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corso artificioso presupponendo già il metodo,) ma pigliandolo dall'intuito immediato del vero, cioè dai principii. Per tal modo il processo subbiettivo si conforma alla verità obbiettiva, e il reale determina lo scibile. Bisogna però notare che anche nel dichiarare ed esplicare i principii si usa un certo metodo derivante da essi, in quanto la riflessione si fonda sopra un intuito immediato e primitivo. Il che sarà reso chiaro nel decorso del mio ragionamento (2).

I principii determinativi del metodo, e per via del metodo produttivi della scienza, consistono in alcune verità prime, dalla cognizione integra o alterata delle quali dipende la sorte della filosofia. Perciò dopo avere nel primo libro determinati questi veri, e ridotti a una formola precisa e rigorosa, quanto quelle de' matematici, io applicherò nel secondo libro essa formola alla storia della filosofia, non già discorrendo per tutto il seguito de' tempi, ma limitandomi, per modo di saggio, ai sistemi, che fiorirono nelle età più rimote. Imperocchè, se la formola è vera, essa dee contener le ragioni di tutti i sistemi, dee mostrare e spiegare la verità o falsità loro; altrimenti per erronea, o almeno inesatta e manchevole, si chiarirebbe. Per questa ed altre ragioni che tralascio, una verificazione storica dei principii, mi parve se non necessaria, di grandissima utilità.

A chi entra in queste ricerche la prima quistione, che si presenta, è di sapere, in che consista la storia della filosofia, per poterne determinare i principii, e seguirne gli andamenti, i progressi, le vicissitudini. Parecchi moderni, fra' quali l'Hegel è il più illustre, escludono dagli annali di quella le antiche religioni di Europa e di Oriente, e osano appena incominciarli, per la Grecia, dalle scuole italica e ionica, o meglio ancora dalla eleatica, e per l'Asia, dalle sette indiche, che modificarono la dottrina dei

Vedi (3). Tutti i popoli più culti della prima antichità, o non ebbero filosofia a detta di costoro, o non ne rimane più alcun vestigio. Ma certo durano molti munumenti religiosi di quelle antichissime nazioni: possediamo interi, o in parte, i codici esprimenti le credenze e il culto di alcune di esse. Ora chi studia questi documenti può agevolmente chiarirsi che quelle vecchie religioni sono in gran parte sistemi filosofici, discrepanti dalle teoriche più moderne, non per la sostanza, ma solo per la forma. La forma poi non fa la scienza; altrimenti Capila e Parmenide, Empedocle e Lucrezio, che scrissero in versi, non sarebbero filosofi, almeno a rispetto nostro. I Vedi, i Ching, l' Avesta, e simili libri, sono vere enciclopedie, in cui il culto, i dogmi positivi, gl' instituti civili, i fatti storiali, e anco talvolta le speculazioni filosofiche si trovano a costa gli uni degli altri, or confusi or distinti, e collegati insieme dal genio nazionale, non meno che dall' indole poetica dell' elocuzione. Il paragone della Bibbia non serve; imperocchè il Cristianesimo col Giudaismo suo legittimo antecessore, essendo la sola religione divina, la filosofia vi è distinta dal deposito rivelato contenuto nei libri sacri. Gli Ebrei fra tutti i popoli culti dell'antichità sono forse i soli, che ne' tempi più vetusti, non abbiano avuto filosofia, perchè possedevano la rivelazion primitiva nella sua pienezza ; e fra gli antichi libri orientali il Pentateuco è quello, in cui la religione si scompagna meglio da ogni discorso filosofico; benchè esso sia nello stesso tempo un codice legislativo, una storia, un rituale e un catechismo. Dicasi altrettanto degli altri libri protocanonici; senza escludere quello di Giobbe; il qual libro tuttavia. pare opera di un'altra tribù semitica, abitatrice del deserto, e ricevuto dagli Israeliti per la sua divina origine. Ma presso le altre nazioni, che non possedevano puro, nè integro il deposito tradizionale, la filosofia era il supplemento naturale della religione, e ne componeva la parte più recondita, custodita e coltivata dal sacerdozio.

L'Hegel ei suoi seguaci non ammettono veramente alcun divario sostanziale fra la religione e la filosofia; ma pretendono che se bene la materia sia la stessa, tuttavia il modo, con cui è trattata, diversifichi essenzialmente le due discipline. Qui v'ha un doppio errore; imperocchè non si erra meno a immedesimare ogni parte delle dottrine religiose colle filosofiche, che ad escluderle dalla scienza razionale, ogni qual volta si assomigliano per la sostanza. La religione è parte intelligibile, parte sovrintelligibile. Il sovrintelligibile dipende dalla rivelazione sola, e non appartiene, almeno direttamente, alla speculazione umana; onde s'in gannano i filosofi razionali a confonderlo coll' intelligibile; e l'Hegel, che il fa, si chiarisce schietto razionalista, benchè pretenda il contrario. Ora, come nei dogmi della vera religione il mistero accompagna l'evidenza, così nella teologia dei Gentili, si trovano a costa delle verità filosofiche alcune reliquie del sovrintelligibile rivelato a principio, e alterato in appresso dalle speculazioni e dalle favole. Ma sia che si conservi nella sua purezza, sia che venga oscurato e corrotto, il sovrintelligibile di sua natura non appartiene alla filosofia; e l'opinione contraria è un grande errore di questo secolo. Non così l'intelligibile; il quale nella vera religione è mero dogma fondato sulla tradizione; ma ne' falsi culti è tradizionale insieme e filosofico, come si raccoglie dai monumenti. E nel seno stesso della Cristianità, quando ai pronunziati dell'autorità ecclesiastica si aggiunse la scienza, l'intelligibile rivelato diventò pure dottrina filosofica; onde la Scolastica, per ciò che risguarda le verità razionali, non è già, come vuole lo stesso Hegel, una dottrina anfibia, ma una vera filosofia, più degna ancora per molte parti di questo titolo, che quella di Diaimini o di Platone. Egli è singolare che l' Hegel e i suoi partigiani escludendo da un lato la religione dalla filosofia, e affermando dall'altro la perfetta medesimezza della loro materia, danno alla

filosofia l'altrui, mentre le tolgono il proprio la spogliano, l'arricchiscono di soverchio, e in ambo i modi la guastano.

Costoro argomentano che la filosofia, dovendo essere il frutto di una speculazione libera, non può aver luogo, quando l'ingegno piglia le mosse e la regola dal magisterio religioso. Ora le speculazioni sacerdotali erano fondate sull'autorità di certi libri riputati di origine divina; dunque non si debbono aver per opera di un vero filosofare. Potrei dire che questo argomento non vale, almeno per rispetto agli autori di essi libri; nei quali si trovano alcune parti, come verbigrazia, gli Upanisadi dei Vedi, schiettamente filosofiche. Ma siccome mi si può obbiettare che questi autori si fondarono pure sulle tradizioni, al che non ripugno, passo ad un altra risposta, e dico che chiamo filosofia ogni elaborazione dei principii razionali fatta per mezzo della riflessione e del discorso. Ora qualunque possa essere la fonte, donde si pigliano i principii, purchè questi siano razionali, e ci si adoperi l'artificio scientifico nello esplicarli, vi ha lavoro filosofico. Puoi negar, verbigrazia, che negli Upanisadi si contenga un intero sistema di panteismo, o almeno di emanatismo, poeticamente espresso? No sicuramente; e ne recherò altrove le prove. Ora il panteismo e l'emanatismo sono sistemi filosofici. Ma lo speculare del filosofo vuol esser libero, e qui è legato dal dogma religioso. Rispondo che dee esser libero nel discorso, nelle deduzioni; ma che non dee e non può essere, quanto ai principii, e all'opera dell' intuito. Ora il dogma religioso in filosofia appartiene ai principii; intorno ai quali è assurdo il pretendere libertà. So che Cartesio, e tutta la filosofia moderna, che da lui procede, hanno preteso d'introdurre la ricerca, e quindi la libera elezione dei principii; ma mostrerò nel processo dell' opera, quanto questo assunto sia irragionevole e ridicolo. I principii sono dati dall' intuito, il quale non potendo trasformarsi in cognizione riflessiva, senza l'intervento della parola, dipende

necessariamente da essa, per ciò che spetta alla filosofia. La parola è doppia, religiosa o sociale; questa nata da quella; poichè in ogni luogo e tempo la società fu formata, educata e culta dalla religione. La parola religiosa è il dogma tradizionale; e però la filosofia nel trarre i suoi principii dalle sacre tradizioni, attinge alla fonte più legittima, eziandio quando elle sono alterate; perchè la parola sociale derivando dall' altra, non può mai vincerla d'integrità e di purezza. I nostri filosofi, che si credono liberissimi, quando discorrono alla scapestrata, sostituiscono la parola sociale alla parola religiosa, e le opinioni o le preoccupazioni ricevute dall'educazione e dal commercio cogli uomini, all'autorità del dogma teologico. Tal è il progresso introdotto dal Descartes; il quale non avrebbe certamente potuto pensare e dire : Io penso, dunque sono, se non avesse ricevuto dagli uomini l'uso della favella. Nè sarebbe stato in grado di congegnare un cattivo sistema di filosofia, se malgrado quel dubbio, di cui discorre così piacevolmente nel suo Discorso sul metodo e nelle Meditazioni, non avesse conservata una infinità di opinioni e di credenze acquistate per opera del linguaggio e della vita sociale. Perciò egli si mostra così accorto e savio, come chi credesse bere più alla libera e con maggior sapore a un limaccioso rigagnolo, che all'acqua pura della sorgente.

Queste cose saranno dichiarate ampiamente in appresso. Le ho qui accennate di volo, per giustificare il mio consiglio di considerar le antiche religioni, come spettanti alla storia delle scienze filosofiche. La filosofia, essendo l'esplicazione dei principii razionali, ebbe cominciamento, come prima l'uomo prese a lavorare colla riflessione sulla parte razionale delle sue credenze religiose, e a fare de' suoi discorsi un corpo di scienza. Il quale fu certo rozzo e imperfetto ne' suoi principii, come rozze sono le origini della filosofia antica. Fu poscia accresciuto e limato dall'opera

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