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Non vorrei per altro che alcuno veggendomi scarso lodatore di certi trovati moderni, mi stimasse poco amico alla civiltà del secolo. Della quale io sono schietto e fervido amatore; ed è appunto per lo zelo dei progressi veri, che detesto tuttociò che ammollisce l'animo, rende il sapere superficiale, e veste la rediviva barbarie con un abito di pulitezza. La ruvidezza antica era assai meno temibile, meno aliena dal vero incivilimento della morbidezza moderna; imperocchè una barbarie forte conduce spesso a gentilezza laddove la corruttela mena a una barbarie fiacca ed imbelle, vera decrepitezza dei popoli, foriera della loro morte. Guai a coloro, che ripongono la civiltà nelle enciclopedie, ne' giornali, e in certe nuove dottrine, che regalano il nome di Ostrogoti e di Vandali a chi non ammira le loro inezie! Amo anch'io il vero progresso; ma non, per Dio, il progresso di costoro. Il vero progresso è come l'innocenza della tenera età : l'uomo il possiede senza saperlo, e quando esce di questa beata ignoranza, quando si mette a perorare sopra un tanto bene, fa segno di averlo perduto. Que' secoli, che più avanzarono la civiltà, non seppero di farlo. Oggi che tutto il mondo chiacchera di progresso, e s'intitolano libri e giornali da questo bel nome, quanto le speranze e le promesse rispondano agli effetti, gli uomini assennati, che tuttavia vivono, sel sanno. Non si stà già fermo si cammina, anzi si corre, ma indietro indietro; e il capogirlo fa credere che si vada innanzi. Si può dire delle teoriche del progresso ciò che delle poetiche, delle rettoriche, delle estetiche; le quali fioriscono e recano il bello in arte, quando l'ingegno è divenuto impotente a metterlo in opera. Così, da che gli uomini si sono avvezzi a camminare a uso dei gamberi, s'insegna l'arte di andare avanti; e chi sa parlare più a lungo del progresso, beato lui. Se il capriccio dura, si verrà a un punto, che un valentuomo non oserà più pronunziare il nome di progresso, senza arrossire : e già al dì d'oggi chi ne discorre, dee circoscrivere molto bene il suo pensiero, e seques

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trarsi da certe sette, se vuol essere udito seriamente dai pochi savi che rimangono.

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Mi dorrebbe eziandio, se altri mi accusasse di eccedere intorno alle persone quei limiti di moderazione e di decenza, che intorno alle dottrine oggi si possono, non che senza biasimo, lodevolmente oltrepassare. Nel decorso dell'opera mi occorre talvolta di combattere alcune generazioni di pensanti e di scrittori, di notare i difetti e i vizi particolari di certe classi d'uomini e di cittadini. Il contraddire ha già per sè stesso un sembiante d'inimicizia; il quale si accresce, se tu parli con qualche calore, se biasimi non i pareri, ma i costumi e gli affetti degli altri, benchè non eschi dai generali. Il linguaggio umano è imperfettissimo chi combatte gli errori ed i vizi sembra volerla cogli erranti e coi viziosi; e chi si proponesse di escludere la possibilità di questa interpretazione, dovrebbe lasciar di scrivere, o scrivere in modo insopportabile, e usare uno stile, in cui nulla di spontaneo, nè di caldo si troverebbe. Oltre che chi parla o scrive, e si tiene sugli universali, non può sempre accennar le eccezioni: è costretto a esprimere il probabile come certo, il relativo come assoluto, e a commettere molte altre improprietà inseparabili dal favellare umano, come sa chi è avvezzo a servirsi pensatamente della parola. Chi ha discrezione sa dar la debita tara a questi modi, e ridurli al loro vero senso; ma tutti i lettori non sono discreti. Dichiaro pertanto espressamente ch'io non intendo di fare allusione a nessuna persona privata in particolare; parendomi che il costume di ferire i vivi non sia da uomo civile, nè da uomo onesto, nè da cristiano. Chi interpretasse diversamente il mio dire, farebbe contro la mia intenzione; la sincerità della quale non sarà posta in dubbio da coloro che mi conoscono. Dichiaro in oltre di essere persuaso che fra i difensori di tutte o quasi tutte le opinioni si trovano persone degne di stima ; e che nelle varie condizioni dei cittadini non mancano eccezioni

onorevoli a quei vizi o difetti, che sono più frequenti in ciascuna di esse. Io non ignoro esservi di molti, uomini che professano opinioni religiose, filosofiche, politiche, alienissime dalle mie, i quali per ingegno, per dottrina, per animo, per virtù morale e civile, sono degnissimi di amore e di riverenza; potrei menzionarne alcuni, che mi glorio di avere per conoscenti e per amici. Ma parlando in generale, non mi astengo dal tassare i difetti e gli errori, nè dal dire la verità, comunque acerba a pochi od a moltissimi. E ho creduto di poterlo fare, senza prosunzione; giacchè uno scrittore sarebbe, non che ingiusto, ma intollerabilmente ridicolo, se nel notare i mancamenti degli uomini, non si ricordasse di esser uomo anch' egli, e di partecipare alle miserie della natura comune; se non sapesse che il divieto di mirare agli individui, parlando o scrivendo, risguarda ciascuno, salvo la persona di chi parla e di chi scrive.

Queste avvertenze concernono le persone private. Alcuni sono, che vorrebbero estenderle alle persone pubbliche; i quali mi pare che abbiano il torto. Tutti si accordano a riconoscere che in politica è lecito il sindacare, e biasimare gli atti pubblici dei cittadini, purchè si faccia con giustizia e colla dovuta moderazione. Or perchè non sarà lecito, e talvolta non sarà debito, di far lo stesso negli altri ordini del pubblico operare? Uno scrittore, come scriti tore, non è persona privata : il divulgare colle stampe i proprpensieri, e comunicarli a tutti gli uomini, è azione pubblica; più pubblica assai degli atti di un principe o di un ministro, se lo scrittore è illustre, se è tale, che si faccia leggere da molti, e passi alla posterità. Distinguasi nell'autore di un libro l'uomo dallo scrivente. L'uomo, nel giro de' suoi costumi e delle sue azioni private, dee essere rispettato da ciascuno; non può cadere, che sotto la censura della legge fuori di questo caso, i suoi portamenti sono inviolabili. Non così lo scrittore; il quale, se pubGIOBERTI, Opere. Vol. IV.

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blicando i suoi sentimenti si rende comechessia colpevole, può esser da ciascun biasimato, per ciò che spetta a questa pubblica colpa. Della qual censura oggi veramente niuno si fa scrupolo nelle opinioni letterarie, e sovrattutto nelle politiche. Se altri abbandona la sua fazione, e passa alla parte contraria, ancorchè nol faccia per motivi abbietti, tutti gli danno addosso, e diventa bersaglio agli scherni e alle risa della moltitudine. Non guardano a calunniarlo lo chiamano traditore e vendereccio: attribuiscono il suo variare alle più vili cagioni : scrutano e rinvangano con mirabile sollecitudine la sua vita passata; e guai se essa porge qualche appiglio alla loro malignità sagace e inesorabile! Ma nelle cose di religione il negozio corre altrimenti. Se un uomo tradisce la fede data a Dio e il suo ministerio, insulta la religione, la Chiesa, la maestà del pontificato, si rende pubblico rinnegato e profanatore, e trae coll'esempio molti semplici nella sua rovina, non è lecito il dire una parola severa contro di lui, e il condannare uno scandalo così solenne. Chi lo fa è accusato d'intolleranza; e questa è una di quelle voci magiche, che danno ragione a chi primo l'adopera. Ma la tolleranza e l'intolleranza risguardano le azioni e non i giudizi. La tolleranza interdice di violentare l'altrui coscienza, non di giudicarla, quando da sè stessa si mostra in pubblico : interdice d'impedire e occupare l'altrui libertà, non d'influire colla parola nelle opinioni, non di dire che il bene è bene, e il male è male, quando si tratta di cose notorie e succedute in cospetto di tutti; altrimenti ella sarebbe indifferenza, e l'immunità data agli uni tornerebbe in servaggio e danno degli altri. Egli è vero che in tutto ciò si vuol procedere con gran moderanza; della quale chi è privo, non è già intollerante, ma colpevole in altro modo; chi non voglia scambiare i vocaboli, secondo l'uso corrente. Nell' età passata si chiamava intollerante chi difendeva la religione colle armi del sapere il che oggi più non si vieta; però, siccome il patrocinio della fede non comporta che sempre si taccia sugli scan

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dali che l'offendono; questo severamente si proibisce. Ma io non so indurmi a pensare che mentre è lecito l'inveire contro i rinnegati di una setta politica e di un'opinione, la sola apostasia religiosa sia rispettabile. Le pene temporali contro i delitti meramente religiosi sono da riprovare, perchè, se non altro, peggiorano il delinquente, rendono la religione odiosa, e si oppongono alla sua dolce e mansueta natura; ma la censura anche grave non è una pena, e non produce nessuno di quegli inconvenienti. Anzi può partorire gli effetti contrarii; ed è spesso necessaria per impedire o diminuire l'influenza pestifera, che gli scandali pubblici e illustri producono sulla moltitudine. Altrimenti la mansuetudine cristiana sarebbe mollezza e dappocaggine: sarebbe una tacita connivenza verso coloro, che insultano e bestemmiano la religione che l'insegna. Oggi si richiede nella religione l'umiltà ch'ella comanda a' suoi seguaci, e si permette il difenderla, purchè si faccia rimessamente. Confutate le ragioni de' suoi avversari; ma con gran modestia guardatevi dal dire una parola, ancorchè giusta, che possa dispiacere; guardatevi dall' avere troppa confidenza nella vostra causa, dal mostrare quella generosa baldanza, che si addice al difensor del vero. Anzi farete gran senno a lodare le intenzioni di ogni nemico della fede, e a commendare in ogni caso la nobiltà e la costanza de' suoi portamenti (4). In questi termini vi permetteremo di scrivere; altrimenti vi chiameremo intollerante, declamatore, fanatico, uomo incivile, e indegno di ogni onesto consorzio. Io ho sempre pensato che il Cristiano debba esser umile in ciò che lo concerne personalmente; ma che una nobile fierezza non si disdica al difensor del vero. Nè potrò mai credere che la religione non sia, e non debba essere grandemente superba, perchè la religione è Dio, e ciò che è orgoglio negli uomini, è in Dio il sentimento legittimo della propria eccellenza. Nulla v'ha di più imperioso che la verità, suprema e assoluta comandatrice delle menti create, e sicura fra le persecuzioni di un trionfo immortale. Coloro,

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