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e perciò un beneficio. Ma il contrario ha luogo, se il governo è savio ; ed è sempre savio, quando non esclude il concorso di una libera e sapiente elezione. In tal caso l'indirizzo, che si porge dallo stato alla pubblica coltura, non che essere pregiudiziale per alcun verso, produce molti vantaggi non ottenibili altrimenti. Solo chi abbraccia con un'occhiata la società tutta quanta, e può disporre di ogni genere di sussidi, è valevole a creare in modo perfetto quelle instituzioni, dove gl' ingegni più eletti e meglio addottrinati schiudono alla gioventù studiosa i divini tesori della scienza. L'università, concetto cristiano dei bassi tempi e imagine dell'unità ideale del sapere, è come il centro, onde muovono í lumi per diffondersi in tutto il corpo dello stato, e a cui, accresciuti dal valore e dalle industrie dei particolari ingegni, ritornano. Ella dee esser una, perchè senza unità non v'ha consistenza, nè si può dare agli studi quell' indirizzo assiduo e uniforme, che gli fa fiorire e fruttificare. Dee esser pubblica, perchè solo la pubblica signoria possiede a compimento que? mezzi, che sono per copia e bontà proporzionati alla grandezza dello scopo proposto. I fonti del sapere inaridiscono, quando sí sparpagliano in un gran numero di piccoli rivi; quali sono quelle minute scuole male organate, discordi, deboli, impotenti, ordinate a cupidità o ad intento fazioso, che spesseggiano e vegetano tristamente in quasi tutte le capitali di Europa. Salvo i chierici, che non possono dipendere dalla giurisdizione laicale, per ciò che spetta alle dottrine, io credo che i governi veramente liberi, senza torre affatto ai privati la facoltà dell' insegnare, dovrebbero prescrivere che si erudisca nello studio pubblico chiunque vuole abilitarsi ai carichi civili. Si suole obbiettare che le università dipendenti dallo stato fanno della scienza un monopolio, e togliendo o scemando la libertà degl' ingegni, ostano ai progressi del sapere ; laddove le molte e libere scuole lo aiutano, mediante una libera emulazione. Ma il monopolio è impossibile, se al go

verno partecipa il meglio della nazione, e se l'opera dell' informar gl' intelletti si affida al fior degl' ingegni. Le piccole e spesso ignobili avvisaglie dei cattedranti, non conferiscono, o ben poco, al sodo sapere, ma pregiudicano assaissimo alla instruzione, che vuol gravità in chi la porge, e concordia nelle dottrine. La palestra, in cui si addestrano i giovani, non è un campo opportuno alle battaglie dei professori. Questi hanno la stampa e le particolari loro adunanze, per discutere e armeggiare a loro talento; dove il litigio può giovare alla scoperta del vero : laddove nuoce, quando si tratta, non già di ventilare e dibattere le incertezze dottrinali, ma di erudire i principianti, communicando loro i risultati probabili o certi, ma precisi e positivi della scienza. La scuola insomma è destinata, non a cercare e a trovare, ma ad ammaestrare, non ad elaborare la scienza, ma ad esporla, non a dirozzare i materiali greggi, ma a far conoscere gli artifiziati, non a disciplinar professori, ma a far buoni discepoli. Camminando a rovescio, si confonde il vero col falso, il certo coll' incerto, si semina lo scetticismo, s'introduce il caos nelle cognizioni, sí creano semidotti in cambio di veri dotti, e bene spesso il cibo salutifero delle dottrine si converte in veleno per le tenere generazioni.

Da queste e altre simili avvertenze, che sarebbe troppo lungo l'esporre, si deduce che i moderni, se ben fanno ad amare la libertà, hanno spesso il torto di confonderla colla licenza, che è la sua maggior nemica. Le antiche università d'Europa erano certo imperfette, e capaci di molti miglioramenti; ma con tutti i lor difetti, oso dire che sovrastavano alla maggior parte di quelle dell' età nostra. I fatti parlano assai chiaro; giacchè qual è l'ateneo moderno, donde, ragguagliata la civiltà del secolo, esca un si gran numero di veri savi, quanti ne uscivano dalle università dei passati tempi, senza escluder quelle, che fiorivano nel medio

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evo? Se allora si peccava di pedantesco, ora si pecca di frivolo e di superficiale; e quanto a me, preferisco i pedanti agli spirituzzi. Se allora i sussidi letterari abbondavano assai meno che oggi, la leggerezza degli animi e i cattivi metodi rendono al presente poco utili tali sussidi. Non nego i veri e legittimi progressi, di cui si vantano le moderne lettere, eziandio negli ordini insegnativi; ma dico, che andando innanzi da un canto, si dietreggiò dall' altro. Allora, per esempio, l'ufficio del professore consisteval nell' interpretazione di un testo elementare, che esprimeva in modo chiaro, succinto e preciso i principii e le deduzioni fondamentali delle dottrine. Le lezioni erano cotidiane: il cattedratico dichiarava a voce, illustrava, svolgeva tritamente e replicatamente il testo vi aggiungeva le notizie opportune le proporzionava al numero e alla capacità degli udienti. Questi erano spesso interrogati; spesso entravano in disputa fra di loro, sotto l'occhio e l'indirizzo del professore si avvezzavano a rendersi padroni della materia, a penetrarne il midollo, a squadrarla da ogni lato, a discernere le parti oscure o deboli di una dottrina, ad esporre con precisione e chiarezza i loro concetti, a tenere il diritto filo della logica nei loro ragionamenti. Tali esercizi potevano non esser molto appariscenti, e come oggi si dice, brillanti; ma erano sodi e fruttuosi, Le scuole così ordinate partorivano forti ingegni da esse uscirono Dante, Galileo, Bacone, il Bossuet, il Leibniz, il Newton, il Linneo, il Vico, il Muratori, e tutti i nomi più gloriosi dell' età moderna. Al presente questa maniera di studiare sarebbe riputata goffa, ridicola, pedantesca, non tollerabile. I professori illustri crederebbero di avvilire la loro eloquenza, se dessero più di una o due lezioni per settimana. Parlano essi soli, durante l'ora e con uno stile, che per lo più non è un modello di elocuzione didascalica, ma che certo è ricco di sentenze, d'imagini e di epigrammi, uccellano agli applausi dell' udienza; perchè misero colui, che nello scendere dalla bigoncia,

non fosse accolto con un lieto scoppiettar di palme, e gli toccasse d'uscire dall'aula silenziosa1). Fra gli uditori poi, pochi intendono, molti ascoltano, tutti applaudiscono. Quei pochi registrano sopra un brano di carta e alla sfuggita i punti principali del discorso; e Iddio sa, che precisione rechino in questo sunto precipitoso, giovani inesperti, impazienti, che non conoscono la materia, l'odono per la prima volta, nè possono ben apprenderla, non che digerirla, in sulle prime. Ma a ciò in sostanza si riduce tutta l'utilità di tali tornate; giacchè la turba degli altri ne sa tanto all' uscir della scuola, quanto ne sapeva, entrandovi; e con quaranta o cinquanta lezioni annue di tal nerbo, s'impara una scienza, e si gittano le radici della celebrità futura. Lascio poi al lettore, se la memoria gli serve, il carico di compiere il quadro, citando i nomi illustri, che sono il frutto di cotale insegnamento. Vero è, che sebben dalle scuole, in cui questo si porge, non escano in folla gli uomini utili e onorevoli alla patria, vi concorrono a moltitudine gli scioperati, i damerini, e perfino le gentili donne, vaghe di acquistare così lieta e facile sapienza. Il che basta alla civiltà del secolo, e alla modesta ambizione dei valenti professori.

Se la dottrina orale è scaduta, potremmo consolarcene, quando la stampata fosse buona, e atta a supplire all' instruzione dell' altro genere. Ma è difficile che i libri siano buoni, quando la di

') Parlo di molti professori, non di tutti; perchè sarebbe ridicolo chi volesse negare che nelle varie parti d' Europa ve ne siano assai de' buoni, ed alcuni eccellenti. Ma ciò che soggiungo del poco frutto che cavano i discepoli dalle lezioni, ha luogo più o meno, anche quando chi insegna è eccellentissimo, salvo che alla bontà del cattedrante si congiunga quella del metodo ; il che certo non si verifica, dove regnano gli ordini dell' insegnamento accennati nel testo.

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sciplina & cattiva, e che tristi scolari divengano eccellenti scrittori. In che stato siano le lettere ognun sel vede. La stampa, e la sua moderata libertà, è certo un gran bene; ma ella si volge a danno, quando le penne sono frivole ed inette. La stampa ha prodotto i giornali; i quali o siano politici, o scientifici, o popolari, possono giovare assai, quando siano ben fatti, e proporzionati allo scopo, che si debbono proporre (32). Ma la maggior parte deí giornali, che si stampano in Francia, paiono indirizzati a rendere il sapere falso, manchevole, superficiale. Essi hanno introdotto e messo in voga la ciarlataneria, l'impostura e il traffico delle dottrine; tre pesti, che minacciano le lettere di una seconda barbarie. Se la sovranità del popolo, come l'intendono i più,, è in sostanza la sovranità della plebe, il predominio dei giornali frivoli è la sovranità degl' ignoranti, che partorisce nel campo delle nobili cognizioni, effetti conformi a quelli dell' altra signoria nel civile consorzio. La rozzezza nei due casi genera rozzezza, e quindi licenza e anarchia.

L'uso corrente di simili giornali nuoce non meno a chi scrive, che a chi legge. Pregiudica agli scrittori, perchè quel trattare gli argomenti alla spezzata e isolatamente, esclude quasi sempre la profondità, e spesso la verità. A ben conoscere un lato di · qualsivoglia oggetto, bisogna squadrarne tutti gli altri lati, e rappresentarselo in ogni aspetto possibile. Quando un autore imprende un'opera di lunga lena, e piglia a trattare compitamente il suo soggetto, chiamandone successivamente a rassegna i vari componenti, e studiandone le attinenze scambievoli, ogni particolare ch'egli esamina, serve ad illustrare gli altri particolari, le parti influiscono nel tutto, e la considerazione del tutto giova alla maggior conoscenza delle parti. Oltrechè la stessa lunghezza di tempo richiesta da un lavoro di una certa mole, serve a maturare i pensieri, e dar lor quella profondità, precisione

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