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che il proverbio, (se pur intendono il latino,) ne sutor ultra crepidam, sia fatto solamente per li calzolai, e non per loro1).

Nota 2.

Invece di dedurre il metodo dai principii, i filosofi moderni vogliono dedurre i principii dal metodo. Ma come mai si può trovare il vero metodo filosofico, se non si posseggono di già i principii? Quando si difetta di questi, si cammina a caso, o si reca nella filosofia un modo di procedere alieno dalla sua indole, e proprio delle altre discipline. Il che venne fatto in parte dal Descartes, quando volle adattare alle scienze speculative il metodo proprio delle naturali, cioè l'osservazione, e creò il psicologismo. Uno degli errori fondamentali del sistema cartesiano si è il porre la metodologia innanzi ai principii della scienza. Il signor Cousin lo confessa espressamente, ascrivendo però a pregio il difetto. « L'esprit qui..... distingue Descartes de tous ses devanciers, c'est... « l'esprit de méthode. Il ne s'agit plus de poser des axiomes, des <«< formules logiques dont on n'a pas vérifié la légitimité, et de <«< produire par leur combinaison une philosophie nominale, une « sorte d'algèbre, qui ne s'applique à aucune réalité. Il faut partir « des réalités elles-mêmes. La première qui s'offre à nous c'est « notre pensée. On ne peut rien tirer, dit Descartes, de l'axiome « célèbre dans l'école : impossibile est idem esse et non esse, si l'on « n'est pas d'abord en possession d'une existence quelconque ; la « proposition:je pense, donc je suis, n'est pas le résultat de l'axiome

*) Se tal proverbio sapesse d'insolente e di plebeo a chi è in grado di applicarselo, io propongo quest' altro in sua vece ne sus Minervam; il quale, giudicando delle pretensioni dalle abitudini, non dovrebbe al dì d'oggi offendere la schifiltà di nessuno.

GIOBERTI, Opere. Vol. IV.

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« général: tout ce qui pense existe; elle en est au contraire le fonde«ment. L'analyse de la pensée, telle est donc la méthode carté«< sienne 1). » E lodato il Descartes di questo suo procedere, soggiunge: « On peut distinguer deux époques dans l'ère cartésienne : «< l'une où la méthode du maître, malgré sa nouveauté, est « cependant méconnue, l'autre où l'on s'efforce de rentrer dans <«< cette voie salutaire. A la première appartiennent Malebranche, << Spinosa, Leibnitz; à la seconde, les philosophes du dix-huitième « siècle 2). » Egli ripete sottosopra la stessa cosa in altri luoghi delle sue opere ), e dichiara di aver seguito egli medesimo le cartesiane pedate: « Mes premiers soins furent donnés à la <«< méthode. Un système n'est guère que le développement d'une <«< méthode appliquée à certains objets. Rien n'est donc plus im<< portant que de reconnaître d'abord et de déterminer la méthode <«< que l'on veut suivre"). :

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Basti qui l'aver accennato un errore, che domina in quasi tutte le scuole moderne, e la cui confutazione risulterà ampiamente dal successo di tutto il nostro discorso.

Nota 3.

Il sig. Cousin trapiantò in Francia questo paradosso dell' Hegel, e lo difese in modo assoluto ne' suoi Nuovi frammenti filosofici "), e con qualche temperamento nel suo Corso di filosofia ), dove parla pure della Scolastica 7), nei medesimi termini.

1) COUSIN, Cours de phil. de 1818, publié par Garnier, Paris, 1836, p. 2, 3. 2) Ibid., p. 3.

3) Introd. à l'hist. de la phil., leçon 2.

4) Fragm. phil., préf. de la prem. édit., tom. 1, p. 45.

*) Paris, 1829, p. 1-8.

6) Introd. à l'hist. de la phil., leçon 2, Hist. de la phil. du XIIIe siècle, leçon 5.

7) Hist. de la phil. du XIIIe siècle, leçons 2 et 9.

Nota 4.

Uno degli usi piacevoli, che corrono oggigiorno nella repubblica delle lettere, presso i Francesi, è l' adorazione e la celebrazione reciproca degli autori. Dal più minuto scrittorello fino a coloro, che a ragione o a torto sono venerati principi, e distributori autorevoli della lode e della riputazione, il turibole va attorno, e tutta la Francia non è oggimai, che un profumo. Il brutto vezzo di aspreggiarsi e bistrattarsi colla penna, e le battaglie letterarie o accademiche, che turbarono spesse volte il campo pacifico delle scienze, non sono quasi più di moda: in iscambio ogni scrittore prova pe' suoi confratelli una tenerezza e un' ammirazione indicibile. Ogni articoluzzo o libercoletto, ch' esce alle stampe, è un capolavoro, i cui pregi volano ben tosto attorno, pubblicati dalla tromba della fama, e commendati da mille bocche alla immortalità. Se un abitante della luna discendesse quaggiù, e leggesse le lodi sperticate, che si dispensano sui nostri fogli, dovrebbe meravigliarsi della nostra incomparabile fecondità in ogni genere di grandezza; dovrebbe credere che, se i savi dell' antica Grecia furono sette, non v' ha al dì d'oggi provincia di Europa, che non ne abbia le centinaia. Vero è che il miglioramento può parere più specioso, che effettivo. Gli scrittori odierni si lodano in presenza, e scrivendo; ma in cuor loro, ed assenti, si astiano e si lacerano, come in antico. Questo modo di procedere è più prudente; ma parmi assai men generoso e quando la buona creanza se ne contenti, non so se la lealtà, e la carità cristiana possono appagarsene. Oltre che, se c'è l'obbligo di non ingiuriare, si è pur tenuto a non adulare. Queste lodi sdolcinate e scoccolate, che oggi ingombrano i libri, fanno stomaco alla gente. L'arena letteraria, se non è un luogo da pugni, non è anco una sala di

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ballo nè chi scrive ha buon garbo a imitare i damerini, che complimentano le signore. Se si dee eccedere alcun poco da qualche parte, amerei meglio che i letterati adombrassero la fiera e virule ruvidezza dei lottatori, che gli scambietti, le smancerie, i vezzi dei molli ed effemminati cicisbei. Gli antichi non parlavano, non lodavano in questa maniera nè posso immaginarmi che Demostene e Cicerone, Tucidide e Tacito, Dante e Michelangelo cerimoniassero alla foggia dei moderni, come non posso figurarmeli attillati e atteggiati, secondo la moda, che fiorisce sulla Senna.

Nota 5.

Siccome, non che confutare una folla di autori moderni, che sentono diversamente da me, circa i punti trattati nella mia opera, non ne fo pure menzione; debbo dar ragione del mio silenzio. Il quale alcune volte procede da mera ignoranza; perchè nelle mie condizioni di fortuna, non essendomi possibile il pigliar conoscenza di tutti i libri, che si stampano anche solo in Francia e in Italia, non posso ragionevolmente discorrerne; nè so adattarmi all' uso corrente di parlare delle cose e dei libri, che non conosco. Altre volte, e a dir vero molto spesso, il mio tacere proviene da un altro motivo, che lascerei volentieri indovinare al lettore, se non mi fosse d'uopo accennarlo, per mia giustificazione. Io credo che l'interesse della scienza, e la preziosità del tempo, dalla parte di chi scrive e di chi legge, interdicono che si faccia menzione di quelle opere, che non si levano sopra il mediocre per la dottrina, e per l'ingegno degli autori. Tuttociò che è triviale, leggero, o volgarmente paradossale, non merita pure di essere nominato; perchè se si volesse tener dietro a tutte le inezie, le stranezze e le scempiezze, che si stampano alla giornata, si andrebbe in infinito, con tedio indicibile e nessun pro dei lettori. Egli basta fermare i pronunziati applicabili alle varie dottrine che cor

rono, atti e sufficienti a mostrare il vero pregio loro. L'impresa di criticare e confutare sugosamente i libri mediocri, che escono di tempo in tempo, appartiene ai giornali; dico ai giornali buoni, che siano quali debbono essere. Imperocchè un buon giornale non è la scienza, ma la censura di quelli, che la coltivano. Chi scrive un libro dee solo far caso delle opere di peso; le quali veramente non danno molta fatica a chi s'intromette di filosofare; perchè il buono in questo genere non fu mai così raro, nè il cattivo o il mediocre così strabocchevole, come oggi. Ciò basterà per escusarmi, se io preterisco affatto certe composizioni recenti, senza guardare al giudizio, che se ne porta dagli arbitri della moda. Nel qual novero io colloco una ponderosa compilazione, che si stà facendo in Francia, sotto il titolo di Enciclopedia nuova; i cui autori usciti dalla scuola del SaintSimon, cominciarono a divulgare i lor pensamenti in uno scritto periodico, sotto il nome di Rivista enciclopedica. Or che dire di una setta, la quale comincia con un giornale, e finisce con un dizionario? I giornali e i dizionari scientifici con poco bene han fatto tanto male al vero sapere, che chi non sa eleggere altra forma che questa, per esprimere i propri pensieri, non fa presumere molto favorevolmente della sua profondità filosofica. I giornali e i dizionari ripugnano assolutamente all' unità, alla simmetria, alla concatenazione, alla precisione, alla concisione, alla chiarezza, insomma all' organismo scientifico: fanno il sapere in pezzi: rendono impossibile ogni ordine introducono il caos nelle dottrine importano molte lacune, e molte ripetizioni inevitabili; e quindi piacciono ai lettori frivoli, ma infastidiscono e impazientano chi cerca ne' libri un alimento sodo e nutritivo. Si noti bene che io parlo qui dei giornali, che si scostano da quel fine, che si dovrebbono proporre. Un ingegno non volgare, ma scettico, come Pietro Bayle, può dilettarsi dell' ordine disordinato di un dizionario, come conforme al suo sistema; ma un gran filosofo dogma

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