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che le preservino intatto il nobile patrimonio della lingua. Quanto non si è gridato, alcuni anni sono, contro Antonio Cesari? Tuttavia, malgrado i clamori levati contro quest'uomo, io lo reputo per uno de' più benemeriti Italiani, che siano vissuti alla nostra età. Egli rimise in onore lo studio dei trecentisti : cavò dalla polvere e ci diede corrette alcune preziose scritture: ci diede nell' Imitazione e nel Terenzio le due più belle versioni di prosa italiana, onde possiamo vantarci dopo quelle del Cavalca, del Caro, del Firenzuola, del Segni, dell' Adriani, del Davanzati arricchi quel Vocabolario, che con tutti i suoi difetti sarà pur sempre la base di ogni buon lavoro in questo genere: combattè colle armi del buon giudizio i corruttori della lingua tanto più biasimevoli, quanto più sogliono coprirsi col mantello della filosofia, e renderla agli occhi dei semplici complice della loro barbarie. Che il Cesari abbia esagerato alcune opinioni; che, come scrittore originale, manchi spesso di scioltezza, di brio, di quella vita, che viene dai pensieri e dagli affetti; che sia talvolta affettato; niuno sarà che il neghi. Ma che giustizia è questa di tener conto solamente dei difetti, di non guardare allo scopo principale di un autore, e all'effetto durevole de' suoi lavori? La gloria del Cesari è di essere stato in un secolo depravatissimo il restitutore della lingua italiana, ritirandone lo studio verso i suoi principii, cioè agli scrittori del trecento, e di avere spesa la vita a far quello, che il Gozzi, il Parini, l'Alfieri avevano desiderato, e fu poscia dal Botta, dal Giordani, dal Leopardi e da altri felicemente proseguito. Ancorchè fra gli scritti del Cesari non ve ne fosse un solo degno di passare ai posteri, non pertanto poche vite furono così bene spese come quella di quest' uomo, à cui da trenť anni in qua non v' ha forse un Italiano, che scriva mezzanamente bene, il quale non debba tenersi in qualche modo obbligato, e riconoscere che senza le fatiche di lui, e l'indirizzo provenutone agli studi, egli forse scriverebbe da barbaro,

E

Si dirà ch' io non m'intendo d'idee, che rinnovo dottrine rancide, che sono incapace di conoscere e di apprezzare i progressi del secolo. Se io abbia qualche idea o no, potrà giudicarlo chi avrà la pazienza di leggere i miei scritti. Questi amatori d'idee non considerano che i concetti falsi o volgari volgarmente espressi, secondo la consuetudine moderna, non hanno nessun valore; ma che i concetti veri, benchè volgari, (e tanto più se nuovi e reconditi,) quando siano vestiti di una forma elegante e pellegrina, hanno sempre molto pregio; perchè la verità li rende utili, e la facondia efficaci. In ciò consiste il solo merito odierno di molti libri antichi; la cui dottrina è divenuta cosi famigliare e domestica a ciascuno, che non ci s'impara più nulla; tuttavia li leggiamo con piacere e profitto per la bellezza della forma, che dà a quelle scritture vetuste una freschezza di gioventù perpetua. E quelle verità notissime così bene espresse fanno una impressione più viva, entrano meglio nell'animo, fruttano da vantaggio a chi legge. Chi crede le parole non essere che parole, erra di gran lunga. L'idea non ha accesso alla riflessione, se non in quanto è vestita di una forma; e la sua evidenza, precisione, adequatezza ed efficacia dipende dalla perfezione del suo abbigliamento. Fra le innumerabili maniere, con cui un concetto può essere significato, ve ne ha una o poche, che sole hanno virtù di esprimerlo acconciamente, e in modo atto a produrre sullo spirito e sull'animo altrui quell' effetto che, si desidera. Ogni lingua contiene in potenza queste tali forme, come ogni forma possibile; ma il saper eleggere le più perfette e metterle in atto è privilegio degli scrittori grandi; i quali senza mutar la natura della lingua, ma esplicando le sue virtù recondite, la perfezionano e l'arricchiscono. Ora ogni qual volta alla verità dei concetti si arroge la bellezza dell' espressione; questa non si può già avere per cosa non appartenente ai pensieri espressi, giacchè richiedendosi a estrinsecarli in modo adequato,

e a dar loro la luce e i contorni opportuni, s'immedesima colla loro natura. Quindi è che quando s'incontra questa rara felicità di espressione, il concetto s'imprime nella mente di chi legge come da sè e senza fatica; e con esso la forma che lo veste; e la forma e il concetto s'incorporano talmente insieme nella memoria degli uomini, che l'una non si può infine più separare dall'altro. Tanto è vero che la parola, quando è perfetta, fa parte integrale e indivisa dell'idea! Ma oggi non si fa caso della elocuzione, che ritrae i concetti pienamente e fedelmente, senza annebbiarli, nè alterarli; come quella, che in virtù della sua stessa perfezione entra inosservata, fermando l'attenzione del lettore o dell'udiente sulle cose stesse, che si esprimono. Quasi che, se lo stile non fosse eccellente, si potesse aver delle cose perfetta notizia. Ma all' incontro, se la dicitura è strana, oscura, intralciata, leziosa, il lettore è costretto suo malgrado a porvi mente; come uno, che volesse penetrare in una casa, e fosse astretto di fermarsi in sulla porta per difficoltà di aprirla. Se costui è dolce di sale, ammirerà per avventura le forme massicce di essa porta, i suoi intagli, e gli altri ornamenti; senza avvertire che tali pregi sono accessori alla natura dell'uscio, che per esser buono dee sovrattutto essere scorrevole sugli arpioni, e porgere un adito facile a chi ha da entrare nell' edifizio. Nello stesso modo i lettori milensi fanno le meraviglie de' libri difficili per difetto di chi scrive, e disprezzano le dottrine rese agevoli dalla maestria degli espositori. Potrei citare esempi di libri italiani e moderni, contenenti poco o nulla di squisito, che procacciarono a chi li dettò fama di gran pensatore, solo perchè scritti con oscurità affettata e barbaramente. Il neologismo può talvolta coprire concetti nuovi e grandi, come nel Kant e nel Vico, ma per lo più è solo un lusso barbarico, con cui lo scrittore orpella la povertà e la trivialità de' suoi pensamenti.

Molti dolgonsi che agli scrittori italiani manchi la copia dei

concetti e la squisitezza della dottrina. Ogni qual volta io sento fare questa querela da uomini dotti e giudiziosi, mi guardo dal contraddirla; perchè essa è in parte fondata. L'Italia certo si rammarica che taluno de' suoi scrittori più squisiti e più eloquenti non abbia applicato l'animo a qualche lavoro, che per la grandezza e l'importanza della materia sia degno del suo valore e della sua fama. Si rammarica, e non poco, che in alcuni lo studio del ben dire prevalga a quello del ben pensare; che in altri la purezza e l'eleganza traligni in affettazione, e le leggi immutabili del buon gusto siano confuse colle pretensioni dei pedanti. Si rammarica che siano così scarsi i poeti forti e pensanti altamente, in cui l'estro ideale non si scompagni dal magisterio de' versi; che il Manzoni sia più ammirato che imitato nelle parti che lo rendono sommo; che si sappia poco grado a Silvio Pellico di avere aggiunto dolcezza alla nostra lira e santificato il coturno italiano; che il nobile esempio dato da Giovanni Berchet di far la poesia lirica banditrice di civil sapienza, educatrice del popolo a carità patria, e fierezza e dignità nazionale, abbia così pochi seguaci. Ma quando odo far queste lagnanze da chi non vede nulla di bello e di buono fuori di ciò che si scrive in Francia; da chi fra le cose francesi preferisce quello che v' ha di più cattivo, di più frivolo, di più falso; da chi ammira quelle folli teoriche di un nuovo Cristianesimo, di una nuova letteratura, di una nuova lingua, di una democrazia schietta, di una mutazione assoluta degli ordini sociali; da chi si diletta di leggere quel torrente di ciance inesausto, che si spaccia in su' giornali e nella maggior parte de' libri parigini, e chiama idee quelle insulse generalità, quelle sentenze senza sugo, quelle astrattezze senza sostanza, quelle declamazioni ampollose e sonore, quelle parodie de' libri sacri, a cui si dà nome di filosofia, di prosa poetica, di eloquenza; da chi infine, quando vuole, o dirò meglio, crede di scrivere in italiano, (giacchè il dettare in francese è al parer di costoro più conveniente e fa prova

di gentilezza,) usa il nostro dolcissimo idioma in guisa da sbigottire le orecchie degli stessi Goti, e far parere la lingua degli Öttentotti una soavità e una benedizione; io mi sento inclinato a preferire la nostra povertà, ancorchè grande, alla opulenza oltramontana. Preferisco di gran lunga poche pagine italiane, in cui un saputo scrittore circoscriva nitidamente un fatto, quanto che sia minuto, o esponga alcune verità utili dedotte dal comun senso con semplicità ed eleganza, a molti volumi di quelle sterili dicerie, dove la verbosa trivialità dei concetti è resa insopportabile dai lezi é dalla ostentazione. La notizia dei fatti anco meno importanti ha sempre qualche pregio, e le verità più comuni nol sono mai tanto, che non importi il ripeterle spesso, nè si debba saper grado a chi facendolo acconciamente le rende più persuasive. Solo gli errori e le generalità vuote sono sprezzabili, perchè inutili e dannose; e chiamo generalità vuote quelle, che si fondano in aria, che sono opera dello spirito, della fantasia, di un'induzione imperfetta, che non son precedute e legittimate dallo studio delle realtà corrispondenti, sia che queste appartengano al giro delle cose sensibili, o agli ordini superiori della ragione. E tal è quasi tutta la suppellettile odierna di molti libri francesi, specialmente filosofici; dei quali non puoi nemmeno dire se insegnino il vero od il falso, perchè da quei loro generali vaghi, insignificanti, pieghevoli ai contrarii, non si può cavare alcun costrutto. Ma i nostri sapienti lettori, quando hanno digerita una fagiolata di questa sorta, strabiliano ed esclamano : oh questo si che è filosofo! Quasi che si possa dir tale chi astratteggia, senza notizia compe tente dei concreti, come algebrista chi ignorasse le figure ed i numeri. Io trovo che i valenti Francesi sono del mio sentimento, e si ridono di nove decimi della loro moderna letteratura. E quando sorge fra essi un raro scrittore, che senza compor libri di vasta mole e di recondita erudizione, si faccia elegante interprete di ve rità utili, e ritiri le lettere verso la purità antica, lo lodano, lo

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