Page images
PDF
EPUB

manterrebbe a lungo l' infelice scissura introdottà dai despoti moscoviti, senza il volere imperioso di un crudo e violento signore? Ovvero che l' episcopato anglicano si ostinerebbe a ripudiare il legittimo suo capo, se non facesse parte di una oligarchia politica, arricchita e grandeggiante colle spoglie della religione? Eccovi pure, che le ricordanze e i desiderii delle antiche instituzioni libere agitano i popoli di Europa, e dove la brama non vien soddisfatta, turbano i sonni de' lor nemici. I più formidabili dei quali non sono già i governi ed i principi, che per mal animo o per paura le avversano, ma coloro che, aspirando a una felicità e libertà chimerica, vogliono creare ordini affatto nuovi, invece d'instaurare e perfezionare gli antichi; coloro che nei discorsi e nelle imprese civili piglian le mosse da Lutero, e dalla plebe dei filosofi. Costoro presumono di essere novatori e non rinnovatori, e non sanno che nessun instituto può gittar salde e durevoli radici, se non trova un addentellato negli ordini che lo precedono, se non è aiutato ed avvalorato, almeno in parte, dalla consuetudine. Niuno ignora che brutto esito abbiano sortito le repubbliche d'Inghilterra e di Francia, il protettorato, il direttorio, il consolato, l'imperio, e quelle grette parodie democratiche, che turbarono e disonorarono l'Italia, il Belgio, l'Olanda, sotto il dominio francese. All'incontro le assemblee rappresentative, che sotto nome di parlamenti, di stati, di corti, di consigli, di bracci, di stamenti, di diete, erano quasi universali nella Cristianità dei bassi tempi, e col regio potere si collogavano, poterono risorgere nella Gran Bretagna, in Francia, fra i Belgi, gli Olandesi, i Portoghesi, gl' Ispani, in alcune parti della Germania, e dar prova o almeno speranza di vita. Dico speranza, e non certezza, perchè vengono appunto minacciate dai demagoghi; tanto è vero che i fautori di una libertà mendace sono i nemici più tremendi della vera. Conchiudo adunque che in politica (e dicasi altrettanto della filosofia e della religione), chi non edifica giudiziosamente sulle basi del medio evo, fabbrica in aria. Senza questa pietra angolare, si può demolire o fornir materia a prossime demolizioni, non si può far nulla che tenga del saldo, e però del grande; chè, senza stabilità, non si dà vera grandezza.

Questo principio connettesi con un altro più ampio e assoluto, che venne espresso dal Machiavelli; il quale però non sembra averne misurata appieno la grandezza, l'universalità, l'efficacia, poichè ne fece uso in modo scarso e ristretto. Il qual pronunziato si è che a volere che una setta o una repubblica viva lungamente, è necessario ritirarla spesso verso il suo principio. Il che torna a dire che l' ideal

A Disc. sulla pr. dec., III, 1.

progresso verso l'unità e la perfezione finale è un regresso verso l'unità e perfezione primitiva. Tal è la formola cristiana, che è la sola vera. Noi dobbiamo pertanto risalire verso il medio evo, per ciò che spetta all' idea, perchè il medio evo, che fu essenzialmente ideale, è il principio, onde mosse la civiltà moderna. Io supplico il benigno lettore di notar bene ciò che dico; perchè non vorrei, esortando i miei coetanei a risalire verso i bassi tempi, essere accusato d'invitarli a rinvertire verso i tempi barbari; non vorrei si credesse che io desideri il risorgimento dei roghi, dei martori, dei duelli, dei feudi ( e nè anco quello degli astrologi, delle ogive, dei quodlibeti ), o delle altre grossezze e scempiezze e atrocità, che arrugginirono o spaventarono il mondo, e, per una grazia speciale di Dio, sono morte e sepolte: voto e tentativo, che non può chiamarsi empio ed errendo, solo perchè ormai è ridicolo ; intorno al quale ho fatto altrove una professione di fede schietta e precisa. Il medio evo fu barbaro e cristiano. La barbarie, che deriva dal predominio del senso 1, è per sè stessa un elemento negativo, e consiste nel difetto di coltura civile. Di costa a questo difetto, ai mali, alle tenebre, alle calamità, che ne nascevano, pullulavano nella età media i germogli di una civiltà maravigliosa, essenzialmente cristiana, e avvalorata dalle sane reliquie dell' antica umanità e gentilezza. Ma questa pianta era giovine, e i suoi fiori erano chiusi, o cominciavano appena a sbocciare: la stagione era piena e ricca di speranze, propizia alla coltura, lieta di frutti primaticci e tenerelli, che promettevano un maturo o abbondante ricolto. L'aforismo espresso di sopra si riduce dunque a dire che il progresso moderno dee essere l'esplicazione della civiltà potenziale, contenuta negl' instituti del medio evo. Ora l'esplicazione di una potenza, a mano a mano che va crescendo l'attualità della forma, scema la privazione; se mi è permesso di usare l'idioma forte e preciso dello Stagirita. Non vi ha dunque alcun rischio, svolgendo i semi positivi e cristiani dell'età trascorse, di dar nel barbaro; perchè in tanto allora il mondo era barbaro, in quanto i preziosi germi non erano esplicati. La barbarie di quella età era tutta gentilesca; tramandata ai popoli cristiani, parte dal politeismo grecolatino, parte, e assai più, dalla fiera superstizione dei popoli boreali. Dalla cui conquista nacquero i feudi, che ridussero la società in frantumi, spensero l'unità nazionale, e con essa lo stato pacifico dei popoli, eccitando una guerra civile perpetua, sotto nome di guerra esterna, giacchè gli stati si sparpagliavano in tante potenze, quante erano le castella e i borghi. Ma la società ecclesiastica, che vegliava fra le ruine colla sua mirabile struttura, e colla forte uni

1 Teor. del Sovr., not. 49, 50, p. 411, 412.

là, spense a poco a poco la violenza e l'anarchia feudale, coltivando, svolgendo i rudimenti civili di autorità governatrice e di libertà nazionale; i quali ridotti quasi a nulla, pur non erano morti, e sopravvivevano nei sovrani 1, e nei comuni. Oggi non è più d'uopo provare che i papi e i vescovi del medio evo, cioè la monarchia e l'aristocrazia elettiva della Chiesa, crearono i popoli ed i re; e con essi le nazionismoderne la cui vita e il fiore dipendono dall'amichevole concordia, del potere e della libertà, delle nazioni e dei principi. Così i municipii risorsero, e risorti si allargarono in repubbliche, e le repubbliche divennero città e provincie di una sola patria, e le patrie furono organate dall'autorità regale: la potestà dei baroni, trasformatasi in civile, si collegò colle altre, e si esercitò sotto una forma più o meno legittima nelle pubbliche assemblee, quasi concilii della nazione. Che se questo corso di cose non si effettuò per ogni dove, e mancò sovrattutto in Italia, dove le repubbliche tralignarono in democrazie torbide, o in piccoli principati dispotici, invece di consertarsi sotto una monarchia civile e nazionale, ciò si dee attribuire alla potestà imperiale, che fu un vero fuordopera negli ordini civili del medio evo, e la causa principale del loro indebolimento; onde nacquero l'eterodossia e gli scismi del secolo sedicesimo, e le mendaci promesse della civiltà moderna. L' Imperio su ingiusto e funesto fin dalla sua origine; e benchè oggi sia di moda il celebrare l'opera di Cesare, e la rivoluzione fatta da lui, come onesta e salutifera, quasi che distruggesse un'oligarchia tirannica, e pareggiasse le sorti dei cittadini, io tengo per vera la sentenza contraria; e credo coi migliori antichi, e col nostro Machiavelli in ispecie 2, che Cesare sia stato parricida della patria, e uno degli uomini più funesti alla libertà e alla felicità delle nazioni. Il patriziato romano ai tempi di Silla e di Pompeo era certo corrotto; ma più corruzione ancora annidava nella plebe libera; e se l'aristocrazia era cattiva, l'Imperio fu pessimo. La schiavitù, che era il tarlo e l'infamia della libertà antica, crebbe, invece di scemare, sotto gl'imperatori; i quali accarezzarono e avvalorarono la corruttela dei patrizi, e ne spensero solamente le virtù. Quando si giudica, come oggi, la bontà delle azioni dall'esito loro, egli è facile il giustificare l'ambizione di Cesare, e il celebrarlo come un uomo grande, perchè fu un usurpator fortunato, e un tiranno amabile. Ma chi ripudia questo assurdo e vil fatalismo, e crede che la Providenza permette il male all' arbitrio degli uomini, benchè per vie incognite lo indirizzi al

1 Chiamo qui sovrano il suzerain dei Francesi, cioè il signore supremo degli ordini feudali.

2 Disc., I, 10.

Vol. II.

.

bene, non terrà mai per legittima l'usurpazione e la violenza, perchè gli ordini civili di riforma abbisognino. Egli è difficile e forse impossibile a noi lontani di tanti secoli il determinare fino a che segno la costituzione romana antica fosse capace di ammenda; ma certo si è che la distruzione di essa, e il sottentrare di un imperio violento, dispotico, senza modo stabile di successione, fu pessimo partito, poichè accrescendo la dissoluzione morale, aperse la via al dominio de' Barbari. E vedete qual divario corra fra il debito degli uomini, e i consigli della Providenza. Se Cesare avesse antiveduto che la nuova signoria dovea causare coll' andar del tempo la ruina della patria, dando l'impero in preda ai nemici, e tuttavia perseverato avesse ne' disegni ambiziosi, sarebbe stato un mostro; dovechè l'invasione barbarica, onde nacque la civiltà moderna, ci spiega appunto come la Providenza abbia permesse le dolorose vicende, che misero in fondo la potenza latina. Ma queste sono materie, le quali vorrebbero un lungo discorso, che qui saria fuor di luogo: avrò forse altrove occasione di mostrare che, se il mio parere sui danni dell' Imperio contraddice all' opinion corrente, io non fui indotto ad abbracciarlo, come oggi si usa, da frivole considerazioni o da vaghe generalità, ma dall' intima e sincera ragione dei fatti. Checchè però si pensi dell' Imperio gentilosco, egli è fuor di dubbio che l'Imperio cristiano, fondato da Carlomagno, fu la vera causa, che impedì l'unione d'Italia, e di altre nazioni; imperocchè l'unità nazionale e universale non potea e non dovea nascere dall'erede di Cesare, ma dal successor di Pietro, non da un principe armato e guerriero, ma da un pontefice inerme e pacificatore, non da un instituto di origine pagana, ma dal cattolico sacerdozio. Al gran prete romano spettava il creare le società moderne, e non a un barbaro imperante; imperocchè due potenze diverse, supreme e in gara fra loro, doveano impedirsi e nuocersi, invece di aiutarsi nella pietosa opera. Onde, se i Pontefici non ebbero la buona fortuna di compierla, e talvolta errarono, chiamando i Francesi e i Tedeschi in Italia, o trasportando in Francia la sedia loro, ovvero favoreggiando nella comune patria le influenze forestiere, ciò si dee attribuire non tanto alla viltà degli uomini e alla miseria dei tempi, quanto alla competenza dell' aquila colle somme chiavi. La civiltà del medio evo, lo ripeto, fu essenzialmente cristiana. Ora, che cos'è la civiltà cristiana, se non un ritiramento verso la civiltà primitiva? L' Uomo Dio recò a compimento ciò che gli uomini grandi della profana antichità aveano desiderato e tentato di fare. Imperocchè i filosofi più eminenti del paganesimo, i legislatori e i capisetta più insigni, come Budda, Zoroastre, Laotsè, Confusio, Ouetzalcohuatl, Egimio, Minosse, Zamolsi, Licurgo, Tagete, Numa, Pitagora, Archita, Parmenide, Empedocle, Platone, gli

Alessandrini, o dichiararono espressamente di non voler essere altro che instauratori, o il mostrarono in effetto colle loro opere; tanto que' sommi erano persuasi che lo stato perfetto era lo stato primitivo. Che se per eccellenza d'ingegno ebbero un confuso sentore di ciò che era opportuno; Iddio solo seppe e potè in ogni tempo toccare il segno, e ritirare compitamente le cose verso i loro veri principii; essendo un privilegio della sapienza creatrice il poter essere rinnovatrice delle sue fatture. Ma la sapienza umana ebbe almeno il presentimento e il desiderio del bene; giacchè in tutta l'antichità non si trova per avventura un sol uomo di vaglia, che abbia preteso di perfezionare le dottrine e le instituzioni, distruggendo e innovando in modo assoluto, come oggi il più meschino spirituzzo di Parigi crede di potere e saper fare acconciamente. Questo bel concetto è un trovato proprio del senno moderno, e specialmente francese.

Non si può emendare un errore, senza conoscerne l'indole e l'essenza recondita. La falsa politica creata nel secolo sedicesimo nacque dai cattivi ordini razionali, che Lutero introdusse nella religione, e il Descartes nella filosofia. I quali ordini partorirono il sensismo, il razionalismo psicologico e il panteismo nelle scienze speculative, come in religione diedero origine al razionalismo teologico, ovvero a una miscredenza assoluta, e nel vivere civile alle dottrine della libertà licenziosa e del dispotismo monarchico. La prima di queste opinioni politiche è un sensismo sociale, che ripone il diritto nel maggior numero, che è quanto dir nella fórza: la seconda è una spezie di razionalismo pratico, che colloca il poter supremo nella ragione individuale, cioè nell' arbitrio e nel capriccio di un individuo. Entrambe s'accordano a mettere nell' uomo il principio e la regola dell'autorità pubblica, delle leggi e dei diritti, invece di porla in un oggetto assoluto e immutabile; onde sono per questo verso corollari legittimi del psicologismo. E benchè in sulle prime paiano discordi, come il sensismo e il razionalismo psicologico, tuttavia consuonano in effetto, non meno che i due sistemi speculativi; imperocchè nella stessa guisa, che la sensibilità e la ragion subbiettiva dell'uomo si assomigliano nel mancar di valore obbiettivo, la sovranità assoluta di un solo uomo e quella di una moltitudine consentono insieme nel derivare dall' arbitrio umano, e nel rimuovere ogni signoria superiore. Nei due casi il potere è sempre subbiettivo e arbitrario, quindi violento e capriccioso; imperocchè la licenza e la tirannide, l' anarchia e il governo dispotico, sono due facce dello stesso mostro. Onde l'imperio assoluto di un solo è per lo più disordinato ed instabile, come quello del volgo; e i portamenti di una plebe scatenata e infuriante, sono aspri e tremendi come quelli

« PreviousContinue »