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doppiamente parricida. Non ignoro che questi concetti non sono di moda, e che oggi corre il vezzo di lodare Napoleone, come quindici anni fa era in uso di bestemmiarlo, e di disdirgli, (ciò che è sommamente ridicolo,) eziandio l'ingegno. Ma io non credo che ciascuno sia tenuto a mutar le opinioni, come, verbigrazia, si scambiano i vestiti. Che i Francesi, avidi di signoreggiare, e bisognosi di essere signoreggiati da una volontà più forte della loro, abbiano desiderio di Napoleone, non è da stupire; come non fa pur meraviglia che alcune altre nazioni europee, martoriate da tristi e imbecilli governanti, ricordino solo dell' antico oppressore quella vigoria, quella saldezza, quella virtù d'animo, veramente ammirabile, quando si paragona colle moderne dappocaggini e codardie. Un' altra cagione fa desiderare a molti il governo imperiale, ed è la bontà e la saggezza de' suoi ordini amministrativi; nel qual rispetto solamente si può ammetter la sentenza di uno scrittore, che lo chiama il Castruccio dell' Italia settentrionale, cui innalzò, dic' egli, in poco più di dieci anni al grado di una potenza 1). Ma Napoleone ebbe soltanto, per questa parte, il merito di compiere ed eseguire molte riforme sentite, e imperiosamente volute dai tempi; alle quali doveva ubbidire per consolidare l'autorità propria. Nè gli statuti amministrativi, per quanto rilevino, costituiscono a gran pezza l'essenza degli ordini civili; e un popolo può essere perfettamente condizionato in questa parte, e meritar tuttavia per molte altre il nome di barbaro. Coloro che ripongono la felicità politica di un popolo nella bontà dell'amministrazione, sono così sapienti, come quelli che fanno consistere il fiore della civiltà nell' eleganza delle maniere, e la virtù nel galateo.

1) PECCHIO, Sag. stor. sull' ammin. finanz. dell' ex-regno d'Ital Avvert.

Per porgere una idea delle vicende corse dall' opinion pubblica in Francia dentro lo spazio di pochi lustri, intorno a Napoleone, posso recar l'esempio di uno scrittore; ma citando coll' aiuto della sola memoria, nè potendo verificare tutte le mie allegazioni, mi credo in debito di avvertirne chi legge. Il Lamennais ha parlato più volte di Napoleone. Lodollo, se non erro, imperatore; onde non so chi ebbe nel sèguito occasione di dirgli Ah! monsieur l'abbé, vous avez aussi fléchi le genou devant Baal! Lo calpestò caduto e prigione; ed è difficile l'immaginare una invettiva più amara di quella, che trovasi ristampata fra alcuni de' suoi antichi Mélanges; nella quale il fiele gli fa dimenticare il buon gusto, e guastare una bellissima frase del Bossuet. Infine nel 1836, quando Napoleone morto comincia ad appartenere alla severa storia, lo chiama le plus grand homme des temps modernes 1). Non so, se questo progresso sia nobile, sapiente e generoso; ma certo esprime a maraviglia l'indole delle età, in cui siamo.

Questa sapienza individuale è poca cosa, rispetto allo spettacolo, che ci è dato dalla sapienza pubblica. Dappoichè la Francia ha ricovrate da una potenza emula le ceneri dell'antico signore, sarebbe difficile il poter preoccupare coll' immaginazione ciò che vi si dicé nelle assemblee, ne' cerchi, e vi si stampa in su' giornali. È piacevole il vedere i Francesi, così schivi e intolleranti del dominio forestiero, andare a gara, per onorare e lodare a cielo un astuto Italiano, che da bravo cavaliere seppe inforcarli e padroneggiarli, facendo loro credere di essere un loro compatriotta 2). È piacevole il vedere gli amatori della libertà celebrar

1) Aff. de Rome. Paris, 1836-37, p. 9.

2) Vuoi tu sapere, con che alchimia Napoleone fece questo bel miracolo di

l'uomo, che la spense in Francia, e cercò di spegnerla negli altri paesi, e fece dei diritti pubblici la violazione più solenne e brutale, di cui si trovi esempio nelle antiche e nelle moderne istorie. È piacevole il vedere i zelanti della gloria e dell' indipendenza nazionale vantarsi di sanguinose conquiste non sapute mantenere, di un rapido dominio, che addusse una ontosa servitù, ed esaltare colui, che primo dopo Carlo settimo aperse le porte di Parigi al ludibrio e all' insulto straniero. È piacevole il vedere i cosmopoliti, i filantropi, gli umanitarii, che si struggono di tenerezza pei loro fratelli, venerar quasi come uno iddio il più grande ed intrepido ammazzatore di uomini, che dopo Tamerlano abbia insanguinato il nostro emisfero. A ogni modo ciò che fa e dice la Francia in questo punto, è degno di molta considerazione, e si dee saper grado al valente ministro, che ha procacciato questo nuovo passatempo ai popoli di Europa.

Nota 28.

Per conoscere e giudicare dirittamente la tempra morale di un uomo, bisogna aver seco qualche convenienza, bisogna mettersi a suo luogo, e investirsi in qualche modo de' suoi sentimenti; poichè in fine, altri non può farsi un concetto de' suoi simili, se non studiandoli in sè stesso. Perciò, ancorchè avessimo

rendersi francese? Col diminuire di una vocale il proprio nome, e chiamarsi, dettando, Bonaparte, in vece di Buonaparte. Vedi quanto importa l'arte della scrivere ! Da che l'abbiccì è al mondo, non s' era veduto un caso simile a questo. Imperocchè, se ai tempi di Oliviero Cromwell, un granello di arena, che è pur cosa positiva, benchè minutissima, girò lo stato di Europa, secondo la sentenza del Pascal, la quale non par nè anco conforme alla verità storica; noi abbiamo veduto maggior meraviglia; cioè l' Europa, anzi il mondo, messi a soqquadro, per lo spazio di quattro lustri, dalla sottrazione di un' Ų.

commercio cogli abitatori di Saturno o di Giove, o di altro pianeta, egli è probabile che ciò non basterebbe a penetrare la loro natura, e che la contezza, che ne avremmo, sarebbe per molte parti poco men misteriosa di quella, che possediamo sull' istinto e su altre proprietà interne degli animali inferiori del nostro globo; se si presuppone che quelli differiscano da noi, quanto la lor dimora si differenzia dalla nostra, e secondo che pare conforme alla varietà e alla ricchezza inesausta della natura. Ora quest' avvertenza si vuole avere eziandio nel fare stima dei nostri simili; quando la distanza de' tempi o de' luoghi, la diver– sità delle complessioni, dei costumi, delle stirpi, è singolarmente notabile. Poche nazioni sono così diverse di genio fra loro, come l'Italia e la Francia, benchè di sito propinque e finitime; e contuttochè l'uniformità del vivere civile, la declinazione di ogni spirito patrio, l'istinto servile dell' imitazione forestiera, е altre cagioni rendano gl'Italiani di giorno in giorno più ligi ai Francesi; tuttavia l'indole nazionale non è ancora affatto spenta presso i primi, e si mostra vivamente, quando trova una di quelle tempre individuali, ricche e potenti, in cui la natura è più valida delle circostanze esteriori, e resiste alla forza dell' educazione, della consuetudine e dell' esempio. L'uomo, in cui queste condizioni si siano meglio avverate alla nostra memoria, è senza fallo Vittorio Alfieri. Poche anime furono più antifrancesi, più scolpite dal nostro suggello, più battute, per così dire, all' incudine dell' antico ingegno italiano, più simili a quei grandi, che non ispesseggiavano pure nei tempi aurei dell' antica Italia, e fra i coetanei di Dante e di Michelangelo erano già più che rari. Che maraviglia adunque, se l'Alfieri scrisse il Misogallo, e se alla sua giustissima avversione contro la labe gallica, si mescolò qualche esagerazione? Per la stessa cagione, il pregio sovrano delle opere di Vittorio, e la singolarità maravigliosa della sua indole e della sua vita, non potrà mai essere sentita, e dirittamente apprezzata,

dai Francesi. Il sig. Abele Villemain volle parlare del nostro tragico nelle sue Lezioni sulla letteratura francese, dettate con istile puro, elegante, spiritoso, mellifluo, e con molta dottrina, per ciò che spetta alle cose della sua patria. Ma che v' ha di comune fra un Parigino e Vittorio Alfieri? Io vorrei che tra i Francesi e gl' Italiani si facesse questo patto, che i critici dei due paesi si astenessero dall' entrare in giudizi troppo particolari sulle composizioni meramente letterarie dei loro rispettivi vicini, e attendessero per ciò che riguarda il buon gusto, alle cose proprie, anzichè alle aliene; il che, mi pare, tornerebbe a vantaggio della vera cultura, e a guadagno dei due popoli. Così, verbigrazia, quando leggo che il sig. Villemain diceva fra gli applausi de' suoi uditori, il Chateaubriand essere un génie plus éclatant dell' Alfieri 1), non che sdegnarmene o stupirmene, trovo che, come Francese, ha ragione; mi stupirei piuttosto, se i rivieraschi della Senna la pensassero altrimenti. E quando i letterati, che abitano sulle sponde della Giarretta, del Garigliano, del Tevere, dell' Arno, del Po, mettessero mano a voler provare il contrario, e a scrivere lunghi articoli sul Chateaubriand, e sul romanzo di René, livre incomparable pour la profondeur et la poésie 2), avrebbero un grave torto. Io bramerei che l'illustre Autore avesse osservato la stessa riserva, e si fosse astenuto dallo spendere tre letture consecutive per mostrar che l'Alfieri fu una spezie di gradasso politico, e un copista del teatro francese. Noi non sapremmo veramente che Vittorio Amedeo secondo, il quale eut plus d'une fois l'honneur d'être battu par Catinat, accrebbe i suoi stati, conquistando l'isola di Sardegna; che la langue habituelle du Piémont est un italien un peu corrompu, fort semblable à l'italien de Venise); che l'Alfieri,

4) Cours de littérat. franç., part. 2, leçon 9.

2) Ibid., part. 1, leçon 24.

3) Ibid., part. 2, leçon 9. Gli autori dell' Encyclopédie nouvelle c'insegnano

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