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nazione quella del pensiero, e con essa la metà del loro ingegno, vacillano da un secolo in qua, (se si eccettua il gran Vico,) fra i sistemi tedeschi, inglesi e francesi, senz'avere filosofia propria, e si dilettano di quel sincretismo timido o servile, di cui Antonio Genovesi diede un esempio non volgare nel passato secolo. Ma la vitalità tenace dell' ingegno italico, il puro zelo di alcuni nostri coetanei, e varie ragioni, che toccherò altrove, paiono promettere all'Italia la gloria di essere la restitutrice del primitivo e sincero genio orientale nelle scienze speculative, e quindi l'instauratrice delle medesime in tutta Europa, ritirandole verso i loro principii. Ma prima di entrare in questo magnifico argomento, ci è d'uopo internarci alquanto nelle cagioni subbiettive e obbiettive, che condussero la filosofia alla debolezza e mediocrità presente; il che ci studieremo di fare nei due seguenti capitoli.

CAPITOLO SECONDO.

DELLA DECLINAZIONE DEGLI STUDI SPECULATIVI, IN ORDINE AL SOGGETTO.

Alcune fra le avvertenze, contenute in questo capitolo, paranno forse a prima fronte poco connesse col principale argomento. Ma io porto opinione che non si possa ben conoscere un tema scientifico, senza ventilarlo e squadrarlo da ogni lato, e che l'uso contrario renda il sapere superficiale: conciossiachè la profondità e l'estensione sono inseparabili nell' acquisto delle dottrine. Oltre che mi affido che le seguenti considerazioni, non aliene per loro stesse dallo scopo dell' opera, saranno stimate opportune ai tempi che corrono.

Lo spirito speculativo nei moderni è più debole, che negli antichi. Se si paragona la filosofia moderna a quella dei floridi tempi della Grecia e dell' India, si può trovare dal canto nostro maggior verità di dottrina, (il che però non accade al più gran nu

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mero dei nostri pensatori,) e maggior rigore di analisi, ma non già maggiore o pari virtù sintetica, e magisterio contemplativo, nelle quali doti consiste principalmente l'ingegno filosofico. Noi superiamo gli antichi nella cognizione del vero, per essere, non già migliori filosofi, ma cristiani; conciossiachè la notizia riflessa dell' Idea, su cui lavora la scienza, è infusa o insegnata per mezzo della parola. Nè il metodo analitico è proprio delle scienze razionali, ma sì di quelle, che si fondano nella osservazione e nella esperienza; rispetto alle quali avanziamo davvero l'antichità, almeno per molte parti. Che se l'analisi serve talvolta anche al filosofo, l'uso ch' egli ne fa è secondario, o non riguarda i rami più importanti del sapere. Senza che, tutte le potenze dell'animo umano essendo collegate insieme, e aiutandosi a vicenda, è inverisimile il supporre che l'energia contemplativa possa venir meno, senza che le altre facoltà a proporzione se ne risentano. Potrei provare, se fosse d'uopo, che anco le abilità più diverse ed opposte s'intrecciano scambievolmente, e che, per esempio, la perizia dell'analizzare ha d'uopo della capacità deduttiva; tantochè il difetto di virtù sintetica dee nuocere all' analisi. Il che distruggerebbe la precellenza analitica dei moderni, se questa non si fondasse tanto sull' ingegno, quanto sugli strumenti scientifici atti ad avvalorarlo; i quali sono un privilegio dell' età moderna, più per effetto delle circostanze esteriori, e per le influenze del Cristianesimo, che per altro giacchè noi ci vantaggiamo dagli antichi solo per essere venuti dopo, e possedere una religione, che prescrive ed aiuta mirabilmente il dominio dello spirito sulla natura. Lasciando però questo da parte, dico che la nostra inferiorità speculativa arguisce qualche altro difetto più riposto ed intrinseco, e perciò degno che si consideri

attentamente.

E certo noi non possiamo vantarci di pareggiare o superare

i popoli culti dell' antichità, nè anche per ciò che spetta alle qualità morali; voglio dire, alla grandezza dell' animo, al fervore dei sentimenti, alla costanza nelle opinioni e nelle azioni, alla magnanimità dei pensieri e delle opere, e insomma a tutte le virtù, che appartengono alla vita civile (22). Nella quale è d'uopo distinguere, come nella cognizione ideale, l'opera degli uomini dagli effetti delle instituzioni; e nelle instituzioni stesse si vogliono discernere i trovati umani dai suggerimenti della religione. Nelle attinenze religiose la civiltà nostra è smisuratamente superiore a quella de' popoli pagani più disciplinati, e l'avanza, quanto l'Evangelio sovrasta al gentilesimo. E siccome la religione, suprema dominatrice, esercita i suoi salutiferi influssi su tutte le parti dell' uomo e del mondo sociale; non v'ha alcun ramo della nostra coltura, in cui il Cristianesimo non sia in qualche modo penetrato, e non abbia prodotti miglioramenti notabili. Ma per quanto l'elemento religioso spazi largamente, e sia operativo, efficace, esso non è unico; e trova a lato suo la natura dell' uomo, che arrendendosi o ripugnando alla sua azione, ne avvalora o ne scema i benefici effetti. La civiltà, essendo il risultato misto di questo doppio principio, può nel tempo medesimo dar luogo alle qualità più diverse, ed essere buona e rea, forte e debole, fiorente e declinante, in via di perfezionamento e degenere, secondochè le cose, in cui versa, si riferiscono all' una o all' altra di quelle due cagioni. La qual distinzione è importantissima; e chi non separa accuratamente gli elementi naturali dagli elementi cristiani, si espone al pericolo di adulare il secolo, o di calunniare la religione. Vero è che alcuni filosofi, come il Machiavelli 1) e il Rousseau 2), recarono alla religione stessa molti difetti della civiltà moderna; scambiando i difetti coi pregi, o la religione colla

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superstizione paradosso enorme, che al dì d'oggi non ha più di essere combattuto.

d

uopo

La dote, che contrassegna specialmente l'uomo moderno, contrapposto all' uomo antico, se si discorre solamente delle condizioni naturali quando vogliasi esprimere con un solo vocabolo, è la frivolezza. La quale si estende più o meno ai costumi, alle scienze, alle lettere, alla politica, alle opinioni, alle credenze, e abbraccia, infetta, corrompe ogni membro del pensiero e dell' azione umana. Gli antichi nei tempi del loro fiore, come per esempio nel colmo della civiltà italogreca, hanno rispetto ai moderni la medesima proporzione, che ha generalmente l'età virile verso la fanciullezza. Gli uomini di Livio e di Plutarco sono a ragguaglio nostro più che mortali, o noi siamo rispetto a loro meno che uomini. Parlo della forza dell' animo, del vigore, della saldezza, della costanza, della tenacità, dell' ardire, e di tutte quelle doti, che sono applicabili alla virtù, come al vizio; giacchè anche nel vizio e nel delitto gli antichi recavano una grandezza ignota ai tempi che seguirono. Dicesi da taluni che questa è una illusione poetica, e che la superiorità degli antichi proviene dal prestigio che l'immaginazione dà alle cose lontane, e dell'arte eloquente degli scrittori. Il che è falso, perchè i fatti parlano : qui non si tratta di stile, di eloquenza, di rettorici colori : si tratta di storia; giacchè i fatti greci e romani, raccontati alla semplice e alla rozza quanto si voglia, sono sempre maravigliosi. Salamina, le Termopili, Sparta, Leuttra, Omero, Pitagora, Socrate, Epaminonda, Timoleone, Camillo, Scipione, Fabrizio, Catone, il senato romano, le leggi e i giureconsulti romani, i ludi e le scene, le lettere e le arti di quei tempi, sole perfette, perchè alla forza accoppiano semplicità e gentilezza, sono portenti unici al mondo. I quali hanno un tale attrattivo, che senza il Cristianesimo, e i beni incomparabili di cui ci ha arricchiti, anche in

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