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226 a Roma, si pose ai servigi del cardinal Ippolito de' Medici, dal quale fu inviato alla corte di Vienna, ove cadde gravemente infermo. Tornato a Roma, e morto il Cardinale, passò alla corte di Pier Luigi Farnese, da cui non ritrasse grandi vantaggi, come si può dedurre da una sua lettera in cui scrive: io che vivo di giorno in giorno con grave spesa, mi trovo, come si dice, con le mani piene di mosche. Dopo la morte del duca Farnese, e dopo aver per qualche tempo qua e là errato, si ridusse alla sua patria, dalla quale fu spedito ambasciatore al Re di Francia, al cospetto del quale recitò un'orazione che ancor ci rimane. Tornato in Italia, finì di vivere in Roma verso la fine del 1554, lasciando alcune orazioni, sette libri di lettere ed altre prose distinte da molta gravità di sentenze. Ma egli s'appigliò ad un altro mezzo per acquistarsi grande celebrità ; volle cioè rendere la italiana poesia imitatrice della latina, sicchè senza riguardo agli accenti si formassero i versi di spondei e di dattili, come si può scorgere da questo suo distico: Ecco chiaro rio, pien eccolo d'acque soavi, Ecco di verdi erbe carca la terra ride.

LIBRO TERZO CAPO SETTIMO

Leon Battista Alberti avea già tentata una siffatta novità, ma non ebbe seguaci; così avvenne anco al Tolomei, il quale non s'accorse che essendo troppo diversa l' indole della lingua, non potea l'armonia dell' una trasfondersi nell' altra (1).

(1) Tiraboschi, tom. VII, lib. III, cap. 3.

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Niccolò Machiavelli.

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CAPO VIII.

Sua Vita. Il Principe. Intenzioni dell'autore nel comporlo. Discorsi sulle Deche di Tito Livio. · Dialoghi sull'arte della guerra. Storie fiorenStile delle medesime.

tine.

Altre opere.

scrittori di politica. Giovanni Bottero.

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Altri

Sua Ragione

Paolo Paruta. Suoi

Il numero de' prosatori del secolo decimosesto non è inferiore a quello de' poeti; e tanta è la eccellenza di alcuni di essi, che il pronunciarne il nomé solo basta a rendere loro il più grande encomio. Così addiviene di Niccolò Machiavelli, sulla cui tomba si scrisse: Non v' ha elogio che pareggi sì gran nome (1). Egli ebbe i natali in Firenze ai 3 di maggio del 1469. da Bernardo e da Bartolomea Nelli, che appartenevano a famiglie oneste anzi illustri, ma non doviziose. Nulla sappiamo della educazione di Niccolò; ma credere si dee che egli abbia tratto profitto dai grandi lumi che già si erano sparsi in Firenze e nella Toscana tutta. In età. di non più che ventinove anni egli fu preferito fra quattro concorrenti pel posto di cancelliere del Comune, e poscia esercitò gli uffizj di segretario. Nel periodo di quattordici anni e pochi mesi, oltre la corrispondenza epistolare della Repubblica, i registri de consigli e delle deliberazioni, i rogiti de' pubblici trattati coi principi e cogli Stati stranieri, egli sostenne ventitre legazioni per affari di gravissimo mo

(1) Tanto nomini nullum par elogium.

mento; e quattro volte fu presso al Re di Francia alleato della fiorentina Repubblica, due volte presso l'Imperatore, due alla corte di Roma, tre a Siena, tre a Piombino, indi alla Signoria di Forlì, al Duca Valentino, a Gian Paolo Baglione signore di Perugia, e più volte al campo contro i Pisani ed in Pisa medesima in occasione del Concilio e per erigervi la cittadella, e finalmente in varie parti del dominio per arruolar truppe e per altre importanti bisogne dello Stato. Difficile riesce il giudicare qual fosse in lui maggiore, o la capacità, o lo zelo per la patria, di cui egli avrebbe salvata la libertà, se i suoi concittadini fossero stati più concordi, ed i tempi meno torbidi e disperati. Ciò nullameno egli tentò di impedirne la rovina; e veggendo che uno de' principali difetti della vacillante Repubblica era quello di far uso dell'armi mercenarie che ingojavano le sostanze dello Stato senza abbracciarne gli interessi, stabilì le milizie nazionali. Ma il furor delle parti ond' era Firenze agitata, l'imbecillità del gonfaloniere perpetuo Piero Soderini, la declinazione della potenza francese nella Italia, lo sdegno degli Imperiali, degli Spagnuoli e principalmente di Giulio II, che

voleva vendicarsi del ricetto dato dai Fiorentini al Concilio in Pisa, furono causa che Firenze curvasse di nuovo la cervice sotto il giogo de' Medici. Il Soderini si dovette ritirare, ed il Machiavelli segretario della Repubblica fu involto nell'infortunio del Gonfaloniere, e privo d'ogni uffizio ebbe il divieto di por piede nel

palazzo de' Signori. Una siffatta sciagura di Niccolò fu molto minore di quella che lo gittò nel fondo della miseria, allorquando accusato di complicità nella congiura contro il cardinale de' Medici, che fu poi Leone X, soffrì perfino la prigionia e la tortura; e scampò dappoi dall'estremo pericolo per la generosità di quel Pontefice, che funestar non volle l'allegrezza del suo innalzamento. La grande anima del Machiavelli non piegando sotto il peso di tante sventure, trovò un conforto nello studio e nelle lettere; e se non gli venne conceduto di servir più oltre la sua patria col ministero, volle esserle giovevole almeno cogli scritti, e dettò i Discorsi sulle Deche, i Dialoghi sull'arte della guerra e le Storie fiorentine. I Medici però conoscendo il profondissimo suo ingegno politico, se ne valsero in molte importanti occasioni, e noti sono i Consulti politici da lui scritti per Leone X, ed i servigi che egli prestò a Clemente VII, che lo mandò a Carpi al Capitolo de' Frati Minori, e lo deputò ad assistere alla visita per fortificare la città. Francesco Guicciardini, grande amico di Niccolò, rise sull'incarico affidatogli di assistere ad un capitolo di Monaci, e gli scrisse in questa sentenza. Quando leggo i vostri titoli di orator di Repubblica a' Frati, e considero con quali re, duchi e principi voi avete altre volte negoziato, mi ricordo di Lisandro, a cui dopo tante vittorie e trofei fu data la cura di distribuire la carne a que' medesimi soldati a' quali gloriosamente avea comandato ". Ed il

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Machiavelli gli fece quest'arguta risposta... Circa alle storie e repubblica de' Zoccoli io non credo in questa venuta non aver perduto nulla, poichè ho inteso molte costituzioni e ordini loro che hanno del buono in modo che io credo potermene valere a qualche proposito, massime nelle comparazioni". L'ultimo pubblico uffizio adempito dal Machiavelli fu nell'esercito della Lega contro Carlo V: tornato a Firenze ed assalito da fiere doglie di ventre, morì alli 22 di giugno del 1527 in età d'anni cinquant'otto. Una lettera scritta dal suo figliuolo Pietro smentisce le ingiuriose fole inventate per dipingere il Machiavelli come irreligioso. Non far di meno posso di piangere in dovervi dire, come è morto il dì 22 di questo mese Niccolò nostro padre di dolori di ventre, cagionati da un medicamento preso il dì 20. Lasciossi confessare le sue peccata da Frate Matteo, che gli ha tenuto compagnia fino a morte. Il padre nostro ci ha lasciato in somma povertà, come sapete ". Dalla moglie Marietta de' Corsini il Machiavelli ebbe cinque figliuoli; e bisogna dire che essa fosse una borbottona ed inquieta, se è vero che egli abbia composta la novella di Belfegorre per rappresentarne il carattere. Egli fu di comune statura, di temperamento gracile anzichè no, e soggetto a frequenti incomodi di stomaco; d'aspetto lieto e vivace, e molto arguto nei motti e nelle risposte. Essendogli annunciata la morte di Pier Soderini, così acutamente ne proverbiò la dappocaggine:

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