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rore dell' Idea; e la sera delle scienze speculative annunzia la notte di ogni altra disciplina.

Ma poichè le leggi non pongono rimedio a questo disordine, resta che ognuno alla meglio provvegga a sè medesimo. E veramente al di d'oggi, la puerizia, se non è guasta, è almeno perduta, nè l'uomo può avere altra instituzione che quella, onde s'informa egli medesimo, quando è giunto a una età più ferma. Importa adunque che i giovani, nei quali le forze dell' ingegno cominciano a svegliarsi, e ad avere il sentimento di loro stesse, intendano a questo scopo con tanto maggior fervore, quanto è men facile a chi ha varcata l'adolescenza il contrarre nuove abitudini. Ma affinchè altri possa educare il proprio animo, bisogna che ne conosca le specialità, e discerna qual sia la vocazione particolare dell'ingegno, onde la natura gli è stata cortese. Non appartiene al mio proposito il riandare le varie qualità e attitudini di spirito, che si riferiscono ai diversi rami delle arti, delle lettere, delle scienze sperimentali e computatrici. Parlerò solo dell' ingegno speculativo, ch'è il proprio soggetto della filosofia, e compierò, descrivendolo, il tema proposto in questo capitolo ; giacchè le scienze razionali si veggono da due secoli in qua subbiettivamente scadute, perchè i filosofi non sono quali dovrebbono essere. Non entrerò nelle parti più recondite dell'abito speculativo; delle quali mi tornerà in acconcio di discorrere più tardi : nè qui potrei distinguerle chiaramente, senza premettere altre avvertenze. Mi ristringerò adunque a certe proprietà generiche dello spirito filosofico, considerato in sè stesso, e in ordine a quelle applicazioni pratiche ed esteriori, senza le quali la speculazione potrebbe parere inutile agli uomini attivi, e dediti ai maneggi della vita civile. Nè paia temerario che io osi parlare di una facoltà così eminente, com'è l'ingegno; imperocchè, se viene approvata la sentenza del Machiavelli, che per conoscere la natura

dei principi, bisogna esser popolare, è ragionevole il credere che a penetrar la natura del vero ingegno, non sia mestieri d'essere ingegnoso. Il mio solo intento è di esporre alcune brevi considerazioni raccolte nello studio degli uomini eccellenti, e d'imitare il pittore, che stando nelle umili valli, descrive i contorni e i gioghi delle montagne.

L'ingegno, considerato generalmente, è la facoltà intuitiva ed espressiva del vero e del bello. Ma quello in ispecie, che chiamasi speculativo, può definirsi l'intuito riflesso e distinto dell'Idea. Ora, siccome la riflessione germina dallo spirito dell' uomo, il vero ingegno non è quello che imita, che impara, che sa appropriarsi gli altrui concetti, ma quello che si fonda sulle proprie forze, ed abbonda di virtù inventiva. Egli è vero che la riflessione non può esercitarsi, senza il sussidio della parola ; onde per questo rispetto l'ingegno è sempre discepolo; ma il sapere operare sulla parola, penetrarla, sviscerarla, squadrarla da ogni lato e scoprire le idee pellegrine, che vi si ascondono, non è cosa da tutti, e richiede una facoltà specialissima, che equivale a una vera invenzione. La parola è come un enigma proposto a ogni uomo, ma che i soli savi sanno indovinare. Perciò ho aggiunto che l'ingegno è un intuito distinto.; nella qual distinzione consiste ciò che lo differenzia dalla capacità ordinaria. Tutti gli uomini hanno in comune l'intuito immediato delle verità ideali; tutti, mediante il linguaggio, esercitano sopra di esse la facoltà riflessiva; ma questa riflessione è confusa negli spiriti ordinari; i quali perciò sono inetti a significarla ad altri e a sè stessi, perchè le idee confuse ripugnano all' espressione. All' incontro gli spiriti pellegrini afferrano distintamente l'Idea, e sono in grado di rappresentarla dentro e fuori, a sè e agli altri, colorandola e incarnandola colle forme più convenienti. E si avverta che l'Idea riflessa è sempre vestita della parola, senza la quale la rifles

sione non ha luogo; ma questa parola primitiva è una formola concisa e abbreviata, comprendente una sintesi ideale e vastissima, che non può essere spiccatamente conosciuta, se non per via di un processo discorsivo, in cui versa l'opera della riflessione, e il cui risultato forma la scienza. Il qual discorso si esprime altresi per mezzo del linguaggio; tantochè il lavoro riflessivo è una semplice risoluzione della cognizione intuitiva, e il parlare riflesso è la traduzione e amplificazione di una parola concisa e originale. L'ingegno speculativo è quello, che si mostra atto a ben tradurre, e sa recare nella riflessione quella distinta e precisa limpidezza, che è propria dell' intuito perfetto. Perciò la filosofia, come vedremo più innanzi, è rispetto al suo primo principio la traslazione del verbo religioso, la ripetizione ed esplicazione di un divino insegnamento. L'Idea poi, che è l'oggetto ed il termine dell' ingegno, essendo il vero sostanziale, l'errore non può mai esser opera dell' ingegno, e colui che erra, in quanto erra, non si dee chiamare ingegnoso, come non si vogliono onorare dello stesso titolo il poeta e l'artefice, quando scambiano il bello col deforme; giacchè il bello è la forma del vero. Il che chiarisce, quanto s'ingannino coloro, i quali stimano l'ingegno potersi accoppiare nelle lettere e arti amene col cattivo gusto, e nelle scienze coll' abito sofistico. Anzi, secondo alcuni, i cavillatori, e coloro che fan professione di ritrarre il laido ed il brutto, vincono in eccellenza gli altri uomini, purché riescano coi paradossi e coi mostri a far qualche romore, e a colpir l'immaginazione degli spiriti volgari. Or siccome, al parer mio, costoro si scostano dal diritto cammino, credo che nel qualificar l'ingegno, non si mostrano ingegnosi.

La perizia nel rapire e immedesimarsi l'Idea, come vero, essendo ciò che forma l'ingegno filosofico, questo può chiamarsi propriamente ideale. Veggasi adunque, con qual ragione si so

gliano battezzare per filosofi una folla di autori, che si mostrano solleciti, scrivendo, d'ogni altra cosa, che del vero. La setta di costoro cominciò in Francia nel passato secolo, si stese per Europa, e regna ancora al dì d'oggi. Ella ha ciò di proprio, che i suoi fautori non sono dediti a una dottrina più che ad un' altra, ma seguono questa o quella, secondo che il capriccio gira, e torna opportuno al loro proposito. Siccome non mirano all' onor del vero, nè al pro degli uomini, ma a far romore, e a muovere la folla, tirando le lettere a guadagno o ad ambizione, sono astretti a governarsi, secondo l'indole dei tempi, e ad essere spiritualisti o materialisti, pii o irreligiosi, amatori di libertà o fautori di tirannide, difensori del buono o del cattivo gusto, a tenore del capriccio e dell'umore corrente. Non è già che costoro aderiscano buonamente all' opinion comune: il partito sarebbe cattivo e da sciocchi per adescar l'occhio bisogna assordare l'orecchio altrui, nè può romoreggiare e trarre la gente chi non ha qualche lancia da correre, e nemici da far la schermaglia. Perciò studiano, qual sia l'andazzo, a cui si volgono i tempi, e la novità, verso la quale gli animi sono avviati ad essa si appigliano : si chiamano e si spacciano riformatori fanno setta; e danno fieramente addosso a chi è partigiano dell' antico, comunque abbia torto o ragione. Perciò, se questa fazione, di cui il Voltaire può considerarsi come il fondatore, si volse da principio a empietà, secondo il vezzo della stagione, che allora correva; in appresso, quando la miscredenza fu sparsa, e cominciò a saper di volgare e di rancido, si gittò alle dottrine contrarie; e se prima bistrattava la religione per distruggerla, ora la malmena per esagerarla, modificarla, difenderla a suo modo; pessimi amici e forse più pregiudiziali, che quando erano nemici. Siccome poi in questo secolo andarino e versatile, il corso delle opinioni è velocissimo, e la moda del pensare non varia meno che quella del vestire e dell'abbigliarsi, molti per mantenersi in voga, e schivar il dis

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piacere di assistere in gramaglie al proprio mortorio, usano di secondare la volubilità dei tempi; onde hanno il diletto di gustar tutte le opinioni, e il vantaggio di raccogliere e rappresentare nella propria persona una seguenza di vicende intellettuali, che soverchierebbero al bisogno di cinque o sei secoli. E come si narra di una donna romana, che calcolava gli anni ed i consoli col numero dei mariti, cosi trovansi oggidi scrittori, che potrebbero distinguere gli annali della loro vita col novero delle opinioni sposate successivamente.

Non crediate però che tutti costoro siano di mala fede, e mentiscano svergognatamente agli altri e a sè stessi. Fareste loro un gran torto a giudicarli in modo così severo; perchè si trova fra loro di molta buona gente; ci si trovano in folla uomini soffici, volatili, destituiti di ogni nerbo e vigore, che sarebbero incapaci di tanta malizia. L'ingenuità stessa, che recano nelle loro variazioni intellettuali, è buon testimonio di lealtà e d'innocenza. Eccovi, che lungi dall' attribuirsele a vizio o a disonore, e dal vergognarsene, se ne sogliono vantare, come di un merito o di un privilegio, e chiamansi uomini progressivi. E come potrebbero arrossirne? Il vero a parer loro non ha, nè può avere alcuna consistenza: va e viene, come il fiotto del mare, o come il mondo di Eraclito non è veramente, ma passa; altrimenti non potrebbe accordarsi colla legge sovrana del progresso, e colle sorti perfettibili del nostro genere.

La costanza nelle opinioni non può derivare altronde, che dal vero. Il quale, ben preso e ben penetrato, ha virtù di fermar l'intelletto dell' uomo, perchè ne è il termine naturale, e l'oggetto supremo. Gl'ingegni sviati si lasciano volgere e traportare a ogni vento1); giacchè l'errore non può godere le prerogative del suo

1) Eph. IV, 14.

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