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CAPITOLO PRIMO.

DELLA DECLINAZIONE DELLE SCIENZE SPECULATIVE IN GENERALE.

Se alcuno vuol conoscere in che grado si trovi ora la filosofia, la ragguagli colle scienze matematiche e naturali, che fioriscono in ogni parte del mondo civile. Queste sono culte con inestimabile ardore da una folla d'ingegni più o meno eccellenti; apprezzate da que' medesimi, che non vi attendono, invidiate da coloro, che per colpa di natura o di fortuna non possono attendervi; favorite dai principi e dai popoli; onorate e applaudite da tutti; e oltre il concorso spontaneo degl' individui, composte a società, e formanti una repubblica, che si stende da Pietroborgo al Capo di Buona speranza, e da Filadelfia a Calcutta, avente il suo governo, le sue leggi, le sue spedizioni, i suoi commerci, le sue colonie, i suoi ordini interni, e le sue attinenze esteriori e reciproche; piena di attività, di spiriti e di vita. I frutti che ne provengono sono degni della vastità della mole, del numero, e dello zelo che anima gli operatori: non passa quasi giorno, in cui qualche nuovo risultato

non s'ottenga; e non v' ha risultato teoretico, che tosto o tardi non s' applichi alla pratica, e non arricchisca di nuovi vantaggi o diletti la vita civile: la scienza feconda l'arte, e l'arte abbellisce, trasforma la natura. I traffichi e le industrie, tanta parte della odierna civiltà, sono insieme la dipendenza e il sussidio delle dottrine, e porgono col loro concorso, uno strumento di tanta efficacia all' attività umana, che negli ordini materiali ella supera sè stessa, e si mostra maggiore che non sia stata mai per l'addietro. E se i portenti, che abbiam sotto gli occhi, sono maravigliosi, l'immaginazione si spaventa a calcolare gli effetti futuri, quando i progressi di più secoli avranno smisuratamente accresciuta la forza di questa leva, che creata, si può dir, ieri, si affida già al di d'oggi di sollevare il mondo.

Le scienze filosofiche, e quella specialmente che ne è il colmo, cioè la metafisica, ci porgono uno spettacolo affatto contrario. Squallide e neglette, o malmenate da una turba di spiriti superficiali, che si spaventano alla severità degli altri studi, e sperano la filosofia più arrendevole alla lor frivolezza, esse non trovano che pochissimi cultori degni di loro. I quali, dediti a uno studio che è poco di moda, sono costretti a vivere fuori del mondo, e a contentarsi di conversare coi loro propri pensieri, nella solitudine; o se pure escono dai loro recessi, e si mostrano in pubblico, predicatori senza uditorio, e scrittori senza leggenti, trovano al più censori acerbi che gli frantendono, non giudiziosi estimatori, nè critici profittevoli. I principi non li curano, i popoli gl'ignorano gli arguti spiriti gli deridono. Non sono riputati nè anco dagli altri dotti; anzi vengono quasi, nell'opinione, esclusi dal loro numero. E come potrebb'essere altrimenti, se in filosofia non v'ha unità di scienza, e ogni paese, ogni accademia, ogni individuo, che s'intrometta di filosofare, ha la sua propria? Se non v' ha società, lega, concorso fra' suoi cultori, nè i suoi progressi, se pur se ne

fa qualcuno, nascono altronde, che dagli sforzi individuali? Gli studiosi delle altre discipline, benchè disformi, sono collegati insieme con reciproca fratellanza ; il calcolatore, il fisico, il geologo, s' intendono fra di loro; ma se il metafisico si presenta ad un consesso erudito, vi è accolto come lo straniero, che parla una lingua sconosciuta, o come uno spirito bizzarro, un fingitore di sogni, di ghiribizzi, di favole, acconcio a rallegrare le brigate. Le accademie filosofiche, che tuttavia sussistono, sono come quelle instituzioni vane, reliquie di una età passata, che durano ancora in forza della consuetudine. Ogni vita è spenta nel loro seno nulle le loro opere: sarebbero affatto ridicole, come le accademie dei poeti, se non servissero a nutrire una classe di letterati, che benchè inutile al mondo, ha tuttavia diritto di vivere. Le dicerie, che vi si spacciano, non hanno maggior consistenza, che i versi dei sonettanti; e se talvolta ne esce qualche buon lavoro, non è apprezzato, e si perde colla folla degli scritti volgari. A ogni modo, la scoperta di un insetto, o l'invenzione di un ordigno, è un evento più celebre e più importante nel mondo letterato d' oggidì, che la più nuova e più fondata soluzione di alcuno fra quei problemi rilevantissimi, i quali sono la cima e la sostanza della filosofia.

Egli è accaduto alle scienze filosofiche ciò che incontra agli usurpatori, i quali volendo occupare gli altrui diritti, perdono i propri. La filosofia ai tempi del Leibniz era tuttavia coltivata e in onore, armonizzava colle altre cognizioni, procedeva seco loro di conserva, le aiutava, e ne era aiutata. E veramente, se si considera la sua essenza, e non quello che è, ma quel che vorrebbe essere, si dee aver per ingiusto il dispregio, in cui è tenuta. Imperocchè per la sua natura ella è la scienza prima, la scienza madre, la scienza per eccellenza, e per qualche rispetto la scienza universale. Non che dover essere esclusa dalla enciclopedia, me

vono,

rita di avervi il primo grado; essa sola può dar ragione di tutto lo scibile: essa sola porge alle altre discipline i principii onde muoil soggetto in cui versano, il metodo col quale procedono : in lei son collocati il primo e l'ultimo termine, la base e l'apice di ogni sapere. Ma tutti questi privilegi le furono tolti, e le venne conteso perfino il nome di scienza, quando non appagandosi de' suoi limiti, essa volle ingerirsi nelle altrui appartenenze. Il che fece, usurpando da un lato i diritti della religione, e tentando. dall'altro d' invadere il dominio delle discipline, che circa le cose materiali si travagliano. Infatti la filosofia, versando nello studio dell'intelligibile, è collocata fra il sovrintelligibile e il sensibile, come fra due poli opposti, che non dee toccare, lasciandone la speciale investigazione alle scienze loro proprie. Se all'incontro, non volendo tenersi nel mezzo e contentarsi del campo larghissimo, che le è assegnato, aspira a stendersi sui due lati, appropriarseli, ed essere non solo la scienza principe, ma la scienza unica, si fa autrice della propria rovina. Come le avvenne, quando volle da una parte impugnare i dogmi religiosi o alterarli, e dall' altra spogliare l'esperienza di ogni base o farne le veci; negar la religione e la materia, o edificare a priori i dogmi di quella, e le leggi di questa; creare il naturalismo e l'idealismo, il razionalismo teologico e la filosofia della natura, o altri simili sistemi, infesti alle credenze positive, e alle scienze sperimentali. Così ella diede al tempo medesimo nella empietà, e nelle chimere. L'empietà la rese esosa agli uomini pii ed ai popoli ; le chimere la resero ridicola agli spiriti assennati ed ai dotti: amendue questi vizi la fecero disprezzare e sbandire, così dai conservatori della pietà e della bontà antica, come dai cultori e amatori della scienza moderna. È difficile al di d'oggi il trovare un fisico, un chimico, un matematico che non sogghigni al solo nome di filosofia; e fra gli uomini religiosi, chi non l'abbia in sospetto questi la temono, perchè la fede è pericolante o scaduta ne' molti; quelli ne ridono, perchè le

discipline coltivate da essi sono in vigore, e non hanno certamente paura dei filosofi. Lo stesso nome di filosofia, in una età poco lontana dalla nostra, era diventato talmente ignominioso, che gli uni lo recavano ad empietà, e gli altri vi sostituivano quelli d'ideologia, di analisi dello spirito umano, e altri somiglianti, così vani, come le cose che rappresentavano.

Le esorbitanze dei filosofi, che furono la cagione immediata del dispregio, in cui è caduta la filosofia, arguiscono qualche vizio più antico negli ordini di essa, e nelle disposizioni di coloro, che vi attendevano. Se questi non avessero cominciato a guastare la scienza, a cui davano opera, non è credibile che sarebbero mai divenuti a tanto delirio, da volere irrompere nell' altrui giurisdizione, e mescere cose disparatissime. E se il fecero per errore, credendo che l' altrui loro appartenesse; la sola ignoranza dei confini, fa già presumere qualche gran disordine invalso nel cuore di quella scienza, che ha per ufficio di distinguere accuratamente e determinare le varie parti dello scibile umano. Giova però il risalire alle origini del male, e cercare con diligenza le vere cagioni di esso; chè altrimenti ci sarebbe impossibile trovarne il remedio. E già in sulle prime ciascun vede che le cagioni, per cui le scienze speculative sono scadute dal loro splendore, debbono tutte ridursi a due classi, l'una delle quali riguarda il soggetto di quelle, cioè i filosofi, e l'altra l'oggetto, cioè la filosofia stessa. Imperocchè il soggetto essendo l'ingegno umano, che lavora a guisa di stromento sovra una certa materia, e l'oggetto essendo la materia medesima del lavoro, egli è chiaro che la perfezione dell' opera filosofica dipende così dalla bontà dell' instrumento filosofante, come da quella della materia, in cui l'instrumento si esercita. Prima però di entrare nell' inchiesta di questi due ordini di cagioni, che saranno il tema dei due capitoli seguenti, farò alcune avvertenze sul corso della filosofia moderna in Europa, non già per descriverne

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