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ma bensì che dee farlo in modo conforme alla propria natura. Al quale effetto bisogna, che ogni aggiunta che vi si fa, ogni nuova forma che vi s'imprime, nasca dal didentro e non dal difuori, sia un' esplicazione interiore, anzichè un' accessione estrinseca, e rampolli spontaneamente dalla sua essenza. Se una voce o frase nuova è veramente necessaria, sarebbe pedanteria l'escluderla : si può pigliar donde occorre ; purchè sia tale, che per la sua indole e per la consuetudine delle orecchie degli uomini, possa incorporarsi coll' antico idioma, come le particelle nutritive, che s'immedesimano col corpo umano, e diventano la sua propria sostanza. Dicasi altrettanto delle varie e nuove forme di stile, di cui la favella è capace. Ogni lingua contiene potenzialmente una infinità di maniere, che si vanno successivamente esplicando, per opera del popolo e degli scrittori. Il trovare nelle viscere dell' idioma corrente una forma novella, stata finora nascosta a tutti i parlanti e scriventi, e produrla e metterla in atto, è privilegio de' sommi scrittori ; l'eccellenza dei quali consiste nell' attuare successivamente le potenze di una lingua. Se all' incontro chi detta vuole imprimere nella favella una forma, che virtualmente non vi si contiene, invece di riuscir ottimo, diventa pessimo; e quando al suo tentativo prevalga il buon giudizio dei dotti e del pubblico, egli è ben tosto sprezzato, come accadde ai secentisti e ai gallizzanti del secolo scorso: dove che accadendo il contrario, e l' innovazione passando in uso, l'idioma perisce. Insomma la lingua è un tutto organico, che non può ampliarsi e abbellirsi, se non per un moto interiore e conforme alle proprie leggi: non può giovarsi delle aggiunte, se non in quanto consuonano al suo genio e fanno con esso tutto un corpo. Queste considerazioni, come ognun vede, sono generali; nè possono adattarsi ai particolari, onde dar sentenza sul merito degli scrittori, e sulla qualità delle innovazioni, se non per un giudizio pratico, che presuppone in chi lo porta molta perizia della loquela, intorno a cui si discorre. I quali sono

oggi pochissimi; e la condizione d'Italia non è gran fatto disforme per questo rispetto da quella di parecchie altre province d'Europa. Paolo Luigi Courier, ottimo giudice, stima che fra' suoi coetanei non si trovassero cinque o sei autori, che possedessero il francese 1). Il Leopardi, che non è secondo nel suo genere a nessuno dei nostri prosatori più eminenti, non credeva che ce ne fossero più di due o tre a' suoi tempi, che sapessero bene scrivere l'italiano2). Onde si vede, che opinione si debba avere di quegli amatori generosi della lingua nostra, che vogliono arricchirla, facendone un guazzabuglio di tutte le loquele di Europa, nel quale la minor parte dovrebbe esser quella del parlare d'Italia. Costoro affermano il nostro sermone esser povero, senza conoscere un millesimo delle sue dovizie ; e nell' antiporre i cenci stranieri ai propri tesori, somigliano quei selvaggi, che per alcuni granelli di vetro o altre bazzecole, davano a disertare il loro paese ricco di oro e di gemme, onde ignoravano il pregio, alla cupidigia dei trafficanti forestieri.

Se io predico la necessità dello scrivere italianamente, e me ne sono sforzato, secondo il mio potere, sono però lungi dal credere d'averlo conseguito. Coloro fra' miei compatriotti, che posseggono quest' arte difficile, troveranno per avventura molto da riprendere nello stile del mio libro. Quanto alla purità dei vocaboli, che è un negozio di memoria, non credo di aver molto da temere le critiche ragionevoli; giacchè non mi sono mai dilungato dai ricevuti e legittimi, (protestando di non appartenere al novero di que' filosofi, che ridono del vocabolario,) se non qualche volta, costretto dalla precisione e perspicuità, più importanti della purezza. E anche in questo caso la maggior parte delle voci non re

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gistrate che adopero, si trovano in antichi scrittori, specialmente del secolo sedicesimo e del seguente, le cui dovizie sono ancora in gran parte sconosciute. Ora l'innovazione dei modi, quando è necessaria, conforme all' indole della lingua, o protetta dall' autorità degli antichi, io la tengo per lecita, anzi lodevole. Ma quanto allo stile, ogni novità, che non si connaturi al genio della favella, è al tutto illecita, e la necessità non può scusarla, perchè non ha luogo a suo riguardo. Niente è più malagevole, che dare all' elocuzione, oltre le qualità suddette, la naturalezza, la disinvoltura, la varietà, il nerbo, l'eleganza, l'armonia, il colore nativo, e le altre virtù, da cui dipende la perfezione del dire. Alla quale non potendo io aspirare senza temerità avrei tuttavia sperato di poter esserne meno lontano, se la fortuna non avesse turbato l'indirizzo e rotto l'ordine de' miei studi. Imperocchè diviso dall' Italia e dagl' Italiani; costretto a parlare, dettare, insegnar del continuo in una lingua, che fra le forestiere è forse la più nociva al genio della nostra ; privo quasi di libri scritti nell'idioma patrio, e di tempo per tenere colla lettura vive e fresche nella mente le forme native. del nostro sermone; io mi trovo aver perduto in parte il capitale acquistato, e mi veggo lungi da quel segno, a cui sarei forse potuto giungere. Arrogi la difficoltà della materia astrusissima, dove gli ornati essendo quasi al tutto interdetti, è opera più malagevole il saper sostenere e variare lo stile, senza danno della semplicità e della precisione; oltre le specialità dello scrivere didascalico forse meno facile del genere oratorio e descrittivo. Io indirizzo queste scuse a quei pochi, ai quali è degno parlar di lingua, perchè l'apprezzano e se ne intendono; a quelli, che non confondono, come si fa dai più, i difetti coi pregi, e le colpe coll' innocenza. Imperocchè molti cercando nei libri italiani il secco, e il rotto, e lo scolorito, e i singhiozzi, e lo sdrucciolare, e le altre doti della lingua francese, appuntano gli scrittori di quello, onde questi dovrebbero essere lodati o almeno scusati. A siffatti critici e a tutti coloro, che

non sanno e non si curano di apprendere la lingua nostra, che amano il parlare e lo scrivere poliglotto, che vorrebbero rinnovare in Italia il portento di Babele, non si ha da chiedere perdono di barbarismi nè di solecismi. Avrei piuttosto da scusarmi o giustificarmi, perchè non iscrivo affatto come loro.

Io mi stendo forse troppo intorno a queste considerazioni, perchè le credo opportune principalmente a una classe di lettori, che desidero di avere; cioè ai giovani miei compatriotti; voglio dire a quelli, che hanno candore e modestia, abborriscono dalla frivolezza e corruttela del secolo, si sentono nati a cose grandi, e disposti a collocare negli studi austeri quell' ingegno e quella sovrabbondanza di forze e di vita, che gli antichi potevano spendere nelle imprese oggi vietate della libertà patria e della gloria cittadina. La gioventù ha naturalmente l'animo aperto al buono ed al vero non è impedita dalle preoccupazioni: non è vincolata dal freddo e turpe egoismo: può dare ai sentimenti, agli studi ed al vivere quell' indirizzo che vuole, trovandosi immune dalle inveterate abitudini, e promettendosi ragionevolmente un lungo avvenire. I rivolgimenti sociali, così in bene come in male, accompagnano il variare delle generazioni; essendo impossibile che la moltitudine dei pensanti e degli operanti cangi natura in sul mezzo, o in sul declinare degli anni. Se lo stato morale della società non variasse col succedersi di quelle, la specie umana sarebbe immota, è la perfettibilità, che la privilegia e distingue dai bruti, dovrebbe riporsi fra le chimere. Ora nulla è più certo di questa nobile prerogativa; dal che s'inferisce che la generazione dei giovani si disforma sempre più o meno negli affetti e nei pensamenti da quella de' suoi padri. Quindi ne nascono le vicissitudini morali e civili delle nazioni. La quale disformità in ciò consiste, che ogni nuova generazione tira nuove conseguenze dalle dottrine professate dianzi; perchè il genere umano è logico, ma non si affretta nelle

sue deduzioni. Se ci rappresentiamo l'esplicazione di una dottrina, come una lunga serie di sillogismi insieme connessi, quasi anella di una catena, ogni età ci può rendere imagine di uno o pochi di questi sillogismi: formati i quali, ella si arresta; lasciando la cura di dedurre gli altri alle generazioni succedenti, finchè siasi giunto all' ultima conseguenza. Quindi è che la logica dell' individuo è sempre imperfetta il lavoro dialettico si compie soltanto nella specie ed è duraturo al pari di essa. Perciò i progressi del genere umano si riducono alla successiva esplicazione delle conseguenze contenute potenzialmente nei principii, onde prese le mosse; come uno svolgersi graduato di semi racchiusi in un germe primitivo. Dalle dottrine provengono le mutazioni sociali di ogni sorte; giacchè l'azione umana deriva sempre dal pensiero, e il mutarsi delle operazioni esterne e libere degli uomini ha la sua radice ne' cambiamenti correlativi, che di mano in mano succedono negli spiriti. Tanto che ogni vicenda sociale è l'effetto, e come dir l'uso pratico, di un nuovo sillogismo, e la storia tutta quanta ci si rappresenta, come l'attuazione universale della dialettica. Da questa nozione della perfettibilità umana risulta, che se il lavoro deduttivo fosse rigorosamente eseguito in tutta la serie delle generazioni succedentisi, il migliorarsi della società e degl' individui sarebbe continuo, senza soggiacere ad alcun traviamento. Ora il contrario ha luogo ; e non dispiaccia a certi fautori del progresso, se la cosa mi par sì manifesta da tornar inutile il provarla. Dirò bensì che il regresso succede ogni qual volta la generazione nuova, che riceve dalla precedente la notizia dei principii e del lavoro già operato, la altera in quel modo e per quelle cagioni, che dichiarerò altrove. L'alterazione dei principii corrompe di necessità tutte le loro dipendenze; onde l'età che ha la sventura d'introdurre questa gran mutazione nella dialettica sociale, in vece di prolungar la catena, la rompe invece di trarre innanzi l'opera deduttiva, la ricomincia; ma la ricomincia con falsi principii, le cui conseguenze successive

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