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e scienze delle quali si ragionava, era assai bene istrutto (1). In questa corte erano raccolti prestantissimi ingegni, come il Castiglione, il Bembo, il Pallavicino, il Pio, il Bibbiena e molti altri, che dall'Italia tutta vi concorrevano non tanto per approfittare della liberalità del Principe, quanto per gustare in essa quella rarissima delicatezza e quel vivace spirito che vi regnava. Ora in questo asilo sì fortunato il Castiglione concepì l'idea del suo Cortigiano, in cui vestì d'ogni eleganza i precetti della gentilezza e dell'etica delle corti, e sparse con accortissima varietà il fiore di quasi tutte le scienze ed arti liberali. Egregie sono le sentenze di morale e di letteratura che vi sparse per entro, e gravissime le riflessioni che vi si incontrano ad ogni passo, e scelta la erudizione della quale egli fa uso. Imperò appena fu pubblicato il Cortigiano, che venne gridato classico libro dall'universale opinione dei dotti, e come classico fu forza porlo nell' Indice dei testi di lingua, se non per sentimento, almeno per verecondia. Ma il Castiglione (dice il cavalier Monti) al tribunale della sacra Inquisizione della Crusca era lordo di due brutte eresie. Egli avea protestato di scrivere lombardo più che toscano, ed era venuto a mezza lama in difesa della grande sentenza dell' Alighieri. Perciò in pena di questi gravi peccati il povero Cortigiano in tutto quanto il Vocabolario non ebbe che il misero onore di una sola solissima citazione (2).

(1) Baldi, Vita di, Guidobaldo, lib. III. (2) Proposta, vol. I, pag. 36.

Nè meno gravi del Cortigiano sono le Lettere del Castiglione pubblicate con erudite note dall'abate Serassi nel 1769 coi tipi del Comino. Sono esse indiritte ai più qualificati e dotti personaggi di quella età; anzi ci chiariscono di quanta fama egli godesse, ed in qual conto si tenesse il suo giudizio. Lo stesso divin Raffaello a lui ricorreva per direzione e per consigli. "Ho fatto (scrisse egli una volta al Castiglione) disegni in più maniere sopra l'invenzione di V. S. Soddisfaccio a tutti, se tutti non mi sono adulatori; ma non soddisfaccio al mio giudizio, perchè temo di non soddisfare al vostro... Vorrei trovare le belle forme degli edificj antichi, nè so se il volo sarà d' Icaro. Me ne porge una gran luce Vitruvio, ma non tanto che basti. Della Galatea mi terrei un gran maestro, se vi fosse la metà delle cose che V. S. mi scrive". Finalmente il Castiglione scrisse anche eleganti poesie latine e leggiadre rime, fra le quali è celebre il sonetto sopra Roma, di cui notiamo qui i primi due quadernarj.

Superbi colli, e voi sacre ruine,

Che il nome sol di Roma ancor tenete
Ahi che reliquic miserande avete
Di tant' anime eccelse e pellegrine!
Colossi, archi, teatri, opre divine,
Trionfal pompe glorïose e liete,
In poco cener pur converse siete,
E fatte al volgo vil favola alfine.

La schiera de' filosofi italiani si chiude con Pier Vettori, che, oltre varie opere filosofiche scritte in latino, ci lasciò il trattato sulla

Coltivazione degli ulivi non men pregevole per la purità della lingua che per la utilità dei precetti; e con Luigi Cornaro autore del celebre trattato Della Vita sobria, nel quale imprese a mostrare quanto giovi ad aver lunga vita il vivere sobriamente. Le sue teoriche furono confermate dal suo stesso esempio; perciocchè egli visse sanissimo fino all'età di novant' otto anni, e si morì di vecchiezza nel 1565 (1).

Che se il nostro istituto ci permettesse di spaziare nei campi della storia naturale, della fisica e della medicina, noi ci incontreremmo in uomini sommi che sono dignissimi di vivere nella ricordanza de' posteri. Tante sono le dovizie che alle mentovate scienze apportarono i Mattioli, i Cesalpini, i Falloppj, gli Aldrovandi, i Porta, i Berengarj, i Mercati, gli Eustachj, che l' Italia non si curò di vedersele in parte rapite dagli stranieri, i quali andarono boriosi delle scoperte che non essi, ma que' profondi ingegni avevano fatte. Basterà un solo esempio a confermare questa nostra sentenza. Il Colombi di Cremona scoprì la circolazione minore del sangue, detta la polmonare; ed Andrea Cesalpini poco dopo, illustrando con nuove osservazioni questa scoperta, e ragionando della circolazione maggiore, insegnò che il sangue fugge al cuore, come a suo principio; e che se il cuore è principio del sangue, convien che lo sia anco delle arterie e delle vene; e nettamente disse che per entro a quei vasi scorre un fluido che esce

(1) Zeno, Note al Fontau. tom. II, pag. 346.

per una porta e rientra per l'altra costantemente. Giunge persino a notare il gonfiar delle vene inferiormente alla legatura; insomma la circolazione del sangue, questa grande scoperta scintilla da tutte le parti agli occhi del Cesalpino, e gli scherza e trastulla, dirò così, per le mani, ed egli la tocca e la palpa, e sta tutto sul punto di alzare il velo. Ma tanto indugia, che un destro Inglese gliela strappa di mano; e mettendo a profitto altra bella scoperta degli Italiani delle valvole nelle vene, e gridando pel primo circolazione, ne raccoglie in un punto tutto l'onore alle spese degli Italiani (1).

CAPO XII.

Carattere degli oratori di questo secolo.
Stato dell'eloquenza sacra. — Novellieri.
Pregi e difetti delle sue novelle.
Grazzini detto il Lasca. Sue poesie.
di novelle.

dello.

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Alberto Lollio.

Matteo Ban

Le Cene del

Altri scrittori

Il leggitore si aspetterà di vedere un gran numero di oratori in un secolo che fu ricco di tanti poeti, di tanti storici, di tanti filosofi, di tanti scrittori d'ogni maniera; ma dovrà far le maraviglie quando gli sarà noto che pochissimi valenti cultori della italiana eloquenza potè vantare il cinquecento. Leonardo Salviati, Benedetto Varchi, Claudio Tolomei, Pietro Segni, Bernardo Davanzati, Lorenzo Giacomini,

(1) Monti, Prolusione sulla necessità di premiare i primi scopritori del vero.

Bartolomeo Cavalcanti, Scipione Ammirato e molti altri scrissero eleganti orazioni che si leggono o nelle Prose fiorentine, o nella Raccolta pubblicata dal Sansovino. Ma esse sono assai difettose, perchè modellate sopra il miglior libro in prosa quanto alla lingua che si avesse allor tra le mani, cioè sopra il Decamerone del Boccaccio. Ma lo stile di esso, dice il Tiraboschi, se può convenire a piacevoli e liete novelle dette a trastullo della brigata, non può convenir certamente a grave e robusto oratore; e quel continuo ritondar di periodi e quel sì frequente uso di epiteti non può a meno che non renda languida l'orazione, nè lasci luogo a quella commozione d'affetti che debb'essere il primario fine di un oratore (1).

Avendo già favellato di pressochè tutti i mentovati oratori, e del Casa e dello Speroni, ci resta a dire di Alberto Lollio, il quale quantunque per caso nascesse in Firenze, e quivi fosse per qualche tempo allevato, pure fu gentiluomo ferrarese; e tornato in patria, amò di condurre una vita ritirata per coltivare la filosofia e matematica. Ma la sua favorita occupazione fu lo studio della eloquenza italiana, nella quale riuscì sì egregiamente, che più volte fu destinato a ragionare in pubblico; e le sue orazioni, insieme con altre da lui per suo privato esercizio composte, furono da lui medesimo in numero di dodici pubblicate in Firenze; alle quali aggiunse due lettere, l'una in lode della

(1) Tiraboschi, tom. VII, lib. III, cap. 6.

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