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vita; ma la sua docilità non è mollezza. Anzi è vigore, e fortezza d'animo; perchè la fede non è fatta pei pusillanimi e per gl' imbelli, se non in quanto accogliendoli caramente, e stringendoseli al seno, gli avvalora col suo tocco, e si mostra del pari potente e pietosa. La religione cattolica è la religione dei forti, ed oggi appunto è scaduta e languente in una gran parte degli uomini, perchè gl' ingegni e gli animi forti non abbondano. Ella si riduce in sostanza alla fede e all' amore; le quali due virtù tengono del sovrumano, e richieggono bene spesso la costanza di un eroe, e la generosità di un martire. Siccome la potenza sensitiva ha il predominio sulle altre facoltà, l'uomo tende da ogni lato verso gli oggetti sensibili, ed è inclinato a cercare in essi, così il vero, che dee appagare il suo intelletto, come il bene, che dee muovere la sua volontà, e acquetare le sue brame. Quindi è, che il sensismo nella speculazione, e l'egoismo nella pratica, sono i due malori nativi, impigliati nel cuore umano, che fermano la cognizione nelle cose esterne, e concentrano l'animo in sè stesso, come nell' ultima meta di ogni suo movimento. Il Cristianesimo combatte questa disposizione viziosa, e imprime nelle nostre potenze un indirizzo affatto contrario, sostituendo l'Idea al senso, l'Intelligibile al sensibile, Iddio al mondo, e a noi medesimi. Colla fede, leva lo spirito alle verità razionali e a quelle che avanzano la ragione; colla carità, toglie l'animo al perverso amore di sè, e gli prescrive di porre in cielo il suo ultimo fine, e l'oggetto supremo di ogni suo desiderio. E riducendoci a cercare in Dio il sommo vero e il sommo bene, ristabilisce nell' uomo l'ordine razionale delle cose, e spianta dalle radici quella ingiusta signoria, che il senso aveva usurpata sulle facoltà e propensioni più eccellenti. Stupenda armonia, ed atta a provare la sovrumana virtù e verità dell' Evangelio; il quale, essendo la restituzione perfetta dell' ordine ideale nelle potenze umane, chiarisce colla propria natura la divinità del suo principio. Ma per mettere in opera una

dottrina così sublime, praticare quel doppio eroismo della carità e della fede, e vincere sul senso ribelle un' aspra battaglia, che dura quanto la vita, ci vuole una energia, una grandezza d'animo, e una costanza indicibile. E dalla difficoltà della

pugna nasce il pregio della vittoria, e la singolare bellezza del culto, che l'inspira. Quanto si è alla fede in particolare, gli uomini ingegnosi, vaghi di evidenza, e baldanzosi pel senso delle proprie forze, trascorrono facilmente all' orgoglio, e aspirano a far della loro mente l'assoluta misura del vero. L'indole poi di questi tempi aiuta la miscredenza, e l'avvalora colla forza incredibile della opinione e dell' esempio. Onde non è raro il vedere uomini non volgari, e capaci di comandare all' età, esserle devoti e ligi nelle cose men ragionevoli; e vittime infelici del secolo, o preda di una folle ambizione, lasciarsi strascinare da quel torrente, di cui dovrebbero fermare il corso. Ma se fossero più savi, che non sono, e buoni calcolatori, conoscerebbono che anche rispetto alla propria fama, male si consigliano nel blandire e servire alle opinioni; perchè la riputazione fondata sull'errore svanisce in breve colle dottrine, che la partoriscono. Il solo ingegno cattolico non teme le ingiurie del tempo, perchè scolpisce il suo nome sulle pareti di un tempio immortale. E se, mentre vive, egli è schernito e vilipeso; nel dispregio dei dispregiatori, nell' antiporre l'avvenire al presente, che alletta gli animi volgari, risplende la sua forza; giacchè questa magnanimità di spiriti è propria di coloro, che sovrastanno alla moltitudine. Senzachè la religione, oltre all' assicurare un nome onorevole e duraturo, affina lo stesso ingegno, e lo accresce di nerbo e di squisitezza. È opinione di molti, che la professione cattolica scemi le forze dell' intendimento, inceppi e ritardi i progressi del sapere. Se ciò fosse vero, gli uomini religiosi dovrebbono rallegrarsi di vivere in questo secolo, che a tale stregua sarebbe cattolico per eccellenza. La fede non vieta la libertà, ma la licenza non è intoppo, ma freno non combatte la forza, ma

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la debolezza; perchè da questa, e non da quella provengono gli eccessi e i trascorsi licenziosi. Gli spiriti immoderati sono gagliardi in apparenza, fievoli in effetto, giacchè si sottraggono alla legittima ubbidienza, per servire ai sensi, alla immaginativa, alla consuetudine. Potrei anche provare, che gli abiti intellettivi del perfetto cristiano sono tutti favorevoli all' ingegno, e all'inchiesta del vero; ma questa sarebbe materia di un lungo discorso 1). Nè ciò è necessario, quando gli esempi bastano a chiarircene. I pensatori più eminenti, che da quindici secoli in qua abbiano illustrate le scienze speculative, furono di professione cattolica, o almeno vi si accostarono, allorchè nacquero nei paesi eterodossi. Chi oserebbe pareggiare ai campioni di questa i principi dell'eresia? Ragguagli Atanasio ad Ario, Agostino a Pelagio, Bernardo a Abelardo, Dante e il Borromeo a Calvino e a Lutero, chi voglia distinguere dal fasto bugiardo la vera grandezza della mente. L'esperienza mostrò in ogni tempo che l'uomo rinnegando la vera fede, perde la metà del suo valore, e diventa minore di sè stesso, e della propria fama. Quanto l'ingegno cattolico è splendido e bello, tanto l'ingegno eretico è tristo, oscuro, brutto, spiacevole a contemplare. L'eresiarca è come un monumento.in ruina, che serba i vestigi della grandezza antica, ma rattrista lo spettatore, mettendogli dinanzi agli occhi, e rappresentando al vivo la vanità dell' uomo, e la fragilità delle sue opere. Ovvero si può paragonare a quegli spiriti superbi e balzati dal cielo, onde ci parla la religione, che idoleggiati al vivo sulle tele o nei carmi, destano in chi li contempla un' impressione sublime, ma dolorosa e spaventevole, dove fra la miseria e la diformità della colpa, traluce ancora un languido raggio del bello primitivo.

*) Si troveranno alcune avvertenze su tal proposito nell' ultimo capitolo del primo libro di questa Introduzione.

La religione dà un pregio infinito alla vita temporale dell' uomo, intrecciandola coll' eterna. E siccome la morte è il passaggio dall' una all' altra, ella riceve dalle credenze religiose un valore e un sembiante singolare e pellegrino. La fede abbellisce la morte, e la rende dolce, gioconda, preziosa, desiderabile, spogliandola del concetto di distruzione, per cui è spaventosa al più degli uomini, e rappresentandola, come un riscatto da questo carcere terreno, in cui si suol piuttosto agonizzare che vivere, e come una rinascita alla vera vita. Ma per l'uomo dedito allo studio del vero, e avvezzo a fissar gli occhi in quel velo impenetrabile, che gliene asconde una parte, la morte acquista una dignità particolare, apparendogli, come la trasformazione del sovrintelligibile in intelligibile, e la perfetta rivelazione dell' Idea. Perciò, non che rifuggire dal fatal esito, che lo aspetta, egli vi aspira come alla sua liberazione, e anela all' eternità, che dee iniziarlo a un grado più elevato, e più recondito di scienza. Il sapere di questo mondo è un rudimento elementare, che non può essere, compiuto quaggiù. Noi siamo fanciulli, che impariamo a leggere, e la nostra enciclopedia è un alfabeto. Ma questa disciplina preparatoria ed incoativa sarebbe inutile, e il desiderio, che abbiamo di accrescerla, vano e ripugnante, se lo spirito dell'uomo non fosse ordinato a godere altrove una cognizione virile e perfetta. L'uomo giusto, quando invecchia, sembra acquistare un certo presentimento del bene a cui è vicino, e ringiovanisce spiritualmente, perchè accostandosi al suo fine si trova in procinto di ritornare al suo principio. Questo sentimento imprime nell'ultima parte di una vita bene spesa, una dignità e una quiete maestosa e solenne. Onoranda è la cristiana vecchiezza, e sereno il suo termine. E quando alla virtù si aggiunge l'ornamento dell' ingegno, e lo splendore di una grande e pura rinomanza, la canizie acquista un' autorità profetica. Ma l'età provetta è mesta e lugubre, se non è rallegrata dalla speranza; e trista è la morte

dell' uomo celebre, senza dolcezza di religione. Il pensiero della gloria superstite non basta a consolarlo, mentre la vita lo abbandona, e lo contrista piuttosto, come l'imagine di un bene, che non sarà più suo, quando non potrà gustarlo, nè possederlo. Teofrasto, dopo una vita lunghissima e celebratissima, conobbe morendo la vanità della gloria, e si pentì dei sudori spesi in acquistarla 1). E veramente, a che giova la ricordanza dei beni passati, se non a rammaricarsi di averli perduti? Narrasi che il celebre Goethe invocò dolorosamente la luce, nel punto stesso, che i suoi occhi si chiudevano per sempre (38). Ma il Cristiano, che anela a fruire di quella luce, che non verrà meno, e verso la quale il nostro giorno è profonda notte, trova ragione di conforto; e quando i beni e la fama terrestre si dileguano, egli leva il pensiero a quella gloria celestiale, il cui godimento avanza ogni concetto. Questa fiducia gli addolcisce l'amaro della partenza, e gli prolunga in un certo modo ed eterna il possesso medesimo di quei beni, che abbandona. Gli diletta il pensare che quando godrà beato in grembo a Dio, il suo nome sarà pure benedetto sopra la terra. Gli allori caduchi, che appassiscono per morte, gli sono tuttavia cari e preziosi, perchè spera che rinverdiranno nella vita immortale. La memoria dell' ingegno virtuoso vive e fiorisce in cielo, assai più che in terra; giacchè l'ingegno bene usato è virtù : il suo proprio teatro è il concilio universale degli spiriti, e l'eternità tutta quanta è assegnata al preconio delle sue laudi. Misero colui, che abusò dei doni di Dio, e volse a perdizione degli uomini il fuoco celeste datogli per beneficarli! Nessuna calamità è pareggiabile a questa; e la stessa immaginazione non può misurare l'affanno, che dee sentirne la coscienza di un moriente. Ma l'agonia del Cristiano è tranquilla, e il sentimento del suo

1) Diog. Laert, lib. V, cap. 2, num. 11.

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