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Nota 33.

Il secol nostro tolse in prestanza dal precedente l'abuso dei generali, che è oggimai divenuto così fastidioso e comune. Il che può parer singolare; giacchè il sensismo dominava nel secolo diciottesimo; e il sensismo versando nei sensibili, cioè nei fatti, dovrebbe curarsi dei particolari. Ma lo studio dei particolari è lungo, laborioso, difficile; richiede sagacità d'ingegno, pazienza d'animo, profondità e costanza grande di studi. La via delle generalità è più corta e piana, e quindi più conforme al genio speditivo, e poco fatichevole dei sensisti. Nè i generali, di cui costoro si compiacciono, sono quelli, che vengono indotti accuratamente dai particolari, o dedotti dai concetti ideali; poichè ne’due casi i neghittosi avrebbero più perdita che guadagno. Le generalità ideali sono la realtà stessa, perchè nell' Idea l'universale s'individualizza e l'astratto si concretizza; o per dir meglio l'Idea non è astratta nè concreta, non è generale nè particolare, ma superiore a tutti questi ordini; è insomma tutto insieme genere ed individuo verso sè stessa. I sensisti non vanno a caccia di questi universali, che riseggono troppo in alto: imperocchè l' erta è ripida e malagevole, ed essi non amano di salire, ma antipongono le pianure. Usano però talvolta di trastullarsi col dar sembiante d'idee a certi fatti conosciuti imperfettamente, recando nell' esposizione di essi una certa mostra di metodo razionale, che in effetto rovina unitamente lo studio dei fatti e delle idee. Questo vezzo di sensualizzare le idee, sotto colore d' idealizzare i sensibili, è assai frequente oggidì, perchè il sensismo dura tuttavia, sotto le forme del razionalismo. Ma del vero razionalismo si ha solo un' ombra vanissima, con cui si cerca di coprire la dottrina contraria, per renderne l'aspetto meno spiacevole; il che dee bastare a

coloro, che si dilettano di mascherate. E con questo modo di procedere, non solo si rovinano le idee, ma si nuoce allo stesso ordine dei sensibili; tantochè il sensismo riesce a negare il senso, come ogni errore distrugge il suo proprio soggetto. E che rimane dopo questa doppia ruina? Nulla; e tal è in vero, salvo poche eccezioni, il patrimonio della filosofia presente.

Nota 34.

Non vorrei da questo mio discorso s'inferisse che io ripudii tutta la letteratura francese del secolo passato, e non riconosca quanto vi si trova di sodo, di grande, di commendabile alla posterità. Senza discorrere del Montesquieu e del Buffon, autori di opere non periture, che sarebbero forse men famose, ma più perfette, se quei volorosi avessero men condisceso al genio de' tempi; ovvero delle moltiplici scoperte e dei lavori pregevoli, talvolta ammirabili, fatti nelle scienze civili, matematiche e fisiche; v' ha una classe di autori, poco nota al dì d'oggi, ma degnissima di essere, che al parer mio, onora non poco la Francia di quel secolo. Voglio parlare dei filologi e degli eruditi accurati, gravi e profondi, che fiorirono allora in gran copia, e assai più che all' età presente. Le Memorie dell' Accademia delle Inscrizioni rappresentano la buona erudizione francese del secolo diciottesimo come l'Enciclopedia, (se si eccettuano alcune poche parti,) rende imagine della frivola e superficiale. Quelle si possono considerare, come la continuazione e il perfezionamento degli studi classici, incominciati nel secolo anteriore, sotto l'indirizzo delle credenze religiose questa è un' apostasia dalle medesime, un proseguimento del folle tentativo fatto all' età precedente da Pietro Bayle nella storia, come dal Descartes nella filosofia, e l'introduzione di quella lieve e falsa scienza, che dura ancora ai di nostri. Laonde non è da stupire, se la letteratura enciclopedica è

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tuttavia lodatissima, laddove i nomi di que' dotti accademici non sono pur noti, fuorchè ad un numero piccolissimo di eruditi. Ma certo una raccolta, che venne illustrata ne' suoi principii c nel suo progresso dai nomi del Freret, del Duperron, e del Barthélemy, e che novera fra gli ultimi suoi compilatori il Sainte-Croix, il Sacy, il Rémusat, meriterebbe di essere più conta agli studiosi. Per le medesime cagioni la fama del Deguignes e del Gebelin fu ed è assai minore del loro merito; e mentre tutto il mondo risonava delle lodi del Diderot, dell' Helvetius, del Condillac, e di una turba di simili autori, quanti vogliam credere, non dico che leggessero ma che conoscessero solamente, la Storia degli Unni, e il Mondo primitivo? Alle quali opere se si aggiungono quelle del Bochart, dell' Herbelot, del Gaubil e del Duperron, si avranno i sei o sette lavori di filologia orientale più notabili che siano usciti da penne francesi prima di questo secolo. Se si fa ragione della copia di libri orientali, che il Deguignes dovette diciferare, per iscrivere la storia intricatissima di sterminate popolazioni, (a noi sì nuove, che non se ne sapevano in Europa pur anco i nomi,) quando lo studio delle lingue asiatiche era più difficile, che oggidì; l'immaginazione si spaventa a calcolar le fatiche, che dovette costargli il suo lavoro; il quale paragonato alla frivola colluvie dei libri coetanei o succeduti, mi rappresenta una piramide d'Egitto intorniata da' gretti e fragili casolari degli Arabi moderni. So che l'erudizione del Mondo primitivo è macchiata da gravi errori, manca spesso di critica, e pecca di quel genio paradossastico, ch' era il vizio della età; tuttavia essa è ricca di materiali pregevoli; oltrechè mise in corso alcune idee nuove e profonde, e giovò a molti scrittori, che se ne valsero come di cosa propria; imperocchè nessun libro, se si eccettuano quelli del Vico, ful forse derubato così svergognatamente, come la grande opera del povero Gebelin; il quale, per la qualità del suo ingegno e de' suoi studi, fu anche in parte il Vico della Francia. Noterò di

passata ch'egli fu uno de' pochissimi conoscitori e apprezzatori di esso Vico, del quale così parla : « Vico, jurisconsulte italien, dans « son profond ouvrage intitulé Science nouvelle, et qui est presque << dans le goût et le style des sages de l'antiquité, dont il veut <«< expliquer les instructions et le génie1). » Sarebbe lunga impresa il ricercar le cagioni, che ostarono alla giusta e meritata celebrità di questi uomini dottissimi; e fecero, verbigrazia, che l'Origine dei culti sia stata più famosa del Mondo primitivo, se bene i paradossi, che ivi sono contenuti fra i limiti di una qualche moderazione, siano colà spinti fino ai più ridicoli e biasimevoli eccessi. Nel resto, il lettore non ignora che il torto più grave del Gebelin fu di essere uomo religioso, ossequente verso le tradizioni, a cui i popoli moderni deggiono il loro splendore, e di aver reso omaggio in più luoghi dell'opera sua alla verità ed eccellenza del Cristianesimo. Che diremo del P. Antonio Gaubil, il quale, a giudizio del primo sinologo della età nostra, fu il più gran sinologo europeo di ogni tempo; i cui lavori, come antiquario e orientalista, mostrano una erudizione vasta e profonda, congiunta a un ingegno acutissimo, e riescono quasi incredibili, se si considera che l'autore era eziandio un valente astronomo, e un apostolo indefesso e pieno di zelo 2)? Che del grande Abramo Anquetil Duperron? Uomo veramente unico, nel quale non sai, che si debba più ammirare, se la rara dottrina, o la pazienza instancabile, o l'austerità dei costumi, o la santità dell'animo e della vita. Giovane, povero, ignoto, ma dotato di un ardore di scienza indicibile, egli parte solo per l'India, con quasi nessun altro viatico, che una volontà ferrea e un coraggio indomabile. Lo scopo del suo viaggio non è la potenza, nè la ricchezza, per cui

*) Monde prim. Du génie alleg. et symb. de l'antiq., p. 64.
2) A. REMUSAT. Nouv. mél. asiat. Paris, 1829, tom. II, p. 277-290.

anche il volgo incontra animoso i pericoli; ma il sapere più pellegrino. Egli aspira alla conquista di un libro, e con esso di un antica letteratura, di un'antica civiltà, ch' egli vuol rintracciare e far nota ai dotti di Europa impresa non meno difficile, e assai più nobile e giovatura, che quelle di molti conquistatori. La povertà, le malattie, le disdette di ogni genere, la noncuranza e la malevolenza degli uomini, i pericoli di mare e di terra, gl' incomodi e gli ostacoli innumerabili di un paese mezzo barbaro, e alienissimo dai costumi di Europa, pongono a lunghi e duri cimenti la sua costanza, ma non possono debilitarla, nè vincerla. Raccontando una di queste prove terribili, con quella semplicità, che rende tanto dilettevole e cara la descrizione del suo viaggio, egli così si esprime : « Cet état d'abandon, presque désespérant, « me parut digne de mon courage, et je continuai ma route 1). >> La sua longanimità supera infine ogni impedimento, e lo mette in grado di toccare la meta. Procacciatosi, non ostante la gelosa vigilanza dei Parsi, il testo originale delle opere attribuite a Zoroastre, ne impara, o più tosto indovina il dettato, ce le dà tradotte con quella maggior fedeltà che allora si potesse desiderare, e le accompagna colla prima esatta notizia delle antiche lingue iraniche, che sia giunta in Europa. Ci fa eziandio conoscere gli Upanisadi, e da lui non rimane, che senza un caso fortuito di guerra, ci rechi l'intero corpo dei Vedi, e doni alla Francia la gloria d'instituire lo studio europeo del sanscrito. Ma queste erculee fatiche e si degni frutti non sono ancora la parte più bella della sua vita. L'Anquetil fu di costume non solo illibato, ma austero 2); e in un secolo empio, fu religiosissimo. Il suo comento sugli Upanisadi fa buon testimonio, così del suo profondo sapere

1) Zendav. Paris, 1771, tom. I, p. LI.
2) V. la dedica singolare dell' Oupnek' hat.

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