perchè le dottrine possono solo essere combattute con frutto dalle dottrine. I cannoni e gli sgherri non provano contro di esse. Nè credano che le massime atte a vincere gli errori correnti siano quelle del dispotismo; le quali messe in campo più volte per opera di uomini ingegnosi, dall' Hobbes fino al Bonald, avvalorarono l'opinione contraria, invece d'indebolirla. Il che non è da stupire; perchè le dottrine del dispotismo sono assurde e pestifere, e la disfatta dell'errore non può nascere da un altro errore, vero. Non temano anche i principi che la filosofia, adusando gl ingegni ad esser liberi, li renda indocili e licenziosi. La licenza non può nascere dalla libertà, di cui è la maggior nemica ; ma bensì da quei falsi principii, da quegli affetti perversi, che si coprono col suo mantello. Togliete a tali principii la maschera, mostrateli nella nudità loro; niuno potrà più confonderli colla libertà vera e legittima. La licenza non è libertà, ma servitù; servitù verso i sensi, servitù verso le passioni, servitù verso l'egoismo, l'orgoglio, l'ignoranza, le preoccupazioni di un falso sapere. Niuna età fu più schiava della nostra, che pur si vanta di liberi spiriti; e da quest' indole servile nasce quella mollezza e prostrazione degli animi e degl' ingegni, che è così universale. Come può consistere la libertà, se non è generosa e forte? Il fatto stà, che il mondo presente non è già diviso, come si dice, fra la libertà e la tirannide, ma fra due tirannidi contrarie e pugnanti fra loro; da un lato quella dei despoti, e dall' altro quella dei popoli. Le quali si fondano su due false dottrine dipendenti dallo

*) La favoriscano, non già col proteggerla, (perchè in tal caso correrebbono pericolo di guastarla, ma col non impedirla.

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stesso principio, e aventi uno scopo unico, cioè il predominio della forza sul diritto; poco importando, se questa consista negli eserciti o nella moltitudine. E ciascuna di esse cerca di onestarsi con massime vere; i despoti invocano il buon ordine, la stabilità, la sicurezza, il dolce riposo; i popoli, la libertà. Volete, o principi, emendare la falsa opinione dei popoli? Cominciate a dismettere la vostra riconoscete che l'inviolabilità del potere sovrano e la servitù dei sudditi, il principato civile e la monarchia assoluta, sono cose differentissime. Favoreggiate la vera scienza; la quale renderà gli uomini veramente liberi, sottraendoli al dominio delle false preoccupazioni, che li tiranneggiano, e farà loro toccar con mano che la felicità dei popoli e quella dei principi hanno bisogno l'una dell' altra. Questa sola concordia può metter fine a quel doloroso travaglio, che da tre secoli agita l'Europa. Non abbiate paura, che avvalorando gl' ingegni, dando loro la coscienza di sè medesimi, e riscattandoli dal giogo dell' errore, il sapere li renda inquieti e torbidi. Non è già il sapere, che cagiona questi luttuosi effetti il sapere, e sovrattutto la filosofia, occupando utilmente gli spiriti, accostumandoli ad usare un giudizio pacato e severo, a investigar le cagioni e gli effetti delle cose, a pensare prima di operare, a consigliarsi col passato e col presente dell' avvenire, divolgono gli animi dalle sconsigliate e violente mutazioni, antivengono gli effetti della esperienza, indirizzano al bene l'ardore dell' età fervida, e imprimono in essa una virilità precoce. Platone stimava ottimo quel governo, che fosse amministrato dai filosofi; sentenza difficilmente ripugnabile, secondo la mente di quel gran savio, che discorreva dei filosofi antichi, e non di quelli dell' età nostra.

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Se il sincero filosofare non può dar gelosia ai buoni principi, esso non dee tampoco generare alcun ragionevole sospetto nei sinceri amatori della religione. E come potrebbe dar loro materia

plausibile di timore, essendo fondato nella religione medesima, e non potendo senza di essa, non che durare e fiorire, ma sussistere per un solo istante? La conseguenza del sillogismo non può ritorcersi contro le sue premesse. Distinguasi il capriccio di filosofare dalla filosofia, e dall' abito veramente filosofico. Quello può volgersi al bene od al male, come ogni inclinazione spontanea del cuore umano; questi non possono mai portare cattivi frutti. Se non che, lo stesso talento di speculare può essere al dì d'oggi più profittevole che pericoloso alla causa della religione. Imperocchè, se nei tempi pietosi e forti sviò talvolta gl' ingegni che ne abusarono, e gl' indusse a empietà, nei tempi deboli, come i nostri, e quando le religiose credenze sono spente e debilitate nell' universale, può ricondurre gli spiriti, e talvolta gli riconduce, alla fede. L'uomo si stanca e s'infastidisce dell' errore; e compiutone l'intero corso, conosce per prova e assapora il tristo ed amaro esito a cui mena s'accorge di essersi fuorviato e desidera di tornare al vero. A tal effetto egli si volge alla filosofia, cioè all' uso della ragione; ma siccome i sistemi dianzi abbracciati con troppa fiducia si chiarirono falsi dai frutti che partorirono, egli è disposto a provare, se il sentiero opposto può scorgerlo alla meta. Per tal modo l'abuso stesso della filosofia spiana la strada alla sua emendazione, e favorisce il risorgere della vera scienza. Laonde nella stessa guisa, che Clemente d'Alessandria considerava la filosofia dei Gentili, come una preparazione al Cristianesimo; le scienze speculative possono riputarsi al dì d'oggi, come la restituzione di esso. La falsa filosofia dopo un lungo circuito di errori, cacciò l'idea di Dio dallo scibile umano, e divenne intrinsecamente e sostanzialmente atea, ancorchè i suoi cultori a buona fede parlino di Dio a ogni pagina. La filosofia vera ha per iscopo di ritrovare il Dio scientifico, di riappacificare, mediante il sapere, gli spiriti colla religione, e può essere definita l'instaurazione dell' idea divina nella scienza.

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