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a' cenni ancora de' suoi comandamenti; e sebben mi sforzai di ridur il negozio No. XXI. da' cenni alle parole, non potei, perchè alle parole non era risposto se non con parole vane, e con fatti cattivi, e perchè tuttavia dalla lor parte, se non dalla mia, continuavano i cenni, tentai di parlare alla Signora Duchessa, e a Madama Leonora: ma mi fu sempre chiusa la strada dell' udienza, e molte fiate senza rispetto, e senza occasione alcuna i portieri mi vietarono d'entrar nelle camere loro. Volli parlarne a S. A. ma compresi, ch'egli aborriva d'udirmi in questa materia: ne parlai al suo confessore, ma indarno. Sicchè non potendo io vivere in così continuo tormento, ove niuna consolazione di parole, nè di fatti temperava l'infelicità del mio stato, fu vinta finalmente quella infinita mia pazienza, e lasciando i libri, e le scritture mie, dopo la servitù di tredici anni, continuata con infelice costanza, me ne partij quasi nuovo Biante, e me n'andai a Mantova, ove fu proceduto meco co' medesimi termini, co' quali si procedeva in Ferrara, salvo che dal Sereniss. Principe, giovinetto d'età, e di costumi eroici, di quei favori, che alla sua tenera età era conceduto di farmi, fui consolato graziosamente. Da Mantova passai a Padova, e a Venezia: ed ivi ancor trovando induriti gli animi, perchè l'interesse, e il desiderio di compiacer a' Principi serrava le porte alla misericordia, feci tragitto nel vostro stato, in ogni tempo onorato ricetto del innocenza, e della virtù travagliata. Ha inteso V. A. la narrazione degli accidenti, avvenutimi dopo la mia fuga, e le cagioni che mi mossero prima a tornar in Ferrara senza invito, e partirmene poi senza comiato; colla quale quelle ragioni che appartengono a provare la falsità della calunnia, sono in guisa per natura congiunte che senza alcun mio studio, per se stesse appajono facilmente. Or da questa narrazione potrei trar gran copia di ragioni, colle quali mi darebbe il cuore di provare a V. Alt. che sarebbe operazione degna della sua virtù l'abbracciare la mia protezione in maniera ch'io avessi à ringraziare la fortuna, che mi avesse porta occasione, di aver bisogno del suo favore. E certo ch'io nel principio di questo mio ragionamento aveva proposto, di farlo, e di non risparmiare niuna sorte di libertà di parlare, niuna maniera d'argomento, e insomma trattarne in modo, come se del vostro non del mio interesse si disputasse, del vostro, non del mio onore si consigliasse, parendomi il mio onore, e il mio interesse accompagnato in guisa coll' onestà, che da niuno ingegno di sofista potesse essere discompagnato. E l'onestà volevo io derivare dalla qualità, e dalla novità della causa, la quale tirando in alto, e riducendo da' particolari all' universale era mio pro

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No. XXI. ponimento di mostrarvi, che la contesa non è tra me, e l'avversario mio, ma fra il torto, el dovere ; fra la giustizia e la violenza; fra l'umanità, e l'impietà : e che cadendo la determinazione contra la parte migliore, con esempio pernicioso si confermava quell' antica opinione celebrata nelle Scene Tragiche, che'l prudente non dee ammaestrare i figliuoli sino all' eccellenza del sapere ; perchè s'apparecchia infesta l'invidia de' cittadini; sicchè tacerebbono le Muse, diverrebbe muta l'eloquenza, si chiuderebbono le scuole, e l'Accademie, si sbigottirebbono gl'ingegni pellegrini, e quasi da torpore agghiacciate, e oppresse dormirebbono le scienze, e l'arti liberali, o sarebbono a morte condannate, o rilegate in qualche barbara nazione, tornerebonno di nuovo a i Bracmani, e a Ginnosofisti; e quel che non meno importa, il timore, e il rispetto, che si dee a' Principi rimarebbe esposto agli scherni, e all' insolenza, e al disprezzo de' ministri scellerati. Voleva io poi, richiamando questa medesima causa, e ristringendola alle circonstanze delle persone, ridurvi a memoria, chi siete voi, chi sono io, e chi è l'avversario mio: e quello che s'aspetta da voi di generoso verso me, di cortese, verso lui, di giusto e di rigoroso: e maravigliarmi, ch'egli fosse favorito da chi l'odia, a lo dee odiare; e io non ajutato da chi m'ama o è tenuto di amarmi. Voleva anco persuadervi, che niun rispetto de' Principi, degli amici, o parenti, dovrebbe ritenervi dal favorirmi, dal darmi cortese licet. to in questo stato, sin che le mie cose avessero ricevuto qualche onesta forma d'accomodamento e ch'era più convenevole alla vostra grandezza, che la vostra intercessione temperasse il lor sdegno, che non sarebbe, che la vostra buona volontà fusse da alcuna loro poco amorevole ufficio impedita, e ultimamente voleva, con buona pace vostra, lamentarmi di coloro, per grandi e per soprani, che siano, i quali non facendomi ingiustizia, credono di farmi giustizia; non s'accorgendo, che delle due parti di giustizia, l'una quanto men commendata dalle leggi, tanto più degna dell'animo eroico, è da loro affatto tralasciata, e abbandonata. Ma sovvenendomi, ch'io dissi di voler parlar con voi, in quel modo che si conviene alla vostra virtù, che si ragionasse; or mi sovviene in conseguenza ciò che voi potete per voi stesso argomentare, o conchiudere, ed è, che torto si farebbe all' accutezza del vostro ingegno, col procedere più oltre sillogizzando; perchè siccome la bontà dell'animo vostro non ha bisogno di preghi, che la muovano a generosamente operare, così la bellezza del vostro intelleto non lo ha di ragione, che sapendo l'apparenza della verità gli dimostri quel,

che si conviene. Che farò dunque, poichè pregare, ed argomentare non debbe? No. XXI. nè so dilettare; anzi m'avviso, che le mie noje infastidiscono altrui ; e che voi siate altrettanto sazio di leggere, quant'io stanco di scrivere. Tacerei certo, s'un affetto smoderato non mi trasportasse alquanto a ragionare: il qual siam concesso di sfogare con esso voi; e crediate, ch'io non ragiono per perturbare l'animo vostro, ma per isgombrare il mio dalla passione, che giustamente m'affligge, la quale mi giova di manifestare in luogo ove almeno i lamenti miei abbiano alcuno onorato testimonio. E certo miserabile cosa è l'essere privo della patria, spogliato delle fortune, l'andar errando con disagio, e con pericolo; esser tradito dagli amici, offeso da' parenti, e schernito da' padroni: l'aver in un medesimo tempo il corpo infermo, e l'animo travagliato dalla dolorosa memoria delle cose passate, dalla noja delle presenti, dal timor delle future: miserabile, che alla benevoglienza si risponda con odio; alla simplicità con inganno; alla sincerità con fraude: alla generosità con bassezza d'animo; miserabil molto ch'io sia odiato, perchè io sia stato offeso: nê sia ben voluto, perchè dopo l'offese abbia amato gli offensori, ch'io perdoni a fatti, ch'altri non perdoni a' detti, ch'io dimentichi l'ingiurie ricevute, altri non dimentichi le fattemi, e ch'io desideri l'onor altrui ancora con alcun mio danno, altri desideri la mia vergogna senza alcun suo prò. Ma più ancora miserabile, ch'io sia incorso in questa miseria, non per malizia ma per simplicità, non per legierezza, ma per costanza, non per esser troppo cupido del mio utile, ma per esserne troppo disprezzatore. E più anco è miserabile, ch'io non sia stato mai appo alcuno miserabile, nè quando nel principio delle mie sciagure alquanto più me n'affligeva, che ad uomo forte non conveniva; nè quando poi esercitato ne' mali, gli ho sostenuti con ogni robustezza d'animo. Ma sovra tutto è miserabile, ch'io sia stato precipitato in tante miserie da uomo così degno d'odio, com'io di compassione, E pur O giudicio di Dio, quanto se' tu nascoso, s'a chi è portato odio, non gli nuoce odio, che si porti, se a me è avuta compassione, non mi giova compassione, che mi sia avuta: egli ha errato, io son punito; a me nuocono le lodi dell'ingegno, a lui non son dannosi i vizj dell'animo: io dispiaccio altrui, perchè piacciono i miei mal fortunati componimenti, egli è tenuto caro, ancorché dispiacciano le sue mal pensate azioni; a me non è lecita la difesa, a lui è conceduta la offesa: a' miei studj non sono proposti altri premj, che l'indignità, e'l disagio, a' suoi non solo l'onore e le ric

No. XXI. chezze, ma la tirannide. Non sono tiranni i Principi, non sono no; egli è il tiranno, egli esercita la tirannide; ed i Principi, e le Repubbliche grandissime non si sdegnano di servire indegnissamente a i desiderj ingiustissimi d'un Sofista: non amano più i Principi le lor glorie, perchè congiunta la loro colla mala satisfazione di costui; non favoriscono l'industria, perchè costui vuol gli altri oziosi per fare egli il tutto. Aspetto omai, che si vieti al Pendasio il leggere, e al Panigarola il predicare, poichè a costui non piace, e che da questi uomini mirabili sia dismesso l'ufficio loro, con tanta utilità del Mondo, e così gloriosamente esercitato. Ma non piaccia a Dio, che egli mitighi gli acutissimi morsi dell'invidia con sì fatte satisfazioni, e a me giova di sperare, ch'io potro a suo mal grado e scrivere, e favellare, ed egli potrà forse rallegrarsi di vedermi povero, mal agiato; ma di vedermi umile e abbietto non goderà giammai. E certo, che a me non tanto incresce di vedermi privo d'alcuni comodi, per li commodi stessi, quanto per la poca riputazione che à me, e per la molta satisfazione che a lui ne segue; il qual filosofo di nome e d'abito, e sofista d'ingegno, e ippocrita di costumi fa quella stima degli onori, e delle ricchezze che da' cortigiani, e da' mercanti suol essere fatta. Ma io non stimo molto sì fatti beni, nê affato gli disprezzo: e maggiormente gli disprezzerei, se non fosse ch'io sarei necessitato a disprezzar anco coloro, che possono con tali premj guiderdonare il valore, e l'industria degli uomini. Perciocchè tanto ciascun d'essi suol essere onorato quanto è in opinione d'aver fatto, o di poter fare altrui beneficio: non parlo di quei pochi, a' quali l'onore si concede come premio dell' eccellente virtù; benchè questi ancora quell' altra maniera d'onore più popolare non sogliano, se non grandemente, gradire.

No. XXII.-P. 59.

No. XXII.

ANALYSIS OF A LETTER OF TASSO TO SCIPIO GONZAGA,
AND OF A DISCOURSE BY THAT POET, ON THE VARIOUS
ACCIDENTS OF HIS LIFE.

I have inserted into the text, a passage from a long letter of Tasso, to his friend Scipio Gonzaga, written from the Hospital of St Anne, in May 1579.*

Of this epistle, I can, from its great length, merely give a summary, as well No XXII. as of a very prolix Discourse by our poet, on the various accidents of his Life, addressed to the same ecclesiastic. Each of these compositions, besides its prolixity, is full of irrelevant matter, and to print them at length would greatly add to the expence of this book, without an equivalent advantage.

Tasso begins his letter to Gonzaga, by remarking, that, as he had, by a former epistle, removed the shame and confusion of a free address, it is his intention to write him plainly, and without constraint. That, on the other hand, it is Gonzaga's duty to listen to him, not only as a good man, a Christian, and an old friend; but as one also, who had been, in part, the cause of his calamities. Our poet then proceeds to say, that, taking it for granted that the two most serene princes (the Dukes of Ferrara, and Florence,) are offended against him, he submits it to the consideration of his friend, whether his offences had been such as to deserve a cruel punishment. He takes notice of the mildness of punishments among the Romans, and observes that, if it be the office of judges to chastise, it is that of princes to pardon. He specifies some examples of crimes committed against the ancestors of the princes whom he had displeased, which had been graciously pardoned, and adds, that, although these criminals had been nobles and powerful men, with whom in rank he could not be compared, yet that he could not altogether consider himself as of no value, since he had been so much esteemed by Gonzaga? «Who," says Tasso, "has loved me more than you, who has more esteemed me? and how could you, who are yourself adorned with so much goodness and worth, have loved and esteemed a person who had neither worth nor goodness. You condemn yourself, you convict your own judgement if you can condemn me.

If
you do not know me, who can be expected to do so? since with no one
have I associated so long, or in so familiar and tender a manner. Who, like-
wise, is a more profound observer, or a more sagacious calculator of the merits
of individuals than yourself? or who in conversation is more free and open,
or rather more inconsiderate than I. Would that it had been different! for
I had never fallen into infelicity like this; but there are not in my mind, nor
ever were, any nooks or labyrinths; but every sentiment of my soul, whether
ire or love, whether dissatisfaction or content, might be read in my counte-
nance, and was manifested by my tongue."

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