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e sodezza, di cui non possono partecipare i concetti improvvisî. Chi scrive pei giornali, dovendosi ristringere fra termini molto angusti, se non si limita a quei lavori ausiliari, che dovrebbero essere il soggetto delle effemeridi scientifiche, ma vuol trattare exprofesso la scienza, è costretto a contentarsi di una particella del suo argomento, e per quanto studio ci voglia porre, non può fare che questa considerazione isolata non riesca superficiale. Il poco tempo, che ci vuole a scrivere un articolo, è un'altra causa di levità; imperocchè, lasciando stare che i giornalisti per la più parte mirano al guadagno, e abborracciano quei loro squarci, studiandosi di essere più speditivi che diligenti, è difficile il supporre che un uomo voglia impiegar settimane e mesi a stendere poche pagine. Fra quella turba di scrittori infimi o mediocri, che schiccherano nei fogli francesi, se ne trovano pure alcuni degni di produrre opere non volgari; onde fa compassione il vederli a gittare il loro tempo in lavori di minutaglia, e darci a gocciole la fonte del sapere, senz' altro degno frutto, che quello di porgere un saggio di ciò che potrebbero, se dismessa la frivola usanza, si volgessero a scrivere cose grandi e non periturę.

L'arte vuol essere organata, come la natura, per ottenere il suo fine, sia che questo consista nell' esecuzione del bene, o nella cognizione del vero, o nella espressione del bello. L'ingegno umano non può mostrare il suo valore, se non gli è dato di spaziare in una certa ampiezza; nè le sue idee possono esercitare un grande e durevole imperio, se non vengono coordinate insieme, e riunite come in un corpo. Che se nuoce l'allargarsi di troppo, e lo stendersi oltre le proprie forze; non è meno pregiudiziale il ristringersi soverchiamente. Un buon libro è come un tutto armonico, in cui intorno a una o poche idee generative si raccozza un gran numero di concetti inferiori e accessorii,

che sottostanno a quelle, e incarnano il disegno del quadro. All'incontro un articolo di giornale, per quanto sia ben fatto, non può essere altro, che un brano o un abbozzo, dove l'idea del componitore è adombrata, anzichè colorita. Tali schizzi o frantumi poco dilettano, e meno ammaestrano. Che diresti di un pittore, il quale spendesse il suo tempo a far delle bozze, o a pinger tavole rappresentanti un occhio, una mano, un capitello, un fiore, un foglio, un tronco? Questi scrittori di tritumi, e compilatori di gazzette, di dizionari, e cose simili, non mi paiono più giudiziosi, nè più valenti. Il difetto di scoltura e di organismo, pecca generale del secolo, abborrente da ogni faticosa lentezza, e vago di procedere all'avventata e alla spicciolata, è inevitabile nei giornali; i quali definir si potrebbero la riduzione delle scienze e delle lettere a una forma inorganica. Altri vegga, se il trovato sia bello, e l'età abbia ragione di gloriarsene.

Le condizioni, per cui i cattivi giornali nuocono all'opera dei compilatori, ridondano in danno degli stessi lettori. Scritti mediocri partoriscono un piacere e una instruzione meno che mezzana il frutto è simile o peggior della pianta. Oltrechè il modo della compilazione serve a suggerire, o ad avvalorare la mania degli studi enciclopedici, altro vezzo della età. Ogni quaderno di giornale è un musaico di vari pezzi spettanti a nove o dieci discipline spesso disparatissime, e siccome non ci vuol gran tempo a leggerlo, i soscrittori, per non metterci le spese, se lo inghiottiscono da capo a fondo. Per tal modo s'introduce il costume di correre su tutti gli oggetti, e si perde il gusto degli studi sodi e determinati. La varietà delle cognizioni può essere opportuna, e talvolta necessaria, quando sia accompagnata da due condizioni; l'una, che venga indirizzata a uno studio principale, il quale a guisa di centro e di fine armonizzi

quella varietà, che altrimenti diventa una massa scompigliata; l'altra, che venga attinta alle buone fonti, cioè ai buoni libri e autorevoli, che trattano exprofesso della materia, la espongono con precisione, ordine, chiarezza, e ne danno anche a chi non va più oltre, una notizia sufficiente, e non affatto superficiale. Imperocchè tengasi per fermo che i concetti vaghi, incerti, confusi, non servono a nulla in alcun genere, e la scienza che ne deriva, è pari o peggiore dell'ignoranza. L'applicazione lunga ed intensa dello spirito a un oggetto è la sola madre del sapere ; e chi crede che questa condizione si accordi col vezzo di addottrinarsi sui giornali e sulle gazzette, si accorgerà troppo tardi di aver gittato il tempo e l'opera, e coglierà dal suo capriccio medesimo il meritato castigo.

Il lettore mi perdonerà questa intramessa, perchè senza un quadro succinto delle conseguenze pratiche di certe teoriche predilette dei giorni nostri, mal si potrebbe comprendere la debolezza, in cui sono caduti gli studi speculativi, e il rimedio più efficace per farli risorgere, migliorandone la radice, riparando alla morale decrepitezza degl' ingegni e degli animi, e infondendo in essi una novella vita. Il qual rimedio si è, che il governo, la cui azione oggi si vuol ridurre alle leggi, ai giudizi e alle faccende, sia sovrattutto investito del supremo potere educativo; il quale, pericoloso alla libertà nei governi cattivi, le torna utile, anzi necessario, nei governi buoni. Ora il governo non può educare il popolo, se l'educazione non è pubblica; imperocchè le instituzioni private, sendo di necessità imperfettissime, possono avere il nome della cosa, non la sostanza di essa. Alla educazione pubblica si dee principalmente riferire la maggioranza morale e intellettuale dei popoli antichi sui moderni. So che alla applicazione pratica di questa dottrina si può opporre, che i nostri costumi ripugnano. Questa è la sola obbiezione plausibile, che si possa fare. Ma egli GIOBERTI, Opere. Vol. IV,

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è agevole il rispondere che si tratta di fondare una instituzione, la quale non faccia violenza ai moderni costumi, ma li migliori, e soprattutto li fortifichi, senza alterarne l'indole intrinseca. Chi volesse oggi allevare i fanciulli alla spartana, e rinnovare le leggi di Licurgo, sarebbe ridicolo. Licurgo esagerò il principio dorico, e volle forzare la natura; intese a trasformarla, anzichè a riformarla. Ciò era possibile in una piccola città, come Sparta, e in un popolo rozzo e pagano; sarebbe assurdo nelle grandi nazioni cristiane, che peccano di morbidezza, anzichè di rusticità o di barbarie. Ora una buona instituzione civile, conforme alle idee cristiane, e a quanto v' ha nelle moderne usanze di morale e di ragionevole, non veggo come potrebbe offendere la delicatezza nostra, se non fosse già quella di certi schifi, che crederebbero perduta ogni gentilezza, quando i garzoni non si allevassero come le donzelle. In ogni città di Europa si trovano alcuni simulacri di educazione pubblica, bastevoli a mostrare che l'opportunità di essa non è troppo aliena dalle opinioni correnti, e che questa innovazione non si dee annoverare fra certe utopie di poca fatica, con cui si vorrebbero risuscitare quelle parti dell' antichità civile, che sono veramente anticate e morte per sempre. Si tratta solo di mutare quelle vane sembianze in cose reali, e perfezionarle, mettendole d'accordo colle altre instituzioni, sottraendole alla mano spesso inesperta dei privati, e subordinandole al senno pubblico. Secondo lo stile e l'usanza del nostro vivere, una buona parte dei padri di famiglia non può allevare la sua prole, ed è costretta di accomandarla alla poca sufficienza di estranei educatori. Chi non vede che il numero di tali alunni sarebbe molto più grande, se i governi liberi e intelligenti se ne facessero institutori, indirizzando a questo nobile intento l'autorità e il consiglio? Felice la Toscana, dove sotto il governo mite di un principe, che sa farsi amare, uomini ingegnosi ed amatori del bene possono occuparsi con libertà di quegli studi, che tendono a migliorare

l'educazione d'Italia, a rendere più maschia e più gentile la stirpe de' suoi figli! Imperocchè gli uomini varranno sempre poco, finchè saranno educati dal capriccio e dal caso. L'ambizione gretta e meschina, l'egoismo, la cupidità, l'incostanza, la frivolezza, la dissoluzione, la codardia, l'empietà, che sono oggi padrone del mondo, troveranno sempre una facile e sicura preda negli animi teneri, che non saranno premuniti da una forte educazione. I pessimi esempi e le lusinghe corrompono i cuori : i viziosi affetti e le risoluzioni perplesse viziano gl' ingegni; e siccome l'ingegno avvalorato dall' affetto è la fonte della civiltà, che non può sussistere, senza il puntello delle verità morali e religiose, lo studio delle quali richiede gran virtù ed energia intellettiva, ciascun vede qual sia il termine, a cui corre la società presente. Nè sia alcuno, che si rallegri e si confidi soverchio dello stato fiorente, in cui si trovano le scienze calcolatrici e sperimentali. Le quali hanno un gran numero di cultori, piuttosto come utili, che come vere; e perchè versando nelle cose sensibili ed esteriori, e non aspirando ad esercitare alcun imperio sugli affetti dell' uomo, riescono più agevoli al suo intendimento, e non formidabili agli appetiti del suo cuore. Io apprezzo ed ammiro, quanto altri, queste nobili cognizioni, che levano tant' alto lo spirito umano, e accrescono a meraviglia il suo potere; ma egli è pur d'uopo confessare che sole non bastano alla dignità e alla felicità degli uomini. E che giova il trovar nuovi calcoli, congegnar nuove macchine, scoprir nuove forze e nuovi portenti nella natura, se gli animi infiacchiscono, i costumi si corrompono, la virtù perde il suo pregio, la religione si trascura o si bestemmia, e il turpe egoismo acquista ogni di più di dominio e di vigore? Nè i teoremi dei matematici e gli sperimenti dei fisici, possono fiorire a lungo, se si debilita la virtù intellettiva nelle sue radici, e si rende inetta a cogliere quei veri fondamentali, da cui gli altri provengono. Lo spettacolo delle cose visibili si oscura, se non è illustrato dal chia

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