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esaltano, lo antepongono alla turba degli autori volgari. Paolo Luigi Courier acquistò nome di primo scrittore francese del socolo, per alcune operette, nelle quali esprime le opinioni del suo tempo, che non sono tutte ugualmente lodevoli, senza quasi altro pregio che la forma. Ma questa è bastata a renderlo famoso; e con ragione; perchè il suo artificio, come scrittore, è veramente de' più rari, e non ha da far nulla colla facondia declamatrice, che oggi ottiene l'onor del campo. Se il Courier fosse nato in Italia è avesse scritto in italiano, sarebbe stato schernito e chiamato parolaio (11). Dunque noi soli Italiani non sapremo apprezzare la bontà, quando è rara? E ci guarderemo dall' imitare i Francesi solo in quello che hanno di buono, qual è la stima dei valorosi, che onorano la patria?

La prima dote dello stile è la chiarezza. Io mi sono studiato di esser chiaro al possibile, e spero che niuno si dorrà ch'io abbia mancato a questo debito, per ciò che spetta all' elocuzione; l'oscurità propria delle materie non essendo in mio arbitrio il cessarla o il diminuirla. Oltre che, non iscrivendo io un' opera elementare, ma esponendo un nuovo sistema di filosofia, suppongo che il lettore conosca lo stato, in cui è presentemente la scienza, e le vicende anteriori di essa. Nè credo che alcuno vorrà oppormi la concisione, come difetto di perspicuità; giacchè uno scritto, per essere conciso, riesce solo oscuro a coloro, che lo scorrono, non a quelli che lo leggono accuratamente. Stimo anzi che per costoro la concisione, purchè non sia disgiunta dalla precisione, conferisca alla chiarezza, e che all'incontro la prolissità verbosa offuschi i concetti (12). Ho dovuto ristringermi, non già per far la satira di questo secolo ciarliero, e degli Aterii, dei Tracali, che fanno bello il mondo, ma sia per evitar lunghezza, atteso la copia delle materie, sia per gustare ai lettori di polso, se le mia buona

sorte me ne procaccerà alcuno1). Non ho però evitato di ripetermi, ogni qual volta mi parve assolutamente necessario alla chiarezza, o trattandosi di alcune considerazioni, che mi sembrano importantissime, e da poter essere replicate, non senza frutto.

La semplicità è la seconda dote, che dee proporsì chi scrive; senza la quale è anco difficile il conseguire la prima; giacchè la ricercatezza falsifica ed annebbia i concetti. Ella varia, secondo i diversi generi di stile, e può essere maggiore o minore, proporzionatamente al tema, che si ha per le mani. Nelle composizioni didascaliche, com'è in gran parte l'opera presente, vuol esser somma lo stile loro dee scorrer piano, facile, naturale, e sfuggire ogni ornamento disdicevole al tenore ordinario del conversare. Io mi sono adoperato di essere semplicissimo, e ho studiato nella proprietà dei vocaboli; nella quale consiste gran parte di quella eleganza, che è conceduta, anzi prescritta, allo stile insegnativo. Non ho uccellato ai fiori e agli artifizi rettorici, che piacciono oggidì, non perchè io non abbia potuto, ma perchè non ho voluto. Posso

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4) Gli scrittori utili alla repubblica delle lettere si riducono a due sorti. << Una è di coloro che vogliono giovare alla gioventù; ed a costoro è neces<< sario esplicar le cose da' primi termini, esporre spianatamente le altrui « opinioni, e rapportarne tutte le ragioni appuntino, o per fondarsi in quelle << o per confutarle; indi addurre alcuna cosa del loro in mezzo, e farne vedere << tutte le conseguenze, e raccorne sino agli ultimi corollari. E questi sono i << voluminosi ; e in rapportarli è lecito anzi debito trasandare moltissime cose, << cioè dire tutto l'altrui. Altri sono che non vogliono gravare l'ordine de' dotti << di più fatica; nè obbligarli che per leggere alcune poche lor cose, abbiano « a rileggere le moltissime che hanno già lette in altrui, e costoro mandan << fuori alcuni piccioli libricciuoli, ma tutti pieni di cose proprie. Io sonmi << studiato essere in questa seconda schiera; se l'abbia conseguito, il giudizio «è de' dotti.» Op. lat. Mediol. 1835, tom. I, p. 102.

dirlo, senza temerità, nè arroganza; giacchè ciò che oggi chiamasi eleganza, ed anche eloquenza, è un magisterio, di cui ciascuno è capace, ed è spesso men facile il cansarlo, che il metterlo in opera. Metafore mal prese, iperboli sperticate, imagini triviali, arguzie, epigrammi, romori, gonfiezze, stiracchiature, sdolcinature, capriole, salti, capitomboli, niuna proprietà nelle voci, niuna sobrietà negli ornamenti, niuna aggiustatezza nelle figure, stile poetico in prosa e prosaico ne' versi, cioè prosa rimata o furibonda, sono i pregi, che rendono caro chi scrive, e lodato dai più. Lo scriver semplice, oltre all' esser disprezzato per sè stesso, fa parere le cose, che si esprimono, comuni e volgari, ancorchè siano pellegrine e nobilissime: tanto che si può dire che lo scriver bene al dì d'oggi in Italia nuoce assaissimo alla fama. Chi vuole rimanere oscuro, usi uno stile semplice e puro, rimoto da ogni affettazione: adoperi quell' arte pellegrina, che non si scuopre; e per quanto siano del resto pregevoli le sue opere, potrà averle per morte prima che nascano. Quanti sono, verbigrazia, gl' Italiani, che conoscano, e fra' pochi conoscitori, che apprezzino, le Lettere di Pamfilo a Polifilo? Le quali, per la dottrina, sono forse l'opera più giudiziosa e profonda che siasi divulgata, onde vendicare alla Toscana il giusto possesso, e le origini della nostra lingua : per la forma, risplendono fra le prose italiane più perfette di questa età. Trovi in esse una semplicità tale, che non si può immaginar la maggiore; un sapor tutto greco; una facilità inimitabile puoi applicarvi ciò che Cicerone diceva dei Comentarii di Cesare : « Nudi sunt, recti et venusti, omni ornatu orationis, <«< tanquam veste detracto. Sed dum voluit alios habere parata, <«< unde sumerent.......... ineptis gratum fortasse fecit, qui volunt illa <«< calamistris inurere; sanos quidem homines a scribendo de«< terruit1). » Onde non è meraviglia, se il disadorno e sempli

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1) Brut. 75.

cissimo Cesare fosse chiamato da Tacito summus auctorum1). Ma s' egli è credibile che pochi ai tempi di Tacito concorressero in questa sentenza, io non so se oggi in Italia si trovino dieci letterati, che siano in grado di misurar l'altezza del Biamonfi o del Leopardi, maravigliosi scrittori, che in un secolo scorrettissimo e leziosissimo, seppero porgere, scrivendo, una imagine della forte e schietta antichità. L'uso odierno di poetare e scagliare filosofando, non pur nei concetti, ma eziandio nella dicitura, è venuto a noi di Francia, dove fu recato dalla Germania. Non voglio definire, se cotal foggia di stile sia buona o rea nelle lingue teutoniche, il cui genio, tenendo più dell' orientale, può forse accomodarsi di tali modi, frequenti negl' idiomi di Oriente, ed ivi comuni a ogni genere di dettato. Ma certo essa è affatto contraria all' indole delle lingue nate dal latino, e specialmente della nostra, dove il proseggiare in tal modo, sovrattutto nelle materie scientifiche, e filosofiche, è ridicolo e insopportabile a chi non ha affatto perduto il giudizio. Parti essenziali dello stile scientifico sono la semplicità, la chiarezza, la precisione. Quei cencetti vaghi, aerei, intangibili, inetti ad essere contornati, scolpiti, espressi con distinzione e chiarezza, e non possibili a rendersi con una formola schietta e precisa, sono cosa poetica, non suppellettile dottrinale, e debbonsi cessar dalla scienza. L'idea filosofica vuol essere delineata schiettamente, vuol essere incarnata, posta in rilievo, e mostrata di faccia; non accennata solo come gli abbozzi, nè messa in iscorcio e sfumante, come i profili ei lontani delle pitture. L' Alighieri nelle sue opere dottrinali, il Cavalca, il Passavanti, il Machiavelli, il Gelli, il Caro, il Casa, il Castiglione, lo Speroni, il Vettori, Bernardo Segni, Marcello Adriano, Torquato Tasso, Giambatista Doni, il Galilei,

') De mor. Germ. 28.

il Bartoli, il Pallavicino, il Redi, lo Spallanzani, il Gravina, Francesco Maria Zanotti, Gasparo Gozzi, e altri, che sarebbe troppo lungo l'annoverare, ci lasciarono buoni modelli, talvolta stupendi, di stile insegnativo e scientifico, applicabilissimo alle cose di filosofia: nel quale non trovi un' ombra delle moderne eleganze; trovi bensì quasi sempre una mirabile proprietà, e talvolta il grazioso atticismo, la nobile urbanità degli antichi, e un sentore di quella divina fragranza, che si respira negli scritti di Tullio e di Platone. E con questa patria ricchezza di sommi esemplari, tu ricorrerai ai Tedeschi e ai Francesi, per aver modelli di elocuzione filosofica, quasichè la nostra lingua, facondissima in ogni genere, sia muta o balbettante per le sole verità razionali? E dirai, come usano alcuni, ch' essa non si piega alle dottrine scientifiche, non è capace di quella facondia, che stà bene alle volte eziandio nelle filosofiche e civili composizioni? Che non ha i vocaboli e le frasi opportune? Che non ammette la precisione e la limpidezza? Che rifiuta la semplicità dell' andamento analitico, quando occorre, perchè sa innalzarsi, se vuole, al processo artificioso della sintesi? Che infine un idioma così potente e moltiforme non è suscettivo di quei pregi, che si ammirano nel francese; e che è degno di essere scacciato dalle accademie e dalle scuole, come innanzi all' Alfieri molti volevano sbandirlo dalle tragiche scene?

La terza dote richiesta in qualsivoglia genere di scrittura è la purità, che consiste non tanto nelle voci e nelle frasi, quanto nel loro collegamento, nel giro delle clausole, nel colore totale dell' elocuzione, e rende tutte queste parti conformi al genio nazionale e proprio della lingua. Ogni idioma ha la sua indole particolare, cui non può dismettere, senza corrompersi, senza lasciar di essere quello che è, e diventare un altro. Non ne segue però che sia immobile e incapace di ampliarsi e di perfezionarsi ; GIOBERTI, Opere. Vol. IV.

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